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Quattordici anni dopo, cioè nel 1829, discorrendo io a lungo la Poetica de' Trovatori e confrontandola colla nostra, venutovi a parlare di quella forma, che essi dissero Insegnamento ed anche Conto, scriveva tra le altre. cose anche le seguenti « Vedutisi perciò i Trovatori pia» ciuti allor che insegnavano, ebbero non pochi canti in» segnativi, siccome vedremo, e come è questo che ab>> biamo ora per le mani, e se li ritennero e coltivarono con molto frutto. Furono presso loro codesti Insegna» menti nella forma componimenti simili alla Epistole » vedute o Brevi che vogliam dire, rimati perciò a due » a due versi, rade volte a tre a tre, e più rade volte con versi frammezzativi ordinatamente di più lunghe » misure. E, si dirigevano questi ad una damigella, ed erano una istruzione del ben reggersi convenevole a >> stato di damigella, dello abbigliarsi, acconciarsi, acco> gliere, intertenere, rispondere, amare, servire alla Dama » o Signora, far corte, sciorre partiti, liberarsi da in» chieste, tener modo di onestà e cortesia. Erano ad un >> damigello, ogni cosa per contrario si dirigeva a farlo piacente alle dame, allegro nelle corti, sufficente alle » opportunità, ajutante ne' tornei, valoroso e ridottato in >> battaglia. Si figurava dal poeta una caccia, un errare >> suo per un bosco, un diportarsi per una città, e quivi >> era incontrato da un giullare, che gli chiedeva del modo » dei diletti da usare, delle poesie e conti da apprendere, del costume da mantenere; allora il trovatore lo >> traeva in disparte presso una fontana sotto il coperto » di verdi foglie, e gli facea un lungo insegnamento dei >> giuochi da sapersi, delle favole e romanzi da appren>> dere per citare a convenienza, delle poesie migliori da >> porsi nella memoria, delle altre allegrezze da corte e » da giullare, e lo mandava da sè più lieto e assennato; » e così va dicendo di molte simili maniere, come ve

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› dremo per gli esempi che qui recherò. Erano insomma » cotali insegnamenti (per usare di quel nome oggi mai ⚫ così di predicazione che per esso intendiamo la ragione › dell'opera) erano dico altrettanti particolari Galatei, > altrettanti Trattati degli uffici civili. I quali, siccome pel bisogno a tutti comune non potevano agl' Italiani » passare non conosciuti, così fu che noi gli avemmo, e >ne compose di questi il Barberino i suoi Reggimenti » delle Donne; perchè se o più insegnamenti avessimo, ⚫ od anche l' opera italiana fosse venuta a noi più corretta, non sarebbe forse difficile a mostrarsi tolta presso » che tutta dai Provenzali ». E nel dir questo io ribadiva la sentenza sposta dall'Ubaldini nella vita del nostro Francesco, cioè che esso, volgendo l'animo alle rime volgari, diede opera agli scritti de' Provenzali, e dai medesimi il più bel fore cogliendone, non tralasciò sorta di rima, in cui, secondo l'uso di quella favella, toscanamente non si esercitasse. Al che qui al presente si potrà aggiungere che se il da Barberino diede unità e corpo agli svariati e più brevi insegnamenti di Amadio di Esca, di Arnaldo di Marsano, di Pier Vidale, di Giraldo Riquiero, e di Calansone e di altri, tuttavia a tessere l'insieme della sua favola com' egli fece, e a dare al suo libro forma di poema, anzichè di trattato meramente didascalico, ebbe per avventura altri inviti.

Nato il nostro Francesco nel 1264, ossia un anno prima dell' Allighieri, dal 1309 al 1313, per bisogni della Chiesa Fiorentina stette in Provenza ed in Francia e così 4 anni e 3 mesi continui, passandoli ora ad Avignone dove Clemente V. avea tratta la S. Sede, ed ora presso Filippo il Bello Re di Francia e Luigi Utino suo figliuolo, de cui modi e costumi, scrive il citato Ubaldini, fu spettatore ed osservatore, mentre da lui si seguito la vaga lor Corte per la Guascogna e per la Piccardia. Ora

stando colà lungamente e frequentando que' briosi cortigiani, dovette sentirvi spesso rammemorare l'amoroso Romanzo detto della Rosa. Cominciato questo da Guglielmo di Lorris, e seguitato più di 40 anni dappoi da Giovanni di Meun, levò esso nel secolo XIII. e più oltre troppo romore di sè per non esercitare sulle menti amanti del meraviglioso, e quindi sulle poesie tutte volgari, una decisa influenza.

Ovidio avea trattato l'arte di amare direi quasi in prosa e pedestremente appresso costoro. Non più contenti ai precetti ed agli abbellimenti risorgenti dalla materia, crearono essi una favola ove tutto divenne simbolico, e dove il lettore si trovò condotto per continui raggiri e per sempre successive finzioni, all'ambita conquista della Rosa. Guglielmo immagina d' essersi addormentato a vent'anni in un bel giorno di primavera, e di avervi avuto il più gradevole di tutti i sogni.

