Sayfadaki görseller
PDF
ePub

A pag. 220, v. 2, è occorsa una svista. Invece di :

Che conducon dal bosco a civiltade.

leggasi

Che IL conducon dal bosco a civiltade.

A pag. 233, v. 6, canto V dei Paralipomeni, dove la parigina e le altre edizioni leggono:

Non volea questo dir ch' eletto a punto

Fosse IL creato re questo nè quello;

che non dà senso, abbiamo corretto :

Fosse E creato re questo nè quello.

A pag. 239, v. 20, Canto V dei Paralipomeni, dove con l'edizione di Parigi e la fiorentina leggiamo:

SCHERNIR, chiuse le porte, il lor furore.

è certamente da correggere :

SCHERMIR, chiuse le porte, il lor furore.

I verso 12 a pag. 240, Canto V dei Paralipomeni, che dice:

MOVEVA quei DELLA petrosa scorza

correggasi con l'edizione di Parigi cosi:

MOVEVAN quei DALLA petrosa scorza.

Il verso 16 a pag. 267, Canto VII dei Paralipomeni, l'edizione fiorentina leggiamo:

Parve quella ch' eterna VI distilla,

correggasi con l'edizione di Parigi così:

Parve quella ch' eterna IVI distilla.

dove con

A pag. 271, v. 18, canto VIII dei Paralipomeni, dove la nostra edizione ha, come tutte le precedenti, compresa quella di Parigi :

Ivi dinanzi all' inamabil soglia

DI PARTIR SI convenne ai due viventi,

il prof. Severini ci propose di correggere DIPARTIRSI: e la correzione ci pare probabilissima.

Ottima pure

è l'altra correzione propostaci dal mentovato pro

fessore a pag. 280, v. 26:

Quivi non visti rintegràr le dome

Forze con BACCHE e con silvestri ghiande.

Tutte le edizioni, e con esse la nostra, hanno BACCO, che qui ci sta proprio a pigione.

A pag. 281, v. 5, Canto VII dei Paralipomeni, dove la nostra edizione legge con la fiorentina:

L'ospite e duce consiglier cortese,

correggasi come ha la parigina :

L'ospite e duce E consiglier cortese.

È uscita di questi giorni in Firenze, pei tipi dei successori Le Monnier una elegante edizioncina dei Canti e dei Paralipomeni della Batracomiomachia del Leopardi, nella quale vediamo eseguite dall' egregio Severini, cui ne fu affidata la cura, quasi tutte le correzioni qui sopra accennate. Ma anche egli forse non vide la vera edizione parigina dei Paralipomeni, poichè ha lasciato come nella fiorentina i versi Solo ancor per natura è CAREZZEVOLE - MOVEVA quei DELLA petrosa scorza - Parve quella ch'eterna VI distilla. Due sole delle correzioni fatte dal Severini non ci paiono accettabili. Nel Canto VII dei Paralipomeni, st. 42, v. 5, l' edizione di Parigi e la fiorentina hanno: E posersi a seder su le dirotte Ripe ove il piè non PORSE altro mortale. Il Severini ha corretto-ove il piè non POSE altro mortale-. Nell'ottava 48 del Canto stesso al v. 5 le due citate edizioni leggono: - Che d'ogni VALLE o poggio o selva o fonte -. Il Severini ha corretto CALLE; se pure questa, invece di una correzione, non è una svista.

DEDICATORIA

DELLE DUE PRIME CANZONI

ALL'ITALIA E SUL MONUMENTO DI DANTE

SCRITTA NEL 1818.

mo

AL CHIAR.' SIG. CAV. VINCENZO MONTI

GIACOMO LEOPARDI.

Quando mi risolsi di pubblicare queste Canzoni, come non mi sarei lasciato condurre da nessuna cosa del mondo a intitolarle a, verun potente, così mi parve dolce e beato il consacrarle a voi, signor cavaliere. Stante che oggidì chiunque deplora o esorta la patria nostra, non può fare che non si ricordi con infinita consolazione di voi che insieme con quegli altri pochissimi, i quali tacendo non vengo a dinotare niente meno di quello che farei nominando, sostenete l'ultima gloria nostra, io dico quella che deriva dagli studi, e singolarmente dalle lettere e arti belle, tanto che per anche non si può dire che l'Italia sia morta. Di queste Canzoni, se uguaglino il soggetto, che quando lo uguagliassero non mancherebbe loro nè grandiosità nè veemenza, sarà giudizio non tanto dell'universale quanto vostro; giacchè da quando veniste in quella fama che dovevate, si può dire che nessuno scrittore italiano, se non altro, di quanti non ebbero la vista impedita nè da scarsezza d'intelletto, nè da presunzione e amore di sè medesimi, stimò che valessero punto a rifarlo delle riprensioni vostre le lodi dell'altra gente, o lodato da voi riputò mal pagate le sue fatiche, o si curò de' biasimi o dello spregio del popolo. Basterà che intorno al canto di

