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torno, la Paolina gli sosteneva il capo e gli asciugava il sudore che veniva giù a goccioli da quell' ampissima fronte, ed io, veggendolo soprappreso da un certo infausto e tenebroso stupore, tentavo di ridestarlo cogli aliti eccitanti or di questa or di quella essenza spiritosa; aperti più dell' usato gli occhi, mi guardò più fiso che mai. Poscia:

Io non ti veggo più, mi disse come sospirando.

E cessò di respirare; e il polso nè il cuore non battevano più: ed entrava in quel momento stesso nella camera frate Felice da Sant' Agostino, agostiniano scalzo; mentre io, come fuori di me, chiamavo ad alta voce il mio amico e fratello e padre, che più non mi rispondeva, benchè ancora pareva che mi guardasse.

Ora qui bisogna (quel che non è facile) aver amato qualcuno al mondo com' io ho amato il Leopardi: bisogna aver menata la miglior parte della vita nel seno della sua più sviscerata intimità, e ragionato con lui tutte le ventiquattr' ore del di per lunghi anni e lunghe avventure, e uditone fino a pochi momenti prima quegli altissimi e quasi più che umani concetti ch'io n'aveva uditi; per intendere come non è maraviglia se per un pezzo la sua morte non mi fu cosa comprensibile, e come, attoniti e muti tutti i circostanti, si messe tra il santo frate e me la più crudele e luttuosa disputa. Io, quasi ridotto io stesso come fra l'essere e il non essere, in un certo modo non meno incredibile che ineffabile, mi facevo stupidamente a contendere che il mio amico viveva ancora, e supplicavo il frate, piangendo, ad accompagnare religiosamente il passaggio di quella grand' anima. Egli, tocco e ritocco il polso e il cuore, replicava costantemente, che quella grand' anima era già passata. Alla fine, fattosi nella stanza uno spontaneo e solenne silenzio, il pio frate, inginocchiatosi appresso al morto o al moribondo, fu esempio a noi tutti di fare altrettanto. Poscia, in un profondo raccoglimento, orò, orammo tutti un gran pezzo. E levatosi, e fattosi ad una tavola, scrisse le parole qui appresso; e ne porse il foglio a me, che, levatomi anch'io e impresso l' ultimo bacio sulla fronte di quel cadavere, ero già trascorso da uno spietato dubbio in una spietatissima certezza.

Si certifica al signor parroco, qualmente istantaneamente è passato a miglior vita il conte Giacomo Leopardi di Recanati, al quale ho prestato l'ultime preci de' morti: ciò dovevo, e non altro. Padre Felice da Sant' Agostino, agostiniano scalzo.

Con questa fede, con quelle de' medici e, più, col miracoloso aiuto della Provvidenza, il cadavere fu salvato dalla confusione del camposanto colerico. Ed assettato in una cassa di noce impiombato, e

raccolto pietosamente in una sepoltura di ecclesiastichi sotto l'altare a destra della chiesetta suburbana di San Vitale; fu quindi, non meno pietosamente, trasferito a suo tempo nel vestibolo della medesima, dove gli fu posta la pietra ch' ora si vede. ท Sulla pietra è questa iscrizione di Pietro Giordani.

AL CONTE GIACOMO LEOPARDI RECANATESE
FILOLOGO AMMIRATO FUORI D'ITALIA
SCRITTORE DI FILOSOFIA E DI POESIE ALTISSIMO
DA PARAGONARE SOLAMENTE COI GRECI

CHE FINI DI XXXIX ANNI LA VITA

PER CONTINUE MALATTIE MISERISSIMA
FECE ANTONIO RANIERI

PER VII ANNI FINO ALL'ESTREMA ORA CONGIUNTO
ALL'AMICO ADORATO. MDCCCXXXVII.

(19) Leopardi, Epist. Ed. cit. loc. cit. Vedi anche le due lettere al padre, a pag. 81 e 82.

(20) Quanto ai dubbi di mio padre, rispondo che io come sarò sempre quello che mi piacerà, cosi voglio parere a tutti quello che sono; e di non esser costretto a fare altrimenti, sono sicuro per lo stesso motivo a un dipresso, per cui Catone era sicuro in Utica della sua libertà. Ma io ho la fortuna di parere un coglione a tutti quelli che mi trattano giornalmente, e credono ch'io del mondo e degli uomini non conosca altro che il colore, e non sappia quello che fo, ma mi lasci condurre dalle persone ch'essi dicono, senza sapere dove mi menano. Perciò stimano di dovermi illuminare e sorvegliare. E quanto all'illuminazione, li ringrazio cordialmente; quanto alla sorveglianza, li posso accertare che cavano l'acqua col crivello., Leopardi, Epist. ed. cit. Lettera al Brighenti, Vol. I, p. 183. (21) Leopardi, Epist. ed. cit. Vol. II, p. 192.

(22) Leopardi, Epist. ed. cit. Lettere al padre. Vol. I, pag. 398, e 404 in nota.

