Sayfadaki görseller
PDF
ePub

a Nicola: poichè questo e non altro, secondo l' Entrée, era stato il fine precipuo del muovere la guerra. A tutto ciò s' aggiunga da ultimo non solo la menzione di Iserese, ma si ancora quell' aver fatto che il cadavere di Sansonetto sia portato a Parigi con quelli di Orl. e Ulivieri: nel che traspare una certa predilezione per questo personaggio, naturalissima in Nicola, che doveva egli stesso esserne stato inventore.

Ho esposto schiettamente e senza punto attenuarli gli argomenti onde può avvalorarsi la credenza che la prosa altro non sia qui che l'immagine della supposta versione di Nicola: li ho esposti quali apparvero a me stesso, allorchè studiando il soggetto sembrò a me pure che la cosa dovesse propriamente stare così. Ma poi poco a poco questi argomenti, parte svanirono come nebbia, e i pochi che ancora rimasero apparvero si fiacchi, scompagnati dagli altri, da non potersi reggere di fronte alle ragioni contrarie. È vero che noi troviamo qui certe scene in cui si ravvisa un'impronta poetica, e che certo non derivano da Turpino: ma è vero altresì che desse, e insieme con esse anche la circostanza della fonte, tutte ci riappaiono o nell' una o nell' altra delle versioni in rima, che prenderemo tra breve tempo a studiare. Ora, poichè l' una almeno è per testimonianza del prosatore istesso più antica del libro suo, con qual diritto negheremmo che costui, il quale ha in addietro preso a prestito dalla rima non poche cose, non abbia fatto il medesimo anche qui? Che parecchi incidenti e particolari sieno comuni alla cronaca di Turpino, è ben vero: ma questi mostrano per la massima parte tale affinità con quella versione in rima, che chiameremo Rotta di Roncisvalle, da rendere indubitata una imitazione diretta o per parte del rimatore o del prosatore. Lascisi in sospeso, fino a che non siasi studiato quel testo, quale sia il modello, quale l'imitazione, ma intanto non si trag

gano di qui argomenti in favore della prosa. Quell' acconciare poi il termine della guerra in guisa che risponda ad un romanzo di si tarda invenzione qual'è l' Ansuigi, e il contraddire alla Spagna in nome di questo e non già del Turpino francioso, suscita ancor esso non lieve sospetto. Nè minore lo desta il vedere come nella morte di Alda si segua la versione dei testi rammodernati, precisamente come si fa nella Spagna, la quale vedremo per qual via siasi condotta a cotale riuscita. Nè questo è il peggio: la narrazione della battaglia di Roncisvalle non può in nessuna maniera essere tratta da un testo poetico, ne vale a spiegarla la supposizione di un raccorciamento. Qui non si tratta già di macchie originate da mutilazioni, ma di difetti sostanziali, e che toccano propriamente all' essenza del racconto. Lasciamo pure in disparte quel meschino artificio del rinnegato Parigi, certo non introdotto per altro che per quel benedetto desiderio di verisimiglianza, da cui è invaso il nostro autore, affinchè cioè serva a spiegare come mai si risapessero i particolari della morte di Orl.; lasciamo quel tener sempre calcolo dei giorni, quell' introdurre nelle parlate esempi tratti dall'antichità, ed altri simiglianti amminicoli, i quali manifestamente mirano tutti al fine di dare alla narrazione l'apparenza di storia vera, fine codesto che Nicola non si era mai proposto.

