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di forza, che sola è fatta pegli uomini risorgenti a buon costume, a vita civile, al sentimento della propria dignità, de' proprii diritti. Nè è qui nostra mente il tracciarvi in succinto un quadro storico della lirica in Italia. Questo troverete ampiamente esposto nello splendido discorso, che il Sig. Emiliani-Giudici, chiarissimo autore della Storia delle belle lettere in Italia, scrisse appositamente per questa Raccolta. Noi solo vogliamo accennare, quale fosse il nostro intendimento nel fare questa scelta, acciò fin dalla prima pagina possiate comprendere, che non di canore ciance si comporrà questo volume, ma che alle pure sorgenti attingemmo, da cui mai non dovrebbero deviare quanti Italiani amano la loro Patria. I quali, anzi che ir dietro a' novatori, dovrebbero intendere a serbare intatto il carattere della poesia nazionale: chè è tempo ormai si comprenda, il bel cielo d'Italia avere a riuscir micidiale alla turba de' Geremia in 64.mo, la quale vorrebbe inondare l'Italia dei suoi lamenti; dover qui il canto del poeta armonizzare colla pura, viva, varia e magnifica natura che ne circonda; inspirarsi a' nostri bisogni ; eccitarci ad emulare le glorie passate; favellarci di vita e di virtù; e la operosità inculcarci di buoni cittadini; non trarne a prostrarci attorno alla bara della nostra civiltà defunta, vestiti d'una squallida cocolla, a cantare con un moccolo in mano una flebile elegia e morirci nelle nenie lacrimose. A suscitare un santo entusiasmo dee mirare chi oggi canta. I tempi della poesia eunuca sono passati : nè le nebbie settentrionali, nè la prosa da trivio messa in rima, nè le uggiose lacrime degli uomini dall'eterno. dolore son cosa pel nostro paese. Alle schiette e serene armonie, a'virili, a'severi ardimenti de'pochi sommi maestri della scuola italiana, s'inspirino i nostri giovani. Abbiansi fra le mani Dante, le canzoni di Pe

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trarca, Filicaja, Parini, Alfieri, Foscolo, Leopardi, Niccolini; e d'altri pochi degni fratelli, o discepoli di si grandi maestri. In questi si affisino; a'lor canti l'animo afforzino e l'intelletto; e da loro apprendano la grazia non solo e la venustà del dire, ma la dignità della vita e la forza, il nobile ardire ad enunciare quelle verità morali e civili che meglio riescono utili alla Nazione; e dispettino i novelli piagnoni, non meno de'citaredi da corte, o de'giullari da trivio, o di quella sozza razza pronta sempre a dare a nolo anima e penna a chi abbia per loro una borsa. Se a'tempi che corrono, il nome di poeta è generalmente in Italia più che d'ammirazione oggetto di riso e di scherno, ė da incolparsene la poesia? o la inutilità di troppi fra gli scritti poetici? o chi si vigliaccamente prostituisce l'arte del canto? Facciansi i poeti, come già in altre età, gli antesignani del progresso: dallo studio profondo de' tempi che furono e dal confronto dello stato attuale delle cose co' diritti della umanità, si rendano degni di leggere ne' cieli una pagina dell'avvenire delle nazioni; parlino cose alla Patria, alla umanità utilissime; discoprano nuovi veri; s'inalzino energicamente a propugnatori della verità, e saranno un'altra volta oggetto di venerazione anche pegli uomini di questo secolo, sebben paja altro non vogliano intendere che strade ferrate, macchine, aggiotaggio e denaro. Incontreranno ovunque inciampi che loro attraversino la via; li aspetterà dall'ardire il martirio? Rimarrà però sempre al poeta un gran conforto, quello di avere adempiuto alla sua missione. La qual cosa non sarà stata indarno; perocchè la parola della verità non è mai che non dia il suo frutto acerbo forse a quanti hanno il cuore di dirla, ma fruttuoso sempre a' popoli che l'ascoltano.

L'EDITORE.

INTORNO

ΑΙ

POETI LIRICI D'ITALIA

DISCORSO

DI PAOLO EMILIANI-GIUDICI

I

Fra le diverse ed infinite dovizie letterarie, di che la fortuna e la natura hanno composto un illustre serto di gloria sul capo venerando della moderna Italia, la Poesia, per consentimento universale, è da reputarsi come il fiore più bello. Il progresso, nondimeno, cui in questi ultimi tempi si sono inalzate le altre nazioni, le quali svolgendo con inenarrabile energia gli elementi del proprio incivilimento, hanno aperte novelle vie all'ingegno, ed infuse forze nuove all'arte, sembra che cominci ad indurre gl'Italiani a riesaminare la propria letteratura, onde, nella coscienza dell'attuale declinamento, anch'essi trovino gli espedienti, coi quali possano riacquistare il primato. L'ingegno italiano fu per avventura contemperato con proprietà specialissime e maravigliose a conseguire il vero senso dell'arte; l'ingegno italiano nasce artistico per eccellenza, avvegnachè anche questo consentono gli stessi nostri detrattori non amando di aggirarsi nel mondo delle

astrazioni, alle astrazioni presti vita, moto e colori, e le riduca in immagini palpabili. E dacchè la poesia è pittura, la letteratura poetica fu ed è e sarà sempre per noi un fatale pendio, che non conosce impedimenti, per gravi che fossero, e fattasi via da sè, erompe dal cuore in tutto l'impeto della ispirazione.

