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E del verde perpetuo con mano

O con la bocca colto un ramicello,
E sceso ciaschedun con esso al piano,
Sentendo un gelo andar per ogni vello,
E digrignando per paura i denti,
Vennero agl' inimici alloggiamenti.

Non se n'erano appena i granchi accorti,
Quando lor furo addosso, e con gli ulivi
Stessi, senza guardar dritti nè torti,
Voleangli ad ogni patto ingoiar vivi,
O gli avrian per lo men subito morti,
Se in difesa de' miseri e cattivi
Non giungeva il parlar, che con eterna
Possanza il mondo a suo piacer governa.

Perchè, quantunque barbaro e selvaggio De' granchi il favellar, non fu celato Al conte, ch' oltre al far più d'un viaggio, Sendo per diplomatico educato, Com'or si dice, aveva ogni linguaggio Per istudio e per pratica imparato, E i dialetti ancor di tutti quanti, Tal ch'era nelle lingue un Mezzofanti. Dunque con parolette e con ragioni A molcer cominciò que' ferrei petti, Che da compagni mai nè da padroni Appresi non avean sì dolci detti, Ne sapean ch'altra gente i propri suoni Parlar potesse de' lor patrii tetti, E si pensaro andar sotto l'arnese Di topo un granchiolin del lor paese.

Per questo, e per veder che radicati
Leccafondi sul naso avea gli occhiali,
Arme che in guerra mai non furo usati
Ne gli uomini portar nè gli animali,
Propria insegna ed onor di letterati
Essendo da principio, onde ai mortali
Più d'iride o d'olivo o d'altro segno
Di pace e sicurtà son certo pegno,
Dal sangue per allor di quegli estrani
Di doversi astener determinaro ;
E legati così come di cani

O di qualche animal feroce o raro
Non fecer mai pastori o cerretani,
A sghembo, all'uso lor, gli strascinaro
Al general di quei marmorei Lanzi,
Gente nemica al camminare innanzi.

Brancaforte quel granchio era nomato,
Scortese a un tempo e di servile aspetto;
Dal qual veduto il conte e dimandato
Chi fosse, onde venuto, a qual effetto,
Rispose che venuto era legato

Del proprio campo; e ben legato e stretto
Era più che mestier non gli facea,
Ma scherzi non sostien l'alta epopea.

E seguitò che s'altri il disciogliesse,
Mostrerebbe il mandato e le patenti.
Per questo il general non gli concesse
Ch'a strigarlo imprendessero i sergenti,
E perchè legger mai non gli successe,
Eran gli scritti a lui non pertinenti,

Ma chiese da chi date ed in qual nome
Assunte avesse l'oratorie some.

E quel dicendo che de' topi il regno,
Per esser nella guerra il re defunto,
E non restar di lor successor degno,
Deliberato avria sopra tal punto
Popolarmente, e che di fede il segno
Rubatocchi al mandato aveva aggiunto,
Il qual per duce, e lui per messaggero
Scelto aveva a suffragi il campo intero;
Gelò sotto la crosta a tal favella,
Popol, suffragi, elezione udendo,
Il casto lanzo, al par di verginella
A cui con labbro abbominoso orrendo
Le orecchie tenerissime flagella,

Fango intorno e corrotte aure spargendo,
Oste impudico o carrozzier. Si tinge
Ella ed imbianca, e in se tutta si stringe.
E disse al conte: Per guardar ch'io faccia,
Legittimo potere io qui non trovo.

Da molti eletto, acciò che il resto io taccia,
Ricever per legato io non approvo.
Poscia com' un che dal veder discaccia
Scandalo o mostro obbrobrioso e novo,
Tor si fe quindi i topi, ed in catene
Chiuder sotterra e custodir ben bene.
Fatto questo, mandò significando
Al proprio re per la più corta via
L'impensata occorrenza, e supplicando
Che comandasse quel che gli aggradia.

Era quel re, per quanto investigando
Ritrovo, un della terza dinastia

Detta de' Senzacapi, e in su quel trono
Sedea di nome tal decimonono.

Rispose adunque il re, che nello stato
Della sedia vacante era l'eletto
Del campo ad accettar come legato;
Tosto quel regno o volontario o stretto
Creasse altro signor, nessun trattato
Egli giammai, se non con tal precetto,
Conchiudesse con lor; d'ogni altro punto
Facesse quel che gli era prima ingiunto.
Questo comando al general pervenne
Là 've lui ritrovato aveva il conte,
Perchè quivi aspettando egli sostenne
Quel che ordinasse del poter la fonte,
Al cui voler, com' ei l'avviso ottenne,
L'opere seguitàr concordi e pronte,
Trasse i cattivi di sotterra e sciolse,
E sciolto il conte in sua presenza accolse.
Il qual, ricerco, espose al generale
Di sua venuta le ragioni e il fine,
Chiedendo qual destin, qual forza o quale
Violazion di stato o di confine,

Qual danno della roba o personale,
Qual patto o lega, o qual errore alfine
Avesse ai topi sprovveduti e stanchi
Tratto in sul capo il tempestar de' granchi.
Sputò, mirossi intorno e si compose

Il general dell' incrostata gente;

E con montana gravità rispose

In questa forma ovver poco altramente:
Signor topo, di tutte quelle cose

Che tu dimandi, non sappiam niente,
Ma i granchi dando alle ranocchie aiuto,
Per servar l'equilibrio han combattuto.

Che vuol dir questo? ripigliava il conte:
L'acque forse del lago o del pantano,
O del fosso o del fiume o della fonte
Perder lo stato od inondare il piano,
O venir manco, o ritornare al monte,
O patir altro più dannoso e strano
Sospettavate, in caso che la schiatta
Delle rane da noi fosse disfatta?

Non equilibrio d'acqua, ma di terra, Rispose il granchio, è di pugnar cagione. È il dritto della pace e della guerra Che spiegherò per via d'un paragone. Il mondo inter con quanti egli rinserra Dèi pensar che somigli a un bilancione, Non con un guscio o due, ma con un branco, Rispondenti fra lor, più grandi o manco. Ciaschedun guscio un animal raccetta, Che vuol dir della terra un potentato. In questo un topo, in quello una civetta, In quell' altro un ranocchio è collocato, Qui dentro un granchio, e quivi una cutretta, L'uno animal con l'altro equilibrato, In guisa tal che con diversi pesi Fanno equilibrio insiem tutti i paesi.

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