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RIME DI DUBBIA AUTENTICITÀ.

SONETTO I.

Chi guarderà giammai senza paura
Negli occhi d' esta bella pargoletta,
Che m'hanno concio sì, che non s'aspetta
Per me se non la morte, che m' è dura?
Vedete quanto è forte mia ventura,

Che fu tra l'altre la mia vita eletta

Per dare esempio altrui, ch' uom non si metta
A rischio di mirar la sua figura.

Destinata mi fu questa finita

Da ch'uomo conveniva esser disfatto,
Perch' altri fosse di pericol tratto;

E però, lasso! fu' io così ratto

In trarre a me 'l contrario della vita,
Come virtù di stella margherita.

SONETTO II.

Nulla mi parrà mai più crudel cosa,
Che lei, per cui servir la vita smago;
Chè 'l suo desire in congelato lago,
Ed in fuoco d' amore il mio si posa.
Di cosi dispietata e disdegnosa

La gran bellezza di veder m'appago;
E tanto son del mio tormento vago,
Ch' altro piacere agli occhi miei non osa.
Nè quella, ch'a veder lo Sol si gira,

E 'l non mutato amor mutata serba, Ebbe quant' io giammai fortuna acerba : Onde, quando giammai questa superba

Non vinca, Amor, fin che la vita spira,
Alquanto per pietà con me sospira.

SONETTO III.

Da quella Luce, che il suo corso gira
Sempre al volere delle empiree sarte,
E stando regge tra Saturno e Marte
Secondo che l'astrologo ne spira;
Quella che in me col suo piacer ne aspira,
D'essa ritragge signorevol arte;

E quei che dal Ciel quarto non si parte
Le dà l'effetto della mia desira.

Ancor quel bel pianeta di Mercuro
Di sua virtute sua loquela tinge,
E 'l primo ciel di sè già non l'è duro.
Colei che 'l terzo ciel di sè costringe,
Il cor le fa d'ogni eloquenza puro:
Così di tutti e sette si dipinge.

SONETTO IV.

Due donne in cima della mente mia
Venute sono a ragionar d' amore;
L'una ha in sè cortesia e valore,
Prudenza ed onestate in compagnia.
L'altra ha bellezza e vaga leggiadria,
E adorna gentilezza le fa onore;
Ed io, mercè del dolce mio signore,
Stommene a piè della lor signoria.
Parlan bellezza e virtù all' intelletto,

E fan quistion, come un cuor puote stare
Infra duo donne con amor perfetto:
Risponde il fonte del gentil parlare:
Che amar si può bellezza per diletto,
É
E amar puossi virtù per alto oprare.

SONETTO V.

Io maledico il dì ch'io vidi imprima
La luce de' vostri occhi traditori,
E 'l punto che veniste in sulla cima
Del core a trarne l'anima di fuori.
E maledico l'amorosa lima,

C' ha pulito i miei detti, e i bei colori Ch'io ho per voi trovati e messi in rima Per far che il mondo mai sempre v'onori. E maledico la mia mente dura,

Che ferma è di tener quel che m'uccide, Cioè la bella e rea vostra figura, Per cui Amor sovente si spergiura; Sicchè ciascun di lui e di me ride, Che credo tor la ruota alla Ventura.

SONETTO VI.

Io son si vago della bella luce

Degli occhi traditor che m'hanno anciso,
Che là, dov' io son morto e son deriso,
La gran vaghezza pur mi riconduce.
E quel che pare, e quel che mi traluce,
M'abbaglia tanto l' uno e l'altro viso,
Che da ragione e da virtù diviso
Seguo solo il disio come mio duce.
Lo qual mi mena tanto pien di fede
A dolce morte sotto dolce inganno,
Ch'io lo conosco sol dopo 'l mio danno.
E' mi duol forte del gabbato affanno;

Ma più m' incresce, ahi lasso! che si vede
Meco pietà tradita da mercede.

SONETTO VII.

Lo Re, che merta i suoi servi a ristoro
Con abbondanza, e vince ogni misura,
Mi fa lasciare la fiera rancura,

E drizzar gli occhi al sommo concistoro. E qui pensando al glorioso coro

De' cittadin della cittade pura,
Laudando il Creatore, io creatura
Di più laudarlo sempre m'innamoro.
Chè s'io contemplo il gran premio venturo,
A che Dio chiama la cristiana prole,
Per me niente altro che quello si vuole:
Ma di te, caro amico, si mi duole,

Che non rispetti al secolo futuro,
E perdi per lo vano il ben sicuro.

SONETTO VIII.

Se 'l bello aspetto non mi fosse tolto
Di quella Donna, ch' io veder disiro,
Per cui dolente qui piango e sospiro
Cosi lontan dal suo leggiadro volto;
Ciò che mi grava, e che mi pesa molto,
E che mi fa sentir crudel martiro
In guisa tal, che appena in vita spiro,
Com'uomo quasi di speranza sciolto,
Mi saria leve e senz' alcuno affanno;

Ma perch'io non la veggio, com' io soglio, Amor m' affligge, ond' io prendo cordoglio; E si d'ogni conforto mi dispoglio,

Che tutte cose, ch'altrui piacer danno,
Mi son moleste, e 'l contrario mi fanno.

BALLATA I.

Donne, io non so di che mi preghi Amore,
Ch' egli m'ancide, e la morte m' è dura,
E di sentirlo meno ho più paura.

Nel mezzo della mia mente risplende

Un lume da' begli occhi, ond' io son vago,

Che l'anima contenta:

Vero è che ad or ad or d'ivi discende
Una saetta che m' asciuga un lago

Dal cor, pria che sia spenta.

Ciò face Amor qual volta mi rammenta
La dolce mano e quella fede pura,
Che dovria la mia vita far sicura.

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