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Parve udir su la sera (2), agl' infiniti
Flutti commesso, ritrovasti il raggio
Del Sol caduto, e il giorno

Che nasce allor ch'ai nostri è giunto al fondo; E rotto di natura ogni contrasto,

Ignota immensa terra al tuo viaggio

Fu gloria, e del ritorno

Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo
Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto
L'etra sonante e l'alma terra e il mare
Al fanciullin, che non al saggio, appare.
Nostri sogni leggiadri ove son giti
Dell' ignoto ricetto

D'ignoti abitatori, o del diurno
Degli astri albergo, e del rimoto letto
Della giovane Aurora, e del notturno
Occulto sonno del maggior pianeta (3)?
Ecco svaniro a un punto,

E figurato è il mondo in breve carta;
Ecco tutto è simile, e discoprendo,
Solo il nulla s'accresce. A noi ti vieta
Il vero appena è giunto,

O caro immaginar; da te s'apparta
Nostra mente in eterno; allo stupendo
Poter tuo primo ne sottraggon gli anni;
E il conforto perì de' nostri affanni.

Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo Sole splendeati in vista,

Cantor vago dell'arme e degli amori,
Che in età della nostra assai men trista

Empièr la vita di felici errori :
Nova speme d'Italia. O torri, o celle,
O donne, o cavalieri,

O giardini, o palagi! a voi pensando,
In mille vane amenità si perde

La mente mia. Di vanità, di belle
Fole e strani pensieri

Si componea l'umana vita: in bando

Li cacciammo: or che resta ? or poi che il verde È spogliato alle cose? Il certo e solo

Veder che tutto è vano altro che il duolo.

O Torquato, o Torquato, a noi l'eccelsa
Tua mente allora, il pianto

A te, non altro, preparava il cielo.
O misero Torquato! il dolce canto

Non valse a consolarti o a sciorre il gelo
Onde l'alma t'avean, ch'era sì calda,
Cinta l'odio e l'immondo

Livor privato e de'tiranni. Amore,
Amor, di nostra vita ultimo inganno,
T'abbandonava. Ombra reale e salda
Ti parve il nulla, e il mondo

Inabitata piaggia. Al tardo onore (4)

Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno,
L'ora estrema ti fu. Morte domanda
Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda.
Torna torna fra noi, sorgi dal muto

E sconsolato avello,

Se d'angoscia sei vago, o miserando
Esemplo di sciagura. Assai da quello

Che ti parve sì mesto e sì nefando,
È peggiorato il viver nostro. O caro,
Chi ti compiangeria,

Se, fuor che di se stesso, altri non cura?
Chi stolto non direbbe il tuo mortale

Affanno anche oggidì, se il grande e il raro
Ha nome di follia;

Nè livor più, ma ben di lui più dura
La noncuranza avviene ai sommi? o quale,
Se più de' carmi, il computar s'ascolta,
Ti appresterebbe il lauro un'altra volta?
Da te fino a quest'ora uom non è sorto,
O sventurato ingegno,

Pari all'italo nome, altro ch'un solo,
Solo di sua codarda etate indegno
Allobrogo feroce, a cui dal polo
Maschia virtù, non già da questa mia
Stanca ed arida terra,

Venne nel petto; onde privato, inerme,
(Memorando ardimento) in su la scena
Mosse guerra a' tiranni: almen si dia
Questa misera guerra

E questo vano campo all'ire inferme
Del mondo. Ei primo e sol dentro all'arena
Scese, e nullo il seguì, che l'ozio e il brutto
Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.
Disdegnando e fremendo, immacolata

Trasse la vita intera,

E morte lo scampò dal veder peggio.
Vittorio mio, questa per te non era

Età nè suolo. Altri anni ed altro seggio
Conviene agli alti ingegni. Or di riposo
Paghi viviamo, e scorti

Da mediocrità: sceso il sapiente

E salita è la turba a un sol confine,

Che il mondo agguaglia. O scopritor famoso,
Segui; risveglia i morti,

Poi che dormono i vivi; arma le spente
Lingue de' prischi eroi; tanto che in fine
Questo secol di fango o vita agogni
E sorga ad atti illustri, o si vergogni.

IV.

NELLE NOZZE

DELLA SORELLA PAOLINA.

Poi che del patrio nido
I silenzi lasciando, e le beate
Larve e l'antico error, celeste dono,

Ch' abbella agli occhi tuoi quest' ermo lido,
Te nella polve della vita e il suono
Tragge il destin; l'obbrobriosa etate
Che il duro cielo a noi prescrisse impara,
Sorella mia, che in gravi

E luttuosi tempi

L'infelice famiglia all'infelice
Italia accrescerai. Di forti esempi
Al tuo sangue provvedi. Aure soavi
L'empio fato interdice

All'umana virtude,

Nè pura in gracil petto alma si chiude.
O miseri o codardi

Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso
Tra fortuna e valor dissidio pose
Il corrotto costume. Ahi troppo tardi,
E nella sera dell' umane cose,

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