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E però dimorando ancora nel medesimo luogo, donne anche passaro presso di me, le quali andavano ragionando e dicendo tra loro queste parole: Chi dee mai esser lieta di noi, che avemo udito parlare questa donna così pietosamente? Appresso costoro passarono altre, che veniano dicendo: Questi che quivi è, piange nè più nè meno, come se l'avesse veduta come noi l'avemo. Altre poi diceano di me: Vedi questo che non pare esso; tal è divenuto. E così passando queste donne, udii parole di lei e di me in questo modo che detto è.

Ond' io poi pensando, proposi di dire parole, acciocchè degnamente avea cagione di dire, nelle quali io conchiudessi tutto ciò che udito avea da queste donne. E però che volentieri le avrei domandate, se non mi fosse stata riprensione, presi materia di dire, come se io le avessi domandate, ed elle m'avessero risposto.

E feci due sonetti; che nel primo domando in quel modo che voglia mi giunse di domandare; nell' altro dico la loro risposta, pigliando ciò ch' io udii da loro, siccome lo m' avessero detto rispondendo. E cominciai il primo; Voi, che portate: il secondo; Se' tu colui.

Voi, che portate la sembianza umile,

Cogli occhi bassi mostrando dolore,
Onde venite, chẻ 'l vostro colore
Par divenuto di pietà simile?

Vedeste voi nostra donna gentile
Bagnata il viso di pianto d'amore?
Ditelmi, donne, chè mel dice il core,
Perch' io vi veggio andar senz' atto vile.

E se venite da tanta pietate,
Piacciavi di restar qui meco alquanto,
E checchè sia di lei, nol mi celate:

Ch'io veggio gli occhi vostri c' hanno pianto,

E veggiovi venir si sfigurate,

Che 'l cor mi trema di vederne tanto.

Questo sonetto si divide in due parti. Nella prima chiamo e dimando queste donne se vengono da lei, dicendo loro ch'io il credo, perchè tornano quasi ‘ingentilite. Nella seconda le prego che mi dicano di lei: e la seconda comincia quivi; E se venite.

Se' tu colui, c' hai trattato sovente
Di nostra donna; sol parlando a nui?
Tu rassomigli alla voce ben lui,
Ma la figura ne par d'altra gente.

E perchè piangi tu si coralmente,
Che fai di te pietà venir altrui?
Vedestù pianger lei, chè tu non pui
Punto celar la dolorosa mente?

Lascia piangere a noi, e triste andare,
(E fa peccato chi mai ne conforta),
Che nel suo pianto l' udimmo parlare.
Ella ha nel viso la pietà si scorta,

Che qual l'avesse voluta mirare,
Saria dinanzi a lei caduta morta.

Questo sonetto ha quattro parti, secondo che quattro modi di parlare ebbero in loro le donne per cui rispondo. E perocchè di sopra sono assai manifesti, non mi trametto di narrare la sentenzia delle parti, e però le distinguo solamente. La seconda comincia quivi; E perchè piangi tu: la terza; Lascia piangere a noi: la quarta; Ell' ha nel viso.

XXIII.

Appresso ciò pochi di, avvenne che in alcuna parte della mia persona mi giunse una dolorosa infermitade, ond' io soffersi per molti di amarissima pena; la quale mi condusse a tanta debolezza, che mi convenia stare come coloro, i quali non si possono muovere. Io dico che nel nono giorno, sentendomi dolore intollerabile, giunsimi un pensiero, il quale era della mia donna. E quando ebbi pensato alquanto di lei, io ritornai alla mia debiletta vita, ẹ veggendo come leggero era lo suo durare, ancora che sana fosse, cominciai a piangere fra me stesso di tanta miseria. Onde sospirando forte, fra me medesimo dicea: Di necessità conviene che la gentilissima Beatrice alcuna volta si muoia.

