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Di torrente montan. Stese il suo braccio,
E così disse: „Ducomano hai morto;
Freddo è l'acciaro nel mio petto: o Morna,
Freddo lo sento. Almen fa che'l mio corpo
L'abbia Moína; Ducomano il sogno

Era delle sue notti; essa la tomba
Innalzerammi; il cacciator vedralla 14,

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Mi loderà! Trammi del petto il brando;
Morna, freddo è l'acciar.“ Venne piangendo ;
Trassegli il brando: ei col pugnal di furto
Trafisse il bianco lato, e sparse a terra
La bella chioma: gorgogliando il sangue
Spiccia 15 dal fianco; il suo candido braccio
Striscian note vermiglie: ella prostesa 16
Rotolò nella morte, e a' suoi sospiri
L'antro di Tura con pietà rispose.
"Sia lunga pace," Cucullin soggiunse,
All' alme degli eroi: le loro imprese
Grandi fûr 17 ne' perigli. Errinmi 18 intorno
Cavalcion sulle nubi, e fáccian mostra
De' lor guerrieri aspetti; allor quest' alma
Forte fia 19 ne' perigli, e'l braccio mio
Imiterà le fólgori del cielo.

Ma tu, Morna gentil, vientene assisa
Sopra un raggio di luna, e dolcemente
T'affaccia allo sportel 20 del mio riposo,
Quando cessò lo strépito dell' arme,
E tutti i miei pensier spirano 21 pace.

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Ossian-Fingal, Lib. I. Trad. di M. Cesarotti.
= furono

15 hervorsprisen 16 niederstrecken 17 fûr
sarà 20
20 Pforte athmen.

5.

21

Il Conte Ugolino.

La bocca sollevò dal fiero 1 pasto
Quel peccator, forbendola 2 a' capelli
Del capo ch'egli avea diretro3 guasto;

Poi cominciò: Tu vuoi ch'io rinnovelli
Disperato dolor, che'l cor mi preme,
Già pur pensando, pria ch'i'ne favelli.

1schauerlich abwischen hinter i' = io.

5 den

Ma se le mie parole esser den 5 seme,
Che frutti infámia al traditor ch'i' rodo,
Parlare e lagrimar vedráimi insieme.

I'non so chi tu sie 6, nè per che modo
Venuto se' quaggiù; ma Fiorentino
Mi sembri veramente quand' i't' odo.

Tu dei saper ch'i' fui'l conte Ugolino,
E questi l'arcivescovo Ruggieri :
Or ti dirò, perch'io son tal vicino.

Che per l'effetto de' suo' ma' 9 pensieri,
Fidandomi di lui, io fossi preso,
E poscia morto, dir non è mestieri.

Però quel che non puoi avere inteso,
Cioè, come la morte mia fu cruda,
Udirai, e saprai se m'ha offeso.

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Breve pertugio 10 dentro dalla muda 11,
La qual per me ha'l titol della fame,
E in che conviene ancor ch'altri si chiuda,

M' avea mostrato per lo suo forame 12
Più lune già, quand' io feci'l mal sonno,
Che del futuro mi squarciò il velame 13.

Questi pareva a me maestro e donno 14,
Cacciando il lupo e i lupicini al monte 15
Perchè i Pisan veder Lucca non ponno.

Con cagne magre, studïose 16 e conte 17,
Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
S'avea messi dinanzi dalla fronte.

In piccol corso mi pareano stanchi
Lo padre e i figli, e con l'agute 18
Mi parea lor veder fender li fianchi.

scane

Quando fui desto innanzi la dimane,
Pianger sentii fra'l sonno i miei figliuoli,
Ch' eran con meco, e dimandar del pane.

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19

Ben se' crudel, se tu già non ti duoli, Pensando ciò, che'l mio cuor s'annunziava: E se non piangi, di che pianger suoli? devono 6 sie = sia "se' = sei 8 dei = devi ma' mali

= denno =

11

10 Spalte 1 Mause, Hungerthurm 12 Loch, Deffnung 13 Schleier 14 Herr 15 Berg zwischen Pisa und Lucca flink, hurtig 17abgerichtet 18 scharf 19 Zahn.

Già eran desti, e l'ora s'appressava
Che'l cibo ne soleva essere addotto,
E per suo sogno ciascun dubitava;

Ed io sentii chiavar l'uscio di sotto
All' orribile torre; ond' io guardai
Nel viso a' miei figliuoli senza far motto 20

Io non piangeva: sì dentro impietrai:
Piangevan elli; ed Anselmuccio mio
Disse: Tu guardi sì, padre: che hai?

Però non lagrimai, nè rispos' io
Tutto quel giorno, nè la notte appresso,
In fin che l'altro Sol nel mondo uscio 21.

Come un poco di raggio si fu messo
Nel doloroso carcere, ed io scorsi
Per quattro visi il mio aspetto stesso;

Ambo le mani per dolor mi morsi:
E quei pensando, ch'io'l fessi 22 per vaglia
Di manicar 23, di subito levôrsi 24,

E disser: Padre, assai ci fia men doglia,
Se tu mangi di noi: tu ne vestisti
Queste misere carni, e tu le spoglia.