Se dunque rifacciamo ora i nostri conti, vediamo come soli si tengano ancor ritti gli argomenti tratti dal cammino di S. Jacopo, dalla sepoltura di Sansonetto, e dalla menzione d'Iserese (1). Ma e chi non vede come questi pure traballino, appena consideriamo che il prosatore doveva

(1) Di Mazarigi non posso dire, perché è già nel testo marciano della Chanson (Malçeris).

pure sforzarsi di collegare alla meglio quest' ultima parte, col rimanente dell'opera sua? Un argomento assai valevole ci fornirà pure la terza parte del mio lavoro: ivi vedremo la Spagna in rima, che nei primi ventotto canti ha tratto sempre la sua materia da Nicola, spesso seguendolo fedelmente, più spesso modificandone le narrazioni con quella libertà che niuno vorrà mai negare ad un poeta, volgersi d'un tratto per altra via e seguire guide al tutto nuove. Crederemo noi che l'autore avrebbe fatto ciò, se Nicola avesse potuto fornirgli materia anche per quest' ultima parte? A me la cosa non appare in verità troppo verisimile. Riserbandomi adunque di ritornare ancora su questo soggetto, lo abbandono per ora, e mi volgo allo studio delle versioni popolari in ottava rima.

(Continua.)

LE PRETESE AMATE DI DANTE

DI F. G. BERGMANN

(Continuazione. V. alla pag. 225, Anno 3.o, Parte 2.a)

V.

La Gentucca

Questa pretesa amata di Dante deve la sua immaginaria esistenza solo alla falsa interpretazione che dal secolo XIV in poi i commentatori han dato a' versi 36-63 del XXIV del Purgatorio. Però importa spiegar questi versi per confutare d'una maniera perentoria e mettere a nudo siffatto errore.

Scopo della Divina Commedia è, secondo l'espressione di Dante, di « ritrarre i viventi dallo stato di miseria, e di condurli allo stato di felicità; » il che significa che essa come in un quadro e sotto forma epica insegna i veri principi dell'ordine sociale, morale e religioso, i quali, stando alla dottrina di Beatrice o del cristianesimo, rendono l'uomo lieto in questa vita, beato nella eternità. Dante dovea perciò nel suo poema spiegarsi intorno al valore di ogni interesse sociale, morale, intellettuale e religioso dell'umanità. Poeta com'egli era, dovea nelle altre questioni manifestare l'opinione sua sulla importanza morale della poesia epica de' romanzi del suo tempo e valutare sotto questo punto di vista la sua poesia amorosa paragonata con quella de' trovatori provenzali e italiani,

fossero essi suoi predecessori, fossero suoi contemporanei. Di questo modo l'Alighieri in vari luoghi della Commedia ha giudicato il valore morale della poesia pagana o classica dell'antichità. Mostrando, p. e., che i grandi poeti del paganesimo sono onorati nell' altra vita, ma che tutti, compreso Virgilio, sono esclusi dal paradiso, e confinati nello inferno in una specie di Ebro sotterraneo, egli dichiara per ciò stesso che secondo lui la poesia del paganesimo greco e latino è generalmente bella, grande e sublime, ma che non può nè deve dare a un' anima cristiana un appagamento completo, perocchè essa non saprebbe condurla alla beatitudine del Paradiso celeste. Inoltre, rappresentando la commovente scena del suo dialogo con Francesca da Rimini nell'Inferno (C. V, 80-142) Dante vuol mostrare coll' esempio di questa donna, dapprima casta, poi spinta all' adulterio dalla lettura d'un romanzo di Lancellotto, come v'abbiano di tali racconti galanti che siano per molte donne ciò che Gallehaut fu per la regina Ginevra, cioè un seduttore e mezzano; e vorrebbe così premunire e preservare le donne cristiane dal pernicioso influsso di queste opere romanzesche (1). Altrove (Purgatorio, c. XXVI, v. 142-145) parlando con ammirazione del trovatore provenzale Arnaldo Danielo, che avea tradotto il romanzo di Lancellotto e Ginevra, mettendolo fra' lussuriosi del Purgatorio, ove gli fa dire:

Je sui Arnautz, que plor e vai chantan:
Consiros vei la passada folor,

E vei jauzen lo joi qu' esper denan;

Dante mostra il pericolo morale di cui son cagione certe poesie amorose. Da ultimo ne' canti XXII, XXIII e XXIV,

(1) V. Danle et sa Comédie pag. 20.

« ÖncekiDevam »