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Ch'ella comincia a bene e mal sentire.
Ed in questa cotal dov'è savere
Ch'omai cade in peccato

S'ella fallasse a Iddio,

E merito sed ella ben si porta.
E sua figura per meglio mostrare
Puote vedere quì di sovra pinta

Davanti a una Donna ch' ha nome Innocenza,
La quale da comiato di sua corte

A condizione, s'ella non conserva

L'usata puritade, e dice queste parole:

Leggendo col ch. Manzi dov'è savere, il savere passa all' officio di nome, ed il che susseguente, mancando di reggente, lascia infranto il concetto. Così la voce merito del nono verso riesce impacciosa perchè priva di un verbo che ne diriga il valore associandolo agli altri membri della proposizione. Altrettanto dicasi del verbo puote che privo di soggetto rimane in ponte. Finalmente vi troviamo due versi annormi, e la frase verbale dar commiato mancante del suo relativo. Tutto ciò si rammenda con facilità, solo che si facciano due osservazioni. La prima che il n. a. ama troncare la seconda persona plurale del presente e del futuro dei verbi, dicendo spesso: save', porre', vole' e simili, invece di: sapete, potrete, volete. La seconda che il medesimo interpone ai suoi versi, massime nelle allacciature del poema, alcune parole di prosa. Ciò posto, ecco come nel tratto sovrascritto io leggerei la parte bisognosa di concieri:

E di questa cotal dove' savere
Ch' omai cade in peccato
S'ella fallasse a Iddio,

E merit' ha sed ella ben si porta.
E sua figura per meglio mostrare

Porre' vedere quì di sovra pinta

Davanti a una Donna

Che ha nome Innocenza,

La qual le dà commiato di sua corte
A condizione: s'ella non conserva
L'usata puritade.

e dice queste parole:

Sicch' io mi credo, che più piaccia ancora
Quella che non si sforza d'apparire
Con men bellezze, che l'altre con quelle
Che son dipinte, e non duran com' elle.

Il n. a. usa la nota toscana voce cavelle o covelle (equivalente a poco di cosa od a nonnulla) a facc. 298 dove ha questa coboletta:

Da quel Medico ti guarda
Ch' alla malattia men guarda
Ch' alle tue fattezze belle;
Tu non ne farai cavelle.

Anche qui mi pare che ricorra la voce stessa, e che però, invece di com' elle, si possa leggere:

Che son dipinte, e non duran covelle.

intendo: le quali bellezze, sendo dipinte e non da natura, non ponno avere durata alcuna.

Ora vi discendo agli altri gradi di questo Capitolo:

E s'ella sarà figlia

Di Marchese, di Duca,

O Conte, o d'alcun simile Barone,
Porrà tenersi alli detti costumi,
Ma puote più indugiar a cominciare,
E già non farsi altri portamenti;
E non bisogna ch'ella

Cotanto tenga stretti suoi costumi.

Dopo aver parlato delle figlie d'Imperatori e di Re, discende ora a dire delle figlie poste in gradi inferiori. Non esito quindi a proporre la seguente variante:

E già non far si alti portamenti.

S'ella sarà figliuola
Di Cavalier da Scudo,
O di solenne Giudice,
O di solenne Medico,
O d'altro gentiluomo;

Li cui antichi ed ello sono

Di mantener onore;

Nella cui casa sono,

O sieno usati d'esser Cavalieri,

Costor pongo in un grado in questo caso.

In questo tratto chiarissimo fa macchia il verso:

Li cui antichi ed ello sono,

il quale, non solo oltrepassa la misura, ma non offre alcun significato opportuno. Supporrei per conseguenza che il nostro Messer Francesco l' avesse invece scritto così:

Li cu' antichi adusòno

per; ebbero in uso, o adusarono.

Anzi vediamo spesso

Le grandi altezze al basso ritornare:
Però dovria ciascuna

Ordinare, non sicondo, che le può avvenire.

E tutti i savj laudan questo molto

Provvedersi dinanzi.

L'Autore vuol premunire la Donna contro l'evenienza che la Ventura la volgesse al di sotto, e però raccomanda molta provvedenza dell' avvenire, e moderata fiducia nel presente. Ora facendosi ad osservare con attenzione la lezione Manzi, vedremo che questa dicendo: perciò ciascuna non dovrebbe ordinare sè stessa secondo quello che le può avvenire, riesce a dire puntualmente l'opposto di quanto esige la sentenza. È dunque necessità logica restituire alla proposizione il termine relativo al presente che le manca e che dee venire dopo le parole non sicondo, e collegarlo coll' altro termine che riguarda il futuro. D'altra parte noi nelle parole - Ordinare non sicondo che le può avvenire abbiamo de' ruderi di versi, ma non abbiamo verso, per cui sorge l'ulteriore necessità poetica di portarvi rimedio. Finalmente la voce molto non mostra esser chiamata dalle parole seguenti, le quali hanno sembianza di assioma riciso ed enunciato appunto come tale. Pertanto, dietro le suesposte considerazioni, non dubiterei di suggerire la seguente emendazione:

Ordinar, non sicondo

Quel ch'è, ma quello che le può avvenire.
E tutti i savj lodan questo motto:
Provvedersi dinanzi.

Che già per altro non furon trovati;
Se non per render l'uom certi coloro,

Alli qual non può gire,

Del loro intendimento e lor volere.

Si tratta del leggere e dello scrivere. Parrebbe dunque che l'ultimo verso potesse mutarsi in:

Dello suo intendimento e suo volere,

e costrurre la sentenza così: li quali per altro non furon trovati se non per render certi coloro, ai quali l'uomo non può gire, del suo intendimento e del suo volere.

E non si curi tosto da conciare,
Ma scalza e mal vestita,

Non pettinata, nè lisciata molto,

Come il poder della Casa richieda,
Si procuri d'andare:

Perocch' a star fanciulla,

E andarsi lisciando,

Non si convengon molto bene insieme.

Qui è questione dell' ancella o servente, e perciò se nel primo verso riesce spontaneo il leggere d'acconciare in luogo da conciare, nel sesto troviamo impropria la voce fanciulla, la quale in questo libro vale sempre giovinetta con relazione all' età, e non con relazione al grado sociale. Non è quindi difficile il persuadersi che invece di fanciulla il n. a. avrà scritto:

Perocchè star fancella

Ed andarsi lisciando ecc.

ove fancella è crasi del vezzeggiativo fanticella, e così con più cortese uscita di quella non presenti fantesca. La

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