Queta' mi 25 allor per non farli più tristi:
Quel dì, e l'altro stemmo tutti muti:
Ahi dura terra, perchè non t' apristi?

Posciachè fummo al quarto dì venuti
Gaddo mi si gettò disteso a' piedi,
Dicendo: Padre mio, che non m'aiuti?

Quivi morì; e come tu mi vedi,
Vid' io cascar li tre ad uno ad uno
Tra'l quinto dì e'l sesto: ond' io mi diedi

Già cieco a brancolar sovra ciascuno,
E due di gli chiamai, poi ch' e' fûr morti:
Poscia più che'l dolor potè il digiuno 26.

Quand' ebbe detto ciò, con gli occhi torti
Riprese il teschio misero co' denti,

Che furo all'osso, come d'un can, forti.

=

=

Dante.

=

20sprechen 21 uscio uscì 22 fessi facessi 23 effen, veraltet 24 levôrsi si lemi quetai 26 Fasten, Hunger.

varono

25 queta' mi

=

`6.

L'isola della maga1 Alcina.

Non vide nè'l più bel, nè'l più giocondo
Da tutta l'aria, ove le penne stese;
Nè, se tutto cercato avesse il mondo,
Vedria 2 di questo il più gentil paese,
Ove dopo un girarsi di gran tondo,
Con Ruggier seco il grande augel3 discese.
Culte pianure e dilicati colli,

Chiare acque, ombrose ripe e prati molli,

Vaghi boschetti di soavi allori 5,
Di palme e d'amenissime mortelle 6,
Cedri ed aranci c'avean frutti e fiori,
Contesti in varie forme, e tutte belle,
Facean riparo ai fervidi calori

Dei giorni estivi con lor spesse ombrelle;
E tra quei rami con sicuri voli
Cantando se ne gíano i rosignuoli 8.

Tra le purpúree rose e i bianchi gigli,
Che tépida aura freschi ognora serba,
Sicuri si vedean lepri e conigli9,

E cervi con la fronte alta e superba,
Senza temer c' alcun gli uccida o pigli,
Pascano, o stíansi ruminando 10 l'erba :
Saltano i daini, e i capri snelli e destri,
Che sono in copia in quei luoghi campestri.

Come si presso è l'ippogrifo 11 a terra,
Ch'esser ne può men periglioso il salto,
Ruggier con fretta dell' arcion 12 si sferra 13,
E si ritrova in sull' erboso smalto 14.

13auberin 2vedría:

=

vedrebbe augel = voc. poet.

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Ariosto. uccello 4 culte =

colte

5 Lorbeer Myrthe verschlungen Nachtigall Kaninchen 10 wiederkauen 11 erdichte tes Thier, halb Pferd und halb Greif 12 Sattelbogen, Sattel 13 fich losmachen 14grüner Schmelz, Rasen.

La casa del sonno.

Giace in Arabia una valletta amena,
Lontana da cittadi e da villaggi,

Ch' all'ombra di duo monti è tutta piena
Di antiqui abeti e di robusti faggi.

Il sole indarno il chiaro dì vi mena,
Chè non vi può mai penetrar coi raggi,
Sì gli è la via da folti rami tronca:
E quivi entra sotterra una spelonca.

Sotto la negra selva una capace 1
E spaziosa grotta entra nel sasso,
Di cui la fronte l'édera 2 seguace
Tutta aggirando va con storto passo:
In questo albergo il grave Sonno giace;
L' Ozio da un canto corpulento 3 e grasso;
Dall' altro la Pigrizia in terra siede,

Che non può andare e mal reggesi4 in piede.
Lo smemorato 5 Oblío sta sulla porta:
Non lascia entrar nè riconosce alcuno;
Non ascolta imbasciata 6, nè riporta;
E parimente tien cacciato ognuno.
Il Silenzio va intorno, e fa la scorta 7;
Ha le scarpe di feltro e'l mantel bruno;
Ed a quanti n' incontra, di lontano,

Che non debban venir, cenna con mano.

Ariosto.

1weit 2Epheubeleibt sich aufrecht halten 5 gedankenlos Auftrag 7 Wache halten winken.

8.

Il giardino della maga1 Armida.
Poichè lasciâr gli avviluppati 2 calli 3,

In lieto aspetto il bel giardin s'aperse:
Acque stagnanti, móbili cristalli,
Fior vari e varie piante, erbe diverse,
Apriche collinette, ombrose valli,

Selve e spelonche in una vista offerse;

E, quel che'l bello e'l caro accresce all' opre,
L'arte, che tutto fa, nulla si scopre.

Stimi (sì misto il culto è col negletto)
Sol naturali e gli ornamenti e i siti
Di natura arte par, che per diletto
L'imitatrice sua, scherzando, imiti.
L'aura, non ch'altro, è della maga effetto,
L'aura che rende gli alberi fioriti :

Co' fiori eterni eterno il frutto dura,
E mentre spunta l' un, l'altro natura.

13auberin verwickeln Fußweg sonnig.

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