E però mi giunse uno si forte smarrimento, ch'io chiusi gli occhi e cominciai a travagliare come farnetica persona, ed immaginare in questo modo: che nel cominciamento dell' errare che fece la mia fantasia, mi apparvero certi visi di donne scapigliate, che mi diceano : Tu pur morrai. E dopo queste donne, m' apparvero certi visi diversi ed orribili a vedere, i quali mi diceano: Tu se' morto. Così cominciando ad errare la mia fantasia, venni a quello, che non sapea dove io fossi; e veder mi parea donne andare scapigliate piangendo per via, maravigliosamente tristi. E pareami vedere il sole oscurare si, che le stelle si mostravano d'un colore, che mi facea giudicare che piangessero: e parevami che gli uccelli

volando cadessero morti, e che fossero grandissimi terremoti. E maravigliandomi in cotale fantasia, e paventando assai, immaginai alcuno amico, che mi venisse a dire: Or non sai? la tua mirabile donna è partita di questo secolo. Allora incominciai a piangere molto pietosamente; e non solamente piangea nella immaginazione, ma piangea con gli occhi, bagnandoli di vere lagrime.

Io immaginava di guardare verso il cielo, e pareami vedere moltitudine di angeli, i quali tornassero in suso ed avessero dinanzi loro una nebuletta bianchissima. E pareami che questi angeli cantassero gloriosamente; e le parole del loro canto mi parea che fossero queste: Osanna in excelsis; ed altro non mi parea udire. Allora mi parea che il cuore, ov' era tanto amore, mi dicesse: Vero è che morta giace la nostra donna. E per questo mi parea andare per vedere lo corpo, nel quale era stata quella nobilissima e beata anima. E fu si forte la errante fantasia, che mi mostrò questa donna morta: e pareami che donne le coprissero la testa con un bianco velo: e pareami che la sua faccia avesse tanto aspetto d'umiltade, che parea che dicesse: Io sono a vedere lo Principio della pace. In questa immaginazione mi giunse tanta umiltade per veder lei, che io chiamava la morte, e dicea: Dolcissima Morte, vieni a me, e non m' esser villana; perocchè tu dei esser gentile, in tal parte se' stata! Or vieni a me che molto ti desidero: tu vedi ch'io porto già lo tuo colore. E quando io avea veduto compiere tutti i dolorosi mestieri che alle corpora de' morti s' usano di fare, mi parea tornare nella mia camera, e quivi mi parea guardare verso il cielo: e si forte era la mia immaginazione, che, piangendo, co

minciai a dire con vera voce: O anima bellissima, com' è beato colui che ti vede! E dicendo queste parole con doloroso singulto di pianto, e chiamando la morte che venisse a me, una donna giovane e gentile, la quale era lungo il mio letto, credendo che il mio piangere e le mie parole fossero lamento per lo dolore della mia infermità, con grande paura cominciò a piangere. Onde altre donne, che per la camera erano, s'accorsero che io piangeva per lo pianto che vedeano fare a questa: onde facendo lei partire da me, la quale era meco di propinquissima sanguinità congiunta, elle si trassero verso me per isvegliarmi, credendo che io sognassi, e diceanmi: Non dormir più, e non ti sconfortare. E parlandomi così, cessò la forte fantasia entro quel punto ch'io volea dire: 0 Beatrice, benedetta sii tu. E già detto avea: 0 Beatrice.... quando riscuotendomi apersi gli occhi, e vidi ch'io era ingannato; e con tutto ch'io chiamassi questo nome, la mia voce era si rotta dal singulto del piangere, che queste donne non mi poterono intendere.

Ed avvegnachè io mi vergognassi molto, tuttavia per alcuno ammonimento d'amore mi rivolsi loro. E quando mi videro, cominciaro a dire: Questi par morto: e a dir fra loro: Procuriam di confortarlo. Onde molte parole mi diceano da confortarmi, e talora mi domandavano di che io avessi avuto paura. Ond'io, essendo alquanto riconfortato, e conosciuto il falso immaginare, risposi loro: Io vi dirò quello c' ho avuto. Allora cominciandomi dal principio fino alla fine, dissi loro ciò che veduto avea, tacendo il nome di questa gentilissima. Onde io poi, sanato di questa infermità, proposi di dir

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