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(23) Fu pubblicata la prima volta in un opuscolo per nozze intitolato Tre scritti di Giacomo Leopardi, parte inediti parte dispersi „ (Genova, Tip. de' Sordomuti, 1858). Gli altri due scritti sono, l'articolo sopra due voci italiane (il participio reso e il verbo sortire) e una lettera all' abate Melchiorre Missirini. In fine della traduzione dell' Epistola leggesi questa Nota di Prospero Viani, l' egregio editore dell' opuscolo, di cui ha voluto gentilmente favorirmi un esemplare, si che potessi usarne per questa edizione.

"Nota. Quando l'avv. Domenico Rossetti di Trieste, felice memoria, promosse (e compi) l'impresa di tradurre le poesie minori del Petrarca, pregò i più chiari Italiani a dargli mano; fra' quali il Leopardi; a cui quell' erudito e prestantissimo uomo assegnò quest' epistola. Non sappiamo per qual cagione, il traduttore non la continuò; ma ne spedi a' 2 di maggio del 1827 questo frammento al Rossetti; trasmesso poi nel 1850 dalla spontanea gentilezza dell'egregio sig. Gaetano T. Merlato di Trieste al raccoglitore delle lettere leopardiane. "

(24) Della Poetica fu pubblicato qualche anno fa un saggio nel giornale fiorentino la Gioventù dall' abate Jacopo Bernardi. L'Ode oraziana fu stampata dall' abate G. Della Vecchia, bibliotecario della famiglia Leopardi, in occasione delle nozze di un Giacomo nipote del nostro poeta colla n. D. Sofia Bruschi (Recanati, Badaloni, 1867).

Le altre traduzioni comprese nell' Appendice furono pubblicate in Recanati l'anno 1816 in occasione delle nozze del principe Luigi Santacroce con la contessa Lucrezia della Torre, ai quali le dedicarono i coniugi marchese Carlo Antici e D.a Marianna Mattei. Il libretto è oltremodo raro, e non ricordato neppure dai fratelli del Leopardi.

(25) Proemio al terzo volume di Leopardi, nel vol. VI degli Scritti editi e postumi pubblicati dal Gussalli, pag. 138.

Nel Canto La Ginestra, a pag. 153, v. 21, dove la nostra edizione legge :

così d'alto piombando,

Dall' utero tonante

Scagliata al ciel profondo

Di ceneri, di pomici e di sassi
Notte e ruina etc.

l'edizione Le Monnier ha una virgola dopo ciel, che impedisce il senso, e fece desiderare al prof. Pietro Pellegrini, quantunque certo che la mano del Leopardi lasciò scritto profondo, di leggere profonda. A noi par chiaro che dee dire profondo, e che solamente ci era di più quella virgola che abbiamo levata.

L'edizione dei Paralipomeni che nella Prefazione è citata come di - Parigi, Baudry 1824-, è invece quella fatta a Firenze con le medesime indicazioni di luogo, di tempo e di stampatore. Il non essermi io potuto procurare la vera edizione parigina, se non quando la nostra era già compiuta, è stato cagione che si è riprodotto in essa un errore passato da quella di Firenze in tutte le altre edizioni. A pagine 192, v. ultimo, della nostra leggesi, come nella fiorentina:

Solo ancor per natura è CAREZZEVOLE.

che non ha senso. Correggasi con l'edizione di Parigi :

Solo ancor per natura è CARROZZEVOLE.

C

Nel canto III dei Paralipomeni, pag. 210, v. 18, abbiamo corretto:

Giudicò Rubatocchi e i principali

Della città con lui, di non FRAPPORRE

Più tempo, etc.

come parve da emendare anche all'Ambrosoli, e come riscontriamo essere stato emendato nella edizione Guigoni (Milano, 1864). L' edizione di Parigi e la fiorentina hanno: Far porre.

Nel canto III dei Paralipomeni, pag. 211, v. 27, è questa ottava:

Deserto è la sua storia, ove nessuno
D'incorrotta virtude atto si scopre,
Cagion che sopra ogni altra a ciascheduno
Fa grato il riandar successi ed opre;
Tedio il resto ed oblio; salvo quest' uno
Sol degli eroici fatti alfin ricopre,
Del cui santo splendor non è beato

Il deserto ch' io dico in alcun lato.

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Gli ultimi quattro versi mi riuscirono sempre imbrogliati ed oscuri: pur non sapendo trovare rimedio, li stampai come stanno in tutte le altre edizioni. Stampato, ne scrissi al mio amico Giosuè Carducci, il quale mi rispose: La ottava era parsa anche a me altre volte oscura; ma non mi ci fermai sopra più che tanto. Ora l'ho ripresa e rimaneggiata per ogni verso; ma non me n'esce senso che buono sia interamente. Ecco una prova d' interpretazione degli ultimi quattro versi. Tedio ed oblio ricopre al fine il resto, salvo quest' uno solo de' fatti eroici; fatti eroici, del cui santo' splendore etc. Ma è stentato ed è forse necessario supporre o che il testo sia errato, o che il Leopardi non desse l'ultima mano a tutte le parti dei Paralipomeni. „

Io accetto l'interpretazione del Carducci, come la sola che mi pare possibile; e perciò correggo la punteggiatura cosi:

Tedio il resto ed oblio, salvo quest' uno

Sol degli eroici fatti, alfin ricopre;

Del cui santo splendor non è beato

Il deserto ch' io dico in alcun lato.

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