Sayfadaki görseller
PDF
ePub
[ocr errors]

pinquitade alla gentilissima donna, che non mi rimase in vita più che gli spiriti del viso; ed ancor questi rimasero fuori de' loro strumenti, perocchè Amore volea stare nel loro nobilissimo luogo per vedere la mirabile donna.

E avvegna ch'io fossi altro che prima, molto mi dolea di questi spiritelli, che si lamentavano forte, e diceano: Se questi non ci sfolgorasse così fuori del nostro luogo, noi potremmo stare a vedere la maraviglia di questa donna, così come stanno gli altri nostri pari. Io dico che molte di queste donne, accorgendosi della mia trasfigurazione, si cominciaro a maravigliare; e ragionando si gabbavano di me con questa gentilissima. Onde l'ingannato amico mio, di buona fede mi prese per la mano, e traendomi fuori della veduta di queste donne, mi domandò che io avessi. Allora riposato alquanto, e risurti li morti spiriti miei, e li discacciati rivenuti alle loro possessioni, dissi a questo mio amico queste parole: Io ho tenuti i piedi in quella parte della vita, di là dalla quale non si può ire più per intendimento di ritornare. E partitomi da lui, mi ritornai nella camera delle lagrime, nella quale, piangendo e vergognandomi, fra me stesso dicea: Se questa donna sapesse la mia condizione, io non credo che così gabbasse la mia persona, anzi credo che molta pietà ne le verrebbe. E in questo pianto stando, proposi di dir parole, nelle quali, a lei parlando, significassi la cagione del mio trasfiguramento, e dicessi che io so bene ch'ella non è saputa, e che se fosse saputa, io credo che pietà ne giugnerebbe altrui: e proposi di dirle, desiderando che venissero per avventura nella sua audienza; e allora dissi questo sonetto:

Coll' altre donne mia vista gabbate,
E non pensate, donna, onde si mova,
Ch' io vi rassembri si figura nova,
Quando riguardo la vostra beltate.

Se lo saveste, non potria pietate
Tener più contra me l' usata prova;
Ch' Amor, quando si presso a voi mi trova,
Prende baldanza e tanta sicurtate,

Che fiere tra' miei spirti paurosi,

E quale ancide, e qual caccia di fuora,
Sicch' ei solo rimane a veder vui:

Ond' io mi cangio in figura d'altrui
Ma non sì, ch'io non senta bene allora
Gli guai de' discacciati tormentosi.

Questo sonetto non divido in parti, perchè la divisione non si fa, se non per aprire la sentenzia della cosa divisa: onde, conciossiacosachè per la su ragionata cagione assai sia manifesto, non ha mestieri di divisione. Vero è che tra le parole, ove si manifesta la cagione di questo sonetto, si trovano dubbiose parole; cioè quando dico, ch' Amore uccide tutti i miei spiriti, e li visivi rimangono in vita, salvo che fuori degli strumenti loro. E questo dubbio è impossibile a solvere a chi non fosse in simil grado fedele d' Amore; ed a coloro che vi sono, è manifesto ciò che solverebbe le dubitose parole: e però non è bene a me dichiarare cotale dubitazione, acciocchè lo mio parlare sarebbe indarno, ovvero di soperchio.

XV.

Appresso la nuova trasfigurazione mi giunse un pensamento forte, il quale poco si partia da me; anzi

1

continuamente mi riprendea, ed era di cotale ragionamento meco: Posciachè tu pervieni a cosi schernevole vista quando tu se' presso di questa donna, perchè pur cerchi di vederla? Ecco che se tu fossi domandato da lei, che avresti tu da rispondere? ponendo che tu avessi libera ciascuna tua virtute, in quanto tu le rispondessi. Ed a questo rispondea un altro umile pensiero, e dicea: Se io non perdessi le mie virtudi, e fossi libero tanto ch'io potessi rispondere, io le direi, che si tosto com'io immagino la sua mirabil bellezza, si tosto mi giugne un desiderio di vederla, il quale è di tanta virtude, che uccide e distrugge nella mia memoria ciò che contra lui si potesse levare, e però non mi ritraggono le passate passioni da cercare la veduta di costei. Ond' io, mosso da cotali pensamenti, proposi di dire certe parole, nelle quali, scusandomi a lei di cotal riprensione, ponessi anche quello che mi addiviene presso di lei; e dissi questo sonetto:

Ciò, che m'incontra nella mente, muore
Quando vegno a veder voi, bella gioia,
E quand' io vi son presso, sento Amore,
Che dice: Fuggi, se 'l perir t'è noia.

