Or quando un animal divien più grosso D'altrui roba o di sua che non soleva, E un altro a caso o pur da lui percosso Dimagra sì che in alto si solleva, Convien subito al primo essere addosso, Dico a colui che la sua parte aggreva, E tagliandogli i piè, la coda o l'ali, Far le bilance ritornare uguali.
Queste membra tagliate a quei son porte Che dimagrando scemo era di peso, O le si mangia un animal più forte, Ch'a un altro ancor non sia buon contrappeso, O che, mangiate, ne divien di sorte Che può star su due gusci a un tempo steso, E l'equilibrio mantenervi salvo
Quinci col deretan, quindi con l'alvo.
Date sian queste cose e non concesse, Rispose al granchio il conte Leccafondi, Ma qual nume ordinò che presedesse All'equilibrio general de' mondi La nazion de' granchi, e che attendesse A guardar se più larghi o se più tondi Fosser che non dovean topi e ranocchi Per trar loro o le polpe o il naso o gli occhi? Noi, disse il general, siam birri appunto D'Europa e boia e professiam quest'arte. Nota, saggio lettor, ch' io non so punto Se d'Europa dicesse o d'altra parte, Perchè, confesso il ver, mai non son giunto Per molto rivoltar le antiche carte
A discoprir la regione e il clima Dove i casi seguìr ch'io pongo in rima. Ma detto ho dell' Europa, seguitando Del parlar nostro la comune usanza; Ora al parlar del granchio ritornando, In nostra guardia, aggiunse, è la costanza Degli animai nell' esser primo, e quando Di novità s'accorge o discrepanza
Dove che sia, là corre il granchio armato E ritorna le cose al primo stato.
Chi tal carco vi diè? richiese il conte: La crosta, disse, di che siam vestiti, E l'esser senza nè cervel nè fronte, Sicuri, invariabili, impietriti
Quanto il corallo ed il cristal di monte, Per durezza famosi in tutti i liti:
Questo ci fa colonne e fondamenti Della stabilità dell' altre genti.
Or lasciam le ragioni e le parole, Soggiunse l'altro, e discendiamo ai fatti. Dai topi il re de' granchi oggi che vuole? Vuole ancor guerra e strage a tutti i patti? O consente egli pur, com' altri suole, Che qui d'accordo e d'amistà si tratti? E quale, in caso tal, condizione D'accordo e d'amistà ci si propone ? Sputò di nuovo e posesi in assetto Il general de' granchi, e così disse: Dalla tua razza immantinente eletto Sia novello signor. Guerre nè risse
Aver con le ranocchie a lui disdetto Per sempre sia. Le sorti a color fisse Saran dal nostro, a cui ricever piacque Nella tutela sua lor terre ed acque.
Un presidio in Topaia alloggerete Di trentamila granchi, ed in lor cura Il castello con l' altro riporrete,
S'altro v' ha di munito entro le mura. Da mangiare e da ber giusta la sete, Con quanto è di bisogno a lor natura, E doppia paga avran per ciascun giorno Da voi, finchè tra voi faran soggiorno.
Dicendo il conte allor che non aveva Poter da' suoi d'acconsentire a tanto, E che tregua fermar si richiedeva Per poter quelli ragguagliare intanto, Rispose il general che concedeva Tempo quindici dì, nè dal suo canto Moveria l'oste; e quel passato invano, Ver Topaia verrebbe armata mano.
Così di Leccafondi e del guerriero Brancaforte il colloquio si disciolse : E senza indugio alcuno il messaggero De' topi a ritornar l'animo volse, All'uso della tregua ogni pensiero Avendo inteso: e tosto i suoi raccolse. Nel partir poche rane ebbe vedute Per negozi nel campo allor venute. Le riconobbe, che nel lor paese Contezza ebbe di lor quando oratore
Là ritrovossi, ed or da quelle intese L'amorevole studio e il gran favore Che prestava ai ranocchi a loro spese Il re de' granchi, il qual sotto colore Di protegger da' topi amico stato, Ogni cosa in sua forza avea recato.
E che d'oro giammai sazio non era, Nè si dava al re lor veruno ascolto. Pietà ne prese il conte, e con sincera Loquela i patrii Dei ringraziò molto, Che dell' altrui protezion men fera Calamità sui topi avean rivolto. Poi dalle rane accomiatato, il calle Libero prese, e il campo ebbe alle spalle.
Intanto Rubatocchi avea ridotte
Le sue schiere in Topaia a salvamento, Dove per più d'un giorno e d'una notte Misto fu gran dolor con gran contento. Chi gode in riveder, chi con dirotte Lacrime chiama il suo fratello spento, Altri il padre o il marito, altri la prole, Altri del regno e dell' onor si dole.
Era Topaia, acciò che la figura E il sito della terra io vi descriva, Tutta con ammirabile struttura Murata dentro d'una roccia viva, La qual' era per arte o per natura Cavata sì, che una capace riva Al Sol per sempre ed alle stelle ascosta Nell'utero tenea come riposta.
Ricordivi a ciascun se la montagna Che d'Asdrubale il nome anche ritiene, Là 've Livio e Neron per la campagna Sparser dell' Affrican l'armi e la spene, Varcaste per la strada ove compagna L'eterea luce al viator non viene; Sotterranea, sonora, onde a grand' arte Schiuso è il monte dall' una all'altra parte:
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