Che il secolo oggi sia poco poetico, ovvero che le menti nostre siano poco disposte a sentire la poesia, è opinione, anzi persuasione di quanti robusti pensatori, meditando sull'economia delle facoltà della mente umana, vagliono a conoscere l'azione degl' impulsi esterni che la fanno operare; di quanti critici persuasi intendono che l'arte vera, l'arte grande, l'arte viva nasce dall'arcano equilibrio della ragione e della immaginazione, mosse ad un sol tempo con equa misura dalle passioni, che sorgono tumultuose dal cuore e vanno ad armonizzarsi nello intelletto; e sono pur troppo convinti, che oggidi le potenze calcolatrici dell'anima prevalgono sulle potenze senzienti, e le rendono gelide. E comunque le passioni non muojano mai nell'animale umano, gli è innegabile che a quando a quando tacciono si che pajono irrigidite o colpite di stupidità.

Il principio massimo fattore del moderno incivilimento, dopo cotanti secoli di vita feconda di portentosi effetti, sembra che vada logorandosi, e nella sua agonia invocando una forza fecondatrice che lo modifichi, lo trasmuti e gl' infonda nuovi impulsi di vita. Noi ci sentiamo oppressi dal gelido pondo della decrepitezza: ad eluderne la noja e quasi a mitigare l'amaro senso de' nostri mali, sperimentando impotente l'industria, ci sforziamo di predicare il convincimento delle forze di una giovinezza, che vediamo fuggita da noi; gridiamo che l'entusiasmo ci bolle nell'animo, che le passioni c'imperversano nel cuore, che il sangue ci fluttua irrefrenato entro le vene; che non fu mai tempo, come il presente, disposto a produrre portenti e maraviglie d'ogni ragione: noi in somma meniamo vampo d'una vita, di cui sentiamo il difetto. Ad ogni modo non possiamo tanto ingannare noi medesimi che la prova della nostra impotenza non ci richiami al senno, e ci faccia

davvero intendere, che finchè la commiserazione di Dio non si spanda sopra i vecchi popoli di Europa a rigenerarli in nuove ragioni di vita, altro non ci rimane che il solo infecondo conforto d'inebbriarci di rimembranze, riandare il lungo e scabroso e vario cammino per tanti secoli percorso, ed invocare e bearci in un sogno che ci trasporti ne' giorni leggiadri e gloriosi della nostra giovinezza. Quindi l'ammirazione cieca, frenetica, inesplicabile per tempi riboccanti di vita, ma barbari e disamabili per inumane istituzioni; quindi l'entusiasmo per le produzioni dell'infanzia de' popoli; quindi di necessità la critica, scienza per sè medesima arida, rigida, mitigatrice, divenuta la face e ad un tempo la leva, che muove tutte le facoltà della nostra mente.

Però la contemplazione delle produzioni degl'ingegni grandi delle età trapassate è per noi divenuta una fonte di veri piaceri, ed ove vaglia a svegliarci nell'anima la vera coscienza de'mali potrebbe forse condurci a creare il rimedio ed affrettare una rigenerazione, per la quale sospiriamo con indefinito ed amarissimo desiderio; potrebbe, se non altro, porgere alle genti future solenne testimonio che noi ciechi non fummo nè stupidi, e se non valemmo a sorgere dall'abisso, dove eravamo caduti, sentimmo davvero di esserci caduti, avemmo senne da misurarlo, e dal fondo della miseria mandammo un gemito ad invocare la mano redentrice di Dio.

La critica, che vale arte di giudicare, un tempo era ufficio da vecchi, oggidi è mestiere esercitato da giovani. Non che i primi smettessero per impotenza, ma perchè a'secondi è anticipato il disinganno dell'etâ canuta, ed il gelo, che ne intorpidisce la forza creativa. L'ingegno giovane, che naturalmente procede per sintesi, adesso, quasi l'ordine delle cose fosse mutato, ama manifestarsi per analisi; e dissipando le proprie illusioni pare che imiti la imprudenza di Psiche, cui non rimase altro conforto se non maledire alla lampada fatale, che la rese eternamente infelice. Pure, poichè non vale intelletto di uomo ad ostare all'onnipotenza del tempo, l'unico partito che gli resta ad afferrare si è quello di volgere al maggiore

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