Granchi non vide già, nè granchiolini, Ne d'armi ostili indizio in alcun lato. Soli di verso il campo i vespertini Fiati venian movendo i rami e il prato, Soavemente susurrando, e i crini
Fra gli orecchi molcendo al buon soldato. Era il ciel senza nubi, e rubiconda La parte occidentale, e il mar senz' onda. Rinvigorir sentissi, ed all' aspetto Di sì queta beltà l'alma riprese Il Miratondo. E poi che con effetto, Quattro volte a girar per lo paese Le pupille tornando, ogni sospetto Intempestivo e vano esser comprese, Osò gridare a' suoi compagni eroi: Sì gran fede prestava agli occhi suoi.
Non con tanta allegrezza i diecimila Cui la propria virtù d' Europa ai liti Riconducea, dall' armi e dalle fila Del re persian per tanta terra usciti, La voce udìr, che via di fila in fila S'accrescea, di color che pria saliti Onde il mar si scopria, qual chi mirare Crede suo scampo, gridàr, mare, mare, Con quanta i topi omai ridotti al fine Per fatica e per tema, udiro il grido Del buono esplorator, cui le marine Caverne rimuggìr con tutto il lido: Ch' era d'intorno intorno ogni confine Ove il guardo aggiungea, tranquillo e fido;
Che raccorsi e far alto, e che dal monte Di novo convenia mostrar la fronte.
Altri in sul poggio, ed altri appiè dell' erta, Convenner da più bande i fuggitivi,
Cui la tema, in un dì, per via deserta, Mille piagge avea mostro e mille rivi; Smarriti ancora, e con la mente incerta, E dal corso spossati e semivivi;
E incominciàr tra loro a far consiglio Del bisogno presente e del periglio. Già la stella di Venere apparia Dinanzi all'altre stelle ed alla luna: Tacea tutta la piaggia, e non s'udia Se non il mormorar d'una laguna, E la zanzara stridula, ch'uscia Di mezzo alla foresta all' aria bruna: D'Espero dolce la serena imago Vezzosamente rilucea nel lago.
Taceano i topi ancor, quasi temendo I granchi risvegliar, benchè lontani, E chetamente andavan discorrendo Con la coda in gran parte e con le mani, Maravigliando pur di quell'orrendo Esercito di bruti ingordi e strani, E partito cercando a ciascheduna Necessità della comun fortuna.
Morto nella battaglia era, siccome Nel poema d' Omero avete letto, Mangiaprosciutti, il qual credo per nome Mangiaprosciutti primo un dì fu detto;
Intendo il re de' topi; ed alle some Del regno sostener nessuno eletto Avea morendo, e non lasciato erede Cui dovesser gli Dei la regia sede. Ben di lui rimaneva una figliuola, Leccamacine detta, a Rodipane
Sposata, e madre a quello onde ancor vola Cotanta fama per le bocche umane, Rubabriciole il bel, dalla cui sola Morte il foco scoppiò fra topi e rane: Tutto ciò similmente o già sapete, O con agio in Omero il leggerete. Ma un tedesco filologo, di quelli Che mostran che il legnaggio e l'idioma Tedesco e il greco un dì furon fratelli, Anzi un solo in principio, e che fu Roma Germanica città, con molti e belli Ragionamenti e con un bel diploma Prova che lunga pezza era già valica Che fra' topi vigea la legge salica. Che non provan sistemi e congetture E teorie dell' alemanna gente? Per lor, non tanto nelle cose oscure L'un dì tutto sappiam, l'altro niente, Ma nelle chiare ancor dubbi e paure E caligin si crea continuamente: Pur manifesto si conosce in tutto Che di seme tedesco il mondo è frutto. Dunque primieramente in provvedere A se di novo capo in quelle strette
Porre ogni lor pensier le afflitte schiere Per lo scampo comun furon costrette: Dura necessità ch' uomini e fere Per salute a servaggio sottomette, E della vita in prezzo il mondo priva Del maggior ben per cui la vita è viva. Stabile elezion per or non piacque Far; nè potean; ma differire a quando In Topaia tornati, ove già nacque La più parte di lor, la tema in bando Avrian cacciata; e le ranocchie e l'acque E seco il granchio barbaro e nefando, Nè credean ciò lontan lunga stagione, Avrian posto in eterna obblivione.
Intanto il campo stesso, e la fortuna Commetter del ritorno, e dei presenti Consigli e fatti dar l'arbitrio ad una Militar potestà furon contenti. Così quando del mar la vista imbruna, Popol battuto da contrari venti Segue l'acuto grido onde sua legge Dà colui che nel rischio il pin corregge. Scelto fu Rubatocchi a cui l'impero Si desse allor di mille topi e mille: Rubatocchi, che fu, come d' Omero Sona la tromba, di quel campo Achille. Lungamente per lui sul lago intero Versàr vedove rane amare stille;
E fama è che insin oggi appo i ranocchi Terribile a nomar sia Rubatocchi.
Ne Rubatocchi chiameria la madre Il ranocchin per certo al nascimento, Come Annibale, Arminio odi leggiadre Voci qui gir chiamando ogni momento: Così di nazion quello, che padre È d'ogni laude, altero sentimento, Colpa o Destin, che molta gloria vinse, Già trecent' anni, in questa terra estinse. Mancan Giuli e Pompei, mancan Cammilli E Germanici e Pii, sotto il cui nome Faccia ai nati colei che partorilli A tanta nobiltà, lavar le chiome? A veder se alcun dì valore instilli In lor la rimembranza, e se mai dome Sien basse voglie e voluttà dal riso Che un gran nome suol far di fango intriso? Intanto a studio là nel Trasimeno
Estranio peregrin lava le membra, Perchè la strage nostra onde fu pieno Quel flutto, con piacer seco rimembra: La qual, se al ver si guarda, nondimeno Zama e Cartago consolar non sembra: E notar nel Metauro anco potria Quegli, e Spoleto salutar per via.
Se questo modo, ond' hanno altri conforto, Piacesse a noi di seguitar per gioco, In molt' acque potremmo ire a diporto, E di più selve riscaldarci al foco, Ed in più campi dall' occaso all'orto Potremmo, andando, ristorarci un poco,
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