C*

Simonide che sta nella prima Canzone io significhi non per voi, ma per li più de' lettori, e domandandovi perdono di questo, ch' io mi fo coraggio e non mi vergogno di scriverlo a voi, che quel gran fatto delle Termopili fu celebrato realmente da un poeta greco di molta fama, e quel ch'è più, vissuto in quei medesimi tempi, cioè Simonide, come si vede appresso Diodoro nell'undecimo libro, dove recita anche certe parole di esso poeta; lasciando l'epitaffio riportato da Cicerone e da altri. Due o tre delle quali parole recate da Diodoro sono espresse nel quinto verso dell'ultima strofe. Ora io giudicava che nessun altro poeta lirico nè prima nè dopo toccasse mai verun soggetto così grande nè conveniente. Imperocchè quello che raccontato o letto dopo ventitrè secoli, tuttavia spreme da occhi stranieri le lagrime a viva forza, pare che quasi veduto, e certamente udito a magnificare da chicchessia nello stesso fervore della Grecia vincitrice di un'armata quale non si vide in Europa se non allora, fra le maraviglie i tripudi gli applausi le lagrime di tutta un'eccellentissima nazione sublimata oltre a quanto si può dire o pensare dalla coscienza della gloria acquistata, e da quell'amore incredibile della patria ch'è passato in compagnia de' secoli antichi, dovesse ispirare in qualsivoglia Greco, massimamente poeta, affetto e furore onninamente indicibile e sovrumano. Per la qual cosa dolendomi assai che il sovradetto componimento fosse perduto, alla fine presi cuore di mettermi, come si dice, nei panni di Simonide, e così, quanto portava la mediocrità mia, rifare il suo canto, del quale non dubito affermare, che se non fu meraviglioso, allora e la fama di Simonide fu vano rumore, e gli scritti consumati degnamente dal tempo. Di questo mio fatto, se sia stato coraggio o temerità, sentenziate voi, signor cavaliere; e altresì, quando vi paia da tanto, giudicherete della seconda Canzone, la quale io v'offro umilmente e semplicemente insieme coll' altra, acceso d'amore verso la povera Italia, e quindi animato di vi

vissimo affetto e gratitudine e riverenza verso cotesto numero presso che impercettibile d'Italiani che sopravvive. Nè temo se non ch' altri mi vituperi e schernisca della indegnità e miseria del donativo; che quanto a voi non ignoro che siccome l'eccellenza del vostro ingegno vi dimostrerà necessariamente a prima vista la qualità dell'offerta, così la dolcezza del cuor vostro vi sforzerà d'accettarla, per molto ch'ella sia povera e vile, e conoscendo la vanità del dono, a ogni modo procurerete di scusare la confidenza del donatore; forse anche vi sarà grato quello che, non ostante la benignità vostra, vi converrà tenere per dispregevole.

(La stessa Dedicatoria rifatta nel 1824.)

Consacro a voi, signor cavaliere, queste Canzoni, perchè quelli che oggi compiangono o esortano la patria nostra, non possono fare di non consolarsi pensando che voi con quegli altri pochissimi (i nomi dei quali si dichiarano per sè medesimi quando anche si tacciano) sostenete l'ultima gloria degl' Italiani; dico quella che deriva loro dagli studi e singolarmente dalle lettere e dalle arti belle; tanto che per anche non si potrà dire che l'Italia sia morta. Se queste Canzoni uguagliassero il soggetto, so bene che non mancherebbe loro nè grandiosità nè veemenza: ma non dubitando che non cedano alla materia, mi rimetto del quanto e del come al giudizio vostro, non altrimenti ch'io faccia a quello dell' universale: conformandomi in questa parte a molti valorosi ingegni italiani che per l'ordinario non si contentano se le opere loro sono approvate per buone dalla moltitudine, quando a voi non soddisfacciano; o lodate che sieno da voi, non si curano che il più dell' altra gente le biasimi o le disprezzi. Una cosa nel particolare della prima Canzone m'occorre di significare alla più parte degli altri che leggeranno; ed è che il suc

« ÖncekiDevam »