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A questa questione sulla sorgente della poesia elevata Dante risponde che egli è del novero de' poeti che cantano secondo Amore gl' ispira, e che nelle lor composizioni s'innalzano sempre al grado in cui trovasi esso stesso, l'amore, ossia l'ideale che detta ed ispira i lor canti; indicando con ciò che il valore morale di ogni poesia è tanto quanto l'altezza della ispirazione del poeta. I versi son questi:

... I' mi son un che, quando

Amore spira, noto, ed a quel modo
Che detta dentro, vo significando.

Bonagiunta, chiarito dalla risposta di Dante, comprende perchè le ali dell' ispirazione poetica dei trovatori pari al Notaio di Lentini, a Guittone d'Arezzo e a lui stesso, siano state come legate e ritenute da un vincolo volgare senza potersi spiegare nè levare all'alto volo dell'ispirazione, all'amore o all' ideale superiore che domina nelle poesie dell' Alighieri; e però si esprime :

O frate, issa vegg' io, diss' egli, il nodo
Che il Notaio e Guittone e me ritenne
Di qua dal dolce stil nuovo ch' i' odo.

Io veggio ben come le vostre penne (1)
Diretro al dittator sen vanno strette,

Che delle nostre certo non avvenne.

Intanto il dolore che Bonagiunta avrebbe potuto provare di non aver attinto all'altezza dello stile nuovo di Dante, è disacerbato dal pensiero che v' abbia un amore

(1) La parola strette avrebbe dovuto far comprendere ai commentatori e a' traduttori che la parola penne non significa qui le penne per iscrivere ma le ali per elevarsi.

superiore a quello che gli ha ispirato questo nuovo stile, e ad ogni espressione poetica, cioè l'amore divino o la contemplazione di Dio, la quale ci porta in estasi quando noi riguardiamo più in alto che non è l'avvenire delle cose filosofiche e delle pratiche religiose. Secondo Dante, infatti, l'estasi di S. Bernardo, tipo della contemplazione, è al disopra dell' adorazione di Dio per mezzo di Beatrice, simbolo della religione; e assai più al disopra della saviezza di Virgilio, tipo della filosofia, della sapienza e della giustizia umana. Or quando si è occupati come Bonagiunta nel Purgatorio dell' opera della propria santificazione, e mossi dal desio d'arrivare per la penitenza alla contemplazione di Dio, allora non si saprebbe più attender gran fatto al valore relativo dei differenti generi e stili poetici: lo stesso stile nuovo, del pari che lo stile antico, sparisce davanti all' estasi inesprimibile della contemplazione, la quale è superiore all' uno e all' altro genere di poesia: e non si vede più il vantaggio del tale stile sopra il tal altro. Perciò è che Bonagiunta finisce la sua breve, ma animata conversazione con Dante, dicendo che coloro i quali come lui (e qui per mezzo dei gesti si designa egli stesso) spingono i loro sguardi fino alle cose inaccessibili alla poesia, non hanno più bisogno di tener conto della questione letteraria dei generi più o meno elevati, e non hanno più a dolersi tanto di non aver passato, come il Divino Poeta, dallo stile antico allo stile nuovo; imperciocchè, a chi cerca l'amore assoluto, ogni stile poetico potrà essere indifferente:

E qual più a guardar oltre si mette
Non vede più dall' uno all' altro stilo.

Appagato per questo pensiero la sua intelligenza, e consolato il suo cuore, Bonagiunta in presenza dell' Alighieri non guarda più che tanto alla questione sulla causa del

valore relativo dei generi poetici; lascia gli argomenti letterari e, taciuto, s' affretta a riprender con nuovo ardore l'opera testè sospesa e solo importante quind' innanzi per lui, della sua penitenza e santificazione; onde Dante soggiunge:

E quasi contentato si tacette.

Tale, secondo me, è la spiegazione vera di questo passo del Purgatorio, il quale nessuna persona, ch'io sappia, ha compreso bene fin qui. Ma come può essere, dimanmanderà qualcuno, che da valorosi ingegni siasi creduto qui alla esistenza di una amata di Dante a nome Gentucca? Ecco le false induzioni che hanno portato e raffermato questo errore.

