E gli uomini e le belve immensa guerra. Ed era letto agli egri corpi il gelo. Moriam per quella gente che t'uccide. E conscie fur le sibilanti selve. Così vennero al passo, E i negletti cadaveri all'aperto E sarà il nome degli egregi e forti Con quel de'tardi e vili. Anime care, Avrete in questa o nell'età futura. Il vostro solo è tal che s'assomigli. La patria vostra, ma di chi vi spinse Sì ch'ella sempre amaramente piagna A tal de' suoi ch'affaticata e lenta Che ti rassembri in qualsivoglia parte? Io mentre viva andrò sclamando intorno: E le carte e le tele e i marmi e i templi; Non si conviene a sì corrotta usanza Meglio l'è rimaner vedova e sola. III. AD ANGELO MAI, QUAND'EBBE TROVATO I LIBRI DI CICERONE Italo ardito, a che giammai non posi Di svegliar dalle tombe I nostri padri? ed a parlar gli meni Muta sì lunga etade? e perchè tanti Serbaro occulti i generosi e santi E grave è il nostro disperato obblio, Novo grido de' padri. Ancora è pio Ch' essendo questa o nessun'altra poi È il clamor de' sepolti, e che gli eroi Non siam periti? A voi forse il futuro Fa parer la speranza. Anime prodi, Ogni valor; di vostre eterne lodi Nè rossor più nè invidia; ozio circonda Bennato ingegno, or quando altrui non cale De' nostri alti parenti, A te ne caglia, a te cui fato aspira Benigno sì, che per tua man presenti Paion que' giorni allor che dalla dira I vetusti divini, a cui natura In sonno eterno! Allora anco immatura Della fortuna, al cui sdegno e dolore Dal tocco di tua destra, o sfortunato Del tedio che n'affoga. Oh te beato, Ma tua vita era allor con gli astri e il mare, Ligure ardita prole, Quand' oltre alle colonne, ed oltre ai liti, |