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(260 v.) I pagani (1) non attendono ad altro che ad uccidere, nè alcuno scampa alla strage all' infuori di Baldovino, figliuolo di Gano, al quale vien fatto di armarsi e fuggire verso il campo di Carlo, quantunque nella fuga venga ferito a morte da certi nemici. Solo Orlando se ne sta tuttavia all' acquitrino immobile come statua, non sapendo che si fare. V' arriva un cristiano rinnegato di Brava, che mosso a pietà, gli profferisce di trarlo fuori del pericolo. Orl. chiede a Parigi - tale è il suo nome che gli mostri Marsilio, e condotto ad un trivio, dove poco stante sopravviene il re, gli si avventa per ucciderlo, ma invece di coglier lui colpisce e dà morte a un suo figliuolo, chiamato Galafro, d'età di ventidue anni. Allora un saracino passa con una lancia Orl, che cade morto; quei barbari fanno strazio del suo corpo, e poi lo gittano in un fossato. Marsilio piange il figlio, e quindi con Bianciardino torna a Saragozza, mentre le sue genti, non avendo più chi trucidare, si pongono senz' armi a fare gozzoviglia.

Baldovino intanto incontra Salamone e gli narra la tremenda sciagura; uditala, il re di Brettagna, che era avviato a Roncisvalle, si torna addietro. La nuova si sparge; Baldovino annunzia il disastro a Carlo, e chiamato traditore il padre, cade morto a terra. L'imperatore e Namo tramortiscono allora, e quando il primo si risente, si scaglia colla spada sopra di Gano, e lo ucciderebbe, se non lo rattenessero i baroni. Il Maganzese pertanto è legato; si raccoglie il consiglio, e si delibera di muovere senza indugio contro i nemici. Si fanno poscia tre schiere: Salamone, Uggieri e Iserese guidano la prima; Rinieri e Arnaldo di Borgogna col re Gottibuofo la seconda; l'imperatore la

(1) Seguitando l'uso dei romanzieri, uso questo vocabolo nel significato di saracini.

terza. Avanti di porsi in cammino Carlo supplica Iddio che s'appianino le montagne, si prolunghi di tre ore il giorno, e v' abbia modo di distinguere i cadaveri dei cristiani per dar loro sepoltura. Iddio concede tutte e tre le grazie, sicchè in poco d'ora l'esercito giunge in Roncisvalle, ove la prima schiera uccide quanti nemici trova, uomini, donne e fanciulli, accorsi per vedere e per raccogliere bottino.

(265 v.) Ora mutano le parti: gli sterminatori sono sterminati essi stessi, come i cristiani poc' anzi, immersi nell' ubriachezza. Falserone è ucciso e trascinato a coda di cavallo; Consubrino, i re di Ragona, di Gibiltaro, di Bellamarina, Sinattore, Grandonio, Mazarigi, Altomare padre di Serpentino, e altri assai, vengono del pari messi a morte. Molti dei saracini, che s'erano chi qua chi là nascosti per i burroni, sono trovati e fatti a pezzi. Compiuta in tal guisa la strage, si adunano insieme i corpi dei paladini; ma solo il giorno appresso si riesce a porre cogli altri quello di Orl., che non si sarebbe trovato, se non l'avesse indicato Parigi, il quale l'aveva veduto gittare nel fosso. Costui, ottenuto prima il perdono dell' imperatore, gli narra in qual modo morisse il conte. Dopo gran pianto i cadaveri dei cristiani sono sepolti in Roncisvalle, trattine quelli che si vogliono trasportare alle loro terre; i corpi dei saracini vengono invece arsi. Carlo manda anzitutto a Parigi le salme di Orl., Ulivieri e Sansonetto, perchè abbiano sepoltura in S. Dionigi; di poi dal rinnegato di Brava viene a risapere tutto il tradimento del Maganzese. Allora, senza porre tempo di mezzo, se lo fa condurre dinanzi; il perverso non si raumilia, non cerca occultare il misfatto, e dice, altro non dolergli, salvo il non aver potuto far morire Carlo istesso. A queste sue impudenti parole segue la punizione; egli è attaccato alla coda di quattro cavalli, e per tal guisa squartato. Essendo omai

sera, si attende a buona guardia, e al nuovo giorno, tenutosi consiglio fra i baroni, l'esercito si muove, e nuovamente si avvia alla Stella, dove alloggia la notte, per ripigliare di poi il cammino alla volta di Saragozza.

(273) Come le nuove di Roncisvalle giungono a Marsilio, non è a dire di qual terribile dolore gli siano cagione, e quanto egli imprechi a Gano. Mentre si duole, l'annunzio dell' approssimarsi dei nemici gli spegne ogni speranza, sicchè con tutta la famiglia e con Bianciardino e Balugante si mette in mare alla volta dell' Egitto, ove possiede due reami, dote della sua donna. « E nel libro de la Ispagnia iscritto in rima dicie che lo re Marsilio per non venire a le mani di Carlo si gittò giù d'una torre, ma questo non fu vero». Carlo venuto adunque a Saragozza spaccia anzitutto cento galee ad inseguire i fuggiaschi, quindi riceve la dedizione della città, fa disfare il palagio reale e manda genti a soggiogare le altre terre. Compiuta la conquista, aduna il consiglio, e profferisce a chi la voglia la signoria della Spagna, che i principali ricusano, ed è chiesta alla fine da Ansuigi di Brettagna. Questi è incoronato, e Carlo, lasciati in sua compagnia Iserese, l'arcivescovo Berlinghieri e Ramondo di ............ (il nome è lasciato in bianco), torna a Parigi.