Dante parlando nel Vulgari Eloquio della forma della lingua italiana, la più nobile e la più convenevole alla poesia, dice al cap. 13 del 1° libro che il poeta lucchese Bonagiunta non componeva nella vera lingua poetica italiana, ma nel dialetto di Lucca. Or la parola gentucca, che significa villana o volgare, apparteneva proprio a quel dialetto, e corrispondeva alla forma toscana più generalmente usitata di gentuccia o gentaccia, che anche oggi equivale a gente minuta, volgare, canaglia. Non sapendosi spiegare la voce inusitata di gentucca, la quale come altre non poche della Divina Commedia non trovasi impiegata più d' una sola volta (greco: hapaks legomenon) nel poema, i commentatori piuttosto che a un nome comune hanno creduto a un nome proprio. Prendendolo per nome proprio essi non si sono avveduti che se Gentucca nel pensiero di Dante avesse significato una persona, il poeta non avrebbe detto: « non so che gentucca »>, ma « non so qual gentucca (1) ».

(1) Vedi Blanc, Vocabolario Danlesco, v. Gentucca.

Questo primo errore li ha portati in un altro; perchè, là dove Bonagiunta annunzia una profezia riguardante una lucchese, che un giorno diverrà l'oggetto dell' ammirazione di Dante e l'onore della sua città natale, i commentatori hanno veduto il nome di Gentucca, la quale secondo loro dovett' essere un' amata dell' Alighieri. Ma noi l'abbiam detto: Gentucca non è un nome proprio, nè tampoco il nome d' una donna lucchese. V' hanno poi de' chiosatori, i quali ignorando che la Pargoletta, il cui amore Beatrice rimprovera a Dante, al Paradiso terrestre altro non sia che l'ancella della teologia o la filosofia, son giunti a tale da identificarla con Gentucca. Così è che fin dal secolo XIV non solamente l'estratto anonimo della Vita di Dante del Boccaccio, ma anche l' Ottimo Commento, che è un estratto del Commentario della Divina Commedia fatto dal Boccaccio, parlano entrambi della Pargoletta e della Gentucca la lucchese, come di una cosa stessa. L'errore è evidente, perciocchè siccome credesi Dante essere stato l'anno 1300 nel Paradiso terrestre, dove Beatrice il rimbroccia dell'amore per la Pargoletta, egli dovette averla amata prima di quell' anno; e siccome nello stesso anno Bonagiunta gli predice che verso il 1314 egli amerà una lucchese, la quale nel 1300 era ancora bambina, è chiaro che la Pargoletta non potrebb' essere la Lucchese o la pretesa Gentucca.

Benvenuto Rambaldi da Imola è il solo commentatore, a veder mio, che abbia dato la vera spiegazione della Foce gentucca come un nome comune significante gens obscura, cioè volgare; ma intanto non ha tenuto conto egli stesso di questa vera spiegazione, e senza dubbio perchè il rimanente di essa spiegazione data dai commentatori rientrava in gran parte nell'errore generalmente ammesso. Cosi la falsa interpretazione ha preso il sopravvanzo sulla verità, e s'è sparsa in numerose opere, e tra queste nel Viaggio Dantesco dell' Ampère, dove si legge:

<< Cade qui in acconcio il far parola d'un' infedeltà di Dante alla memoria di Beatrice; infedeltà da lui stesso confessata. Un dannato lucchese dopo avere mormorato il nome di Gentucca, gli dice:

Femmina è nata, e non porta ancor benda,
che ti farà piacere

La mia città, come ch' uom la riprenda.

Mira con quanta delicatezza si fa Dante a dirci come nel 1300, in cui finge avvenuta la sua visione, la fanciulla che amò nel 1314, durante il suo soggiorno a Lucca, non portava ancora i contrassegni della maturità. Lo che ci mostra come nel 1314 ella non contasse ancora cinque lustri.

<< Ma Gentucca non fu la prima ad alleviare le pene dell' esule poeta. Nel 1306 s'innamorò in Padova (1). Ci grava il rilevare tali debolezze nell' amante di Beatrice; le quali però non tanto ci scandalizzano quanto i bastardi del Petrarca. A ragione adunque la faccia di Dante si copri di rossore dinanzi all'amica trasfigurata, quand'ella dal seno della sua gloria, dall' alto del suo carro celeste, gl'indirizzava cotanto acerbi rimproveri (2). Ben a ragione le stava egli dinanzi confuso colla fronte dimessa. Tali errori di Dante fecer dire a Boccaccio quelle agre parole: « In questo mirifico Poeta trovò amplissimo luogo la lussuria ».

Queste parole d' Ampère e sopratutto le calunnie' del Boccaccio son dolorose a chicchessia, e racchiudono un ammasso d'errori. Io ammetto che un letterato possa sbagliare nella interpretazione del tale e del tal altro passo di Dante: cosa del resto comune; ma non posso ammet

(1) Vedi la notizia del signor Fauriel inserita nel numero della Revue des deux Mondes del 10 ottobre 1834.

(2) Purgatorio, c. XX e XXI.

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