<<< Il lui sembla, dice l' Abbate Massieu nella sua >> Istoria della Poesia Francese, qu'il se promenoit dans » un des plus beaux vergers du monde, près duquel » étoit un Jardin delicieux, où il apperçut une Rose » d'une beauté surprenante. Il conçut aussi-tôt le dessein » de s'en approcher, et de la cueillir. Mais il trouva de » grands obstacles dans l'exécution. Il fallu traverser des » fossez, escalader des murs, et forcer des châteaux. >> Les principaux habitans de ces lieux enchantés sont ou » des Divinitez bienfaisantes, comme Amour, Bel-accueil, » Pitié, Franchise; ou des Divinitez malignes, comme >> Faux-semblant, Danger, Male-bouche, Jalousie. Elles paroissent les unes après les autres sur la scène, et » elles y parlent tour à tour. Tout est vivant et animé » dans cet ouvrage; tout y a une figure et une voix. » Les difficultés ne rebutent point l' Amant de la Rose,

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qui enfin par une longue perseverance et par une fi

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Ora io mi penso che il nostro Francesco non isfuggisse all' artistica influenza di questa famigerata Visione, e che, se dai Trovatori al di quà della Loira potè trarre l'idea semplice di porre in versi gli insegnamenti opportuni al vivere costumato e civile, dai Troverri, al di di detto fiume, e più precisamente da Guglielmo di Lorris, trasse l'altra assai più composta di dare a tutto ciò, non solo una forma drammatica e dialogistica, ma d'introdurvi ben anche molte personificazioni morali e mitiche, le quali allungando la materia ed interrompendone lo sviluppo, non forse sempre piacevolmente, sottopongono la parte precettiva all' impero di un simbolismo, e di una vorrei dire medievale poetica architettura, di cui è officio il rendere a forza magnifico l'umile, ed artifiziato il semplice e piano.

Ma che che debba dirsi di questi pensieri, io mi vi son lasciato trascorrere per entro anche troppo; giacchè lo scopo di questa mia rispettosa lettera a V. S. non è già quello di parlare in genere dei Reggimenti delle Donne, ma si di toccarne solo con relazione al desiderio tuttavia non soddisfatto di averli in una ristampa più emendati di quello non appajano nella prima edizione del ch. Manzi, e di tentare colle mie ciance di riuscir pure a persuaderla ad assumersi questo pietosissimo incarico.

I benemerito editore Romano parlando dell' unico Ms. Vaticano, di cui ebbe agio di servirsi, lo chiama Codice erroneo trascritto nel secolo XVII da più antico esemplare, tronco in molti luoghi, di scrittura pessima,

coi versi distesi a guisa di prosa come s'incontra nei Codici del 300, per mano imperita e non intendente delle bellezze di nostra lingua. Aggiunge però com' esso trovisi postillato di varie lezioni segnate col lapis, e così in gran parte cancellate dal tempo e rese quasi inintelligibili con danno grave dell' opera, conciossiachè il postillatore vi si mostri sperto e di fino giudicio. Tuttavolta il Manzi dichiara di non aver sempre seguitato le correzioni marginali suddette, ma di avere invece riprodotto il più spesso il testo vaticano, rammendandone soltanto la grafia vieta ed incerta.

Per conseguenza, se esso era attorniato da tante difficoltà, fece opera bastevolmente lodevole nel darci l'Insegnamento Barberiniano quale l'abbiamo, e solo lasciò sussistere il desiderio di vedere riprodotte da lui in piè di pagina quelle varianti toccate al lapis che egli non accettava; giacchè, o queste provenivano dal confronto con altro Codice ora smarrito, e diventavano interessanti, od erano frutto della critica d'uomo giudicato meritamente dotto ed intelligente, e riuscivano sempre e ad ogni modo opportune. Chi per avventura può essere assai meno scusato è l'editore milanese Sig. Giovanni Silvestri, il quale nel 1842 ripubblicando tra la sua Biblioteca scelta i nostri Reggimenti, anzichè dar la cura ad uno di que' valenti filologi di cui abbondava la sua città di migliorare la nuova edizione, stette contento a rifingere siffattamente la Romana del Manzi, da non aggiugnervi di suo neppure un avvertimento che ammonisse il lettore del perchè e del come esso si era dato pensiero di riprodurla. Le due edizioni sono dunque in fatto una sola, e noi seguitando a parlare della prima, potremo ommettere del tutto di tener discorso della seconda. Pare a me dunque che l'opera del Barberino, quale si trova di presente, lasci a desiderare, oltre ad una riforma sulla sua puntatura, 1.o

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