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Il Perticari, cosi benemerito della nostra Letteratura, scriveva già a Luigi Caranenti. « Di due fregi dovrebbe ornarsi una ristampa delle Rime di Dante; e le farebbero grande onore. L'uno sarebbe una bella chiosa, che le rischiarasse; l'altro un severo giudicio che sequestrasse le certe dalle non certe; le legittime dalle adultere. Il primo è lavoro di lunga fatica, e grave d'assai; il secondo è opera assai difficile e sottile. Nei Codici si leggono versi or col titolo di Dante, or con quello di Allighieri; onde pel nome sovente si baratta l'oro del Poeta divino, col piombo di Dante da Maiano; e pel cognome si cangiano rime del padre con quelle de' figli e de' nipoti di lui, poeti infelici, i quali vennero al mondo per mostrare che la virtù de' maggiori rado si travasa d'una in un'altra generazione. Ora i cercatori de' vecchi libri hanno spacciato per opere del nostro Poeta tutte quelle, che hanno trovato sotto il sigillo ora di quel nome, ora di quel cognome; nè hanno badato alla confusione della persona de' figli con quella del padre, e dello scomposto e pedestre Maianese coll' altissimo Fiorentino.

>> Ecco ragione, per cui molti di quei versi che da Dante si nominano, sono trovati indegni di si gran nome. Qui è dunque necessaria la facella della critica, che entri in questo buio, e lo squarci.

>> È necessario che alcun maestro esamini bene i Codici più solenni; e scelga quelle Rime che sono segnate più dalla interna loro bellezza, che dal solo titolo esterno; e quelle conceda alla imitazione e al diletto degli Italiani. Di quante

rimangono si dovrebbe far poi un' appendice, siccome gli eruditi del secolo XV fecero delle cose dubbie de' classici latini e greci. »

A quest' opera assai malagevole in vero e di sicura importanza mi son io arrischiato in alcuna parte. Non dirò se il mio cuore m'affidi d'esservi riuscito; certo è però che quanto ad assicurare le vere Rime di Dante, mi sembra di non aver dato in fallo, se pure non fui troppo timido ad escluderne qualcun' altra.

Nel Commento mi tenni parco al possibile e sempre fisso nel pensiero di mostrare in atto, come Dante sia il maggiore interprete di se stesso. Poche altre citazioni ho dovuto perciò allegare e non mai, se non dove e quando il mio Autore pareva richiederle. Bensi non mi dà l'animo che le Poesie a tutto diritto stimate apocrife trovino pur luogo in questo volume. Nessuna ragione mel consiglia, nessuna autorità potrebbe obbligarmivi, se già io non fossi costretto a disconoscere i più chiari intendimenti di Dante e le sue espresse parole. Ad ogni modo per riverenza a chi m'ebbe dischiusa la via nel difficile arringo, e non mi cede nell'amore a Dante, ho riposto in un' Appendice parecchie Rime come di dubbia autenticità e meritevoli d' essere recate a nuovo esame. M'ingegnerò anzi di commentarle, perché si vegga che io produco quanto m'è riuscito di raccogliere prò e contra l'altrui opinione. In difetto de' Codici e specialmente di quello originale o degli altri esemplati da esso, non si può se non ricorrere alla Critica guidata dall'amor del vero e dalla luce della scienza opportuna.

Del resto fu bene avvertito ed è il fatto, che i Codici quanto son meglio scritti e più precisi ne'caratteri, tanto sogliono essere fallaci, giacchè l'attenzione a rendere perfetto il materiale lavoro, disvia pel solito dal riguardare all' integrità del vocabolo e cosi pure all'armonia del verso ed alle precise sentenze che vi sono racchiuse. Il che si verifica massimamente allora che il Poeta deriva i suoi concetti dalla scienza e ne adopera il linguaggio, che suol essere ben rimoto, se non disforme da quello proprio degli amanuensi. Ma quando

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