Lo viso mostra lo color del core,
Che, tramortendo, ovunque può s' appoia
l'ebrietà del gran tremore

E per

Le pietre par che gridin: Moia, moia.
Peccato face chi allora mi vide,

Se l'alma sbigottita non conforta,
Sol dimostrando che di me gli doglia,

Per la pietà, che 'l vostro gabbo uccide,

La qual si cria nella vista smorta
Degli occhi, c'hanno di lor morte voglia.

Questo sonetto si divide in due parti: nella prima dico la cagione, per che non mi tengo di gire presso a questa donna: nella seconda dico quello che m'addiviene per andare presso di lei: e comincia questa parte quivi; E quando vi son presso. E anche questa seconda parte si divide in cinque, secondo cinque diverse narrazioni: chè nella prima dico quello che Amore, consigliato dalla ragione, mi dice quando le son presso; nella seconda manifesto lo stato del cuore per esempio del viso; nella terza dico, siccome ogni sicurtade mi vien meno; nella quarta dico che pecca quegli che non mostra pietà di me, acciocchè mi sarebbe alcun conforto; nell'ultima dico perchè altri dovrebbe aver pietà, cioè per la pietosa vista, che negli occhi mi giunge; la qual vista pietosa è distrutta, cioè non pare altrui, per lo gabbare di questa donna, la quale trae a sua simile operazione coloro, che forse vedrebbero questa pietà. La seconda parte comincia quivi; Lo viso mostra la terza; E per l' ebrietà: la quarta; Peccato face: la quinta; Per la pietà.

XVI.

Appresso ciò che io dissi, questo sonetto mi mosse una volontà di dire anche parole, nelle quali dicessi quattro cose ancora sopra il mio stato, le quali non mi parea che fossero manifestate ancora per me. La prima delle quali si è, che molte volte io mi dolea, quando la mia memoria movesse la fantasia ad immaginare quale Amor mi facea. La seconda si è, che Amore spesse volte

di subito m' assalia si forte, che in me non rimanea altro di vita se non un pensiero, che parlava della mia donna. La terza si è, che quando questa battaglia d'Amore m'impugnava così, io mi movea, quasi discolorito tutto, per veder questa donna, credendo che mi difendesse la sua veduta da questa battaglia, dimenticando quello che per appropinquare a tanta gentilezza m'addivenia. La quarta si è, come cotal veduta non solamente non mi difendea, ma finalmente disconfiggea la mia poca vita; e però dissi questo sonetto:

Spesse fïate venemi alla mente
L'oscura qualità ch' Amor mi dona;
E vienmene pietà si, che sovente
Io dico: ahi lasso! avvien egli a persona?
Ch' Amor m'assale subitanamente
Si, che la vita quasi m'abbandona:
Campami uno spirto vivo solamente,
E quei riman, perchè di voi ragiona.
Poscia mi sforzo, che mi voglio aitare;
E così smorto, e d'ogni valor vôto,
Vegno a vedervi, credendo guarire:

E se io levo gli occhi per guardare,
Nel cor mi si comincia uno tremuoto,
Che fa da' polsi l'anima partire.

Questo sonetto si divide in quattro parti, secondo che quattro cose sono in esso narrate: e perocchè sono esse ragionate di sopra, non m'intrametto se non di distinguere le parti per li loro cominciamenti. Onde dico che la seconda parte comincia quivi; Ch' Amor: la terza quivi; Poscia mi sforzo: la quarta; E se io levo.

« ÖncekiDevam »