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(277 v.) Fino a qui la regina aveva saputo tener celata ad Alda la spaventevole catastrofe. Udito il ritorno dell' imperatore, la donzella pensando che con lui siano Orlando e Ulivieri, sposo il primo, fratello il secondo, viene al plagio e gittandosi a' piedi di Carlo, chiede dei due paladini. Carlo piange, nè sa rispondere altro, se non che dessi sono in S. Dionigi. Tramortisce allora la misera, ed è trasportata sopra di un letto; risentitasi poi, fa gran pianto e domanda la morte. E poco stante le appaiono nel sonno lo sposo e il fratello, e si le dissero: Sappi che la tua orazione di volere morire con esso noi

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t'è stata esaldita dal nostro signiore Iddio, è però domattina verrai a Santo Dionigi e udirai una messa collo re Carlo, e ti confessa e comunica, e poi farai aprire la nostra sepoltura ed entreravi dentro, e poi ridomanda a Dio quella medesima grazia, e sarai esaldita come domandi ». Alda non palesa ad alcuno la visione, e persuaso Carlo ad andare la mattina appresso con lei a S. Dionigi, vi si reca vestita a festa. Adempiuta quindi ogni cosa secondo l'ordine rivelatole, entra nel sepolcro, dove i due cadaveri a di lei preghiera si scostano per farle luogo fra loro, e spira con gran pianto di tutti i presenti. E ciascuno può considerare lo dolore e la malinconia che ciascheduno doveva avere, si della morte d'Orlando e d'Ulivieri, e di tanti nobili e franchi baroni erano morti, e sì della maraviglia che avevano veduta, e si della morte d'Alda la Bella, ch'ella in tale maniera aveva fatta con tanta dolcieza e allegreza. E lo re Carlo s'avvisò, che per cierto ella doveva avere saputo per rivelazione divina la sua morte, e però era così allegra, e confortava gli altri, della qual cosa tutti rimasero istupefatti. Lo re Carlo fe' chiamare quello che l'aveva confessato, e domandollo se la.... E qui ci vien meno il nostro testo: disgrazia assai lieve, poichè ponno mancare poche linee e non più.

Non so quale effetto abbia prodotto nell'animo di chi legge questa narrazione del nostro autore: ma se non m'inganno giudicando gli altri da me stesso, sarà loro sembrata poetica e non priva di bellezze la prima parte, prosaica affatto e intollerabile quella in cui si dovrebbe descrivere la battaglia. Che Nicola da Padova, dopo aver, narrato tante meraviglie di Orlando e degli altri paladini, li volesse far morire inermi, trasognati, senza nè anco poter far difesa, nonchè ammucchiarsi dattorno cadaveri di nemici, non sarà alcuno il quale possa crederlo. Allora ci si presenterà spontanea questa ipotesi: il prosatore se

gui non infedelmente il suo testo fino alla partenza di Gano dalla Spagna, e quindi innanzi lo mutilò, forse per desiderio di arrivare presto alla fine. Certo non può negarsi che una tale supposizione sembri sciogliere il problema, e rispondere alla verità.

Suppongasi infatti che Nicola abbia realmente rimato la rotta di Roncisvalle. Per non disdire a quanto egli afferma in quel luogo dell' Entrée, di cui già ci accadde parlare, egli dovrà aver posto a base del suo racconto la cronaca di Turpino, o almeno tolto di là parecchi incidenti. Su quest' orditura avrà peraltro tessuto una tela tutta sua, affinchè l'opera riuscisse poetica e tale da potere in qualche modo gareggiare colla Chanson de R. Ebbene, non vediamo noi forse una mistura di questa fatta nella nostra prosa? Colla cronaca dell' Arcivescovo scorgiamo infatti parecchie attinenze; con essa convengono le vettovaglie e le donne inviate al campo cristiano, con essa quel fatto d'Orlando, che da un nemico si fa indicare Marsilio, con essa il fendersi del corno, con essa lo scampo di Baldovino e il suo venire a Carlo, con essa infine il supplizio di Gano compiuto in Roncisvalle. Ma poi, a tacere di molti inciincidenti che mostrano attinenze coi testi della Chanson, noi troviamo aggiunti ad abbellire il racconto il fatto dello schiaffo dato da Ulivieri a Gano, i notturni rimorsi di costui, allorchè sta per far mercato dei paladini, e i segni funesti e terribili che seguitano ai perfidi giuramenti. S'aggiunga, se vuolsi, quel porre accanto a una fonte di mirabile artificio i colloquii di Gano e Marsilio, che ci viene a richiamare la descrizione minuta che di un' altra fonte mirabile s' incontra nell' Entrée, là dove Orlando pieno di maltalento si è partito dal campo di Carlo. E v' ha dell' altro ancora: tra le condizioni della pace noi vediamo qui menzionata espressamente questa, che il cammino di S. Jacopo debba esser libero ai pellegrini: il che ottimamente si conviene

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