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crearsi un Eden fra le pareti del domestico abituro. Un capo di famiglia era re in mezzo a' suoi consanguinei, e quasi facesse se medesimo centro all'affetto de' suoi, questo affetto e la compagna, che glie ne dava tanta parte, eragli l'unico bene e il più certo. I barbari venuti in Italia, comunque si piegassero alle costumanze civili de'vinti, non abbandonarono tanto le loro istituzioni che la donna non si tenesse ferma nel suo posto. Ed in processo di tempo prevalendo i governi feudali, - che senza alcun dubbio sono da riputarsi quali forme politiche che i popoli settentrionali introdussero ne' possessi dell'impero ed essendo abbracciati dagli stessi popoli latini, che per si lunghi anni di guerre sovvertitrici fa mestieri supporre ricaduti in uno stato morale pressochè uguale a quello degl'invasori, ed entrambi fusi in una condizione, che potrebbe dirsi una seconda infanzia, la donna delle società nuove si venne via via predisponendo alla missione, che doveva esercitare in appresso.

E tanto ci basti a far testimonio di questo essenziale trasmutamento, che è nostro debito notare solamente come un fatto senza rimanerci punto ad indagarne le guise. Perocchè è un fatto ripetuto e comprovato in mille modi, che la donna "de' tempi feudali non è più quella de'popoli greci e de'romani, e molto meno quella degli orientali. Sia, non per tanto, che lo spirito pubblico affrenasse e trascinasse le opinioni, gli è innegabile e nel tempo medesimo maraviglioso fenomeno, come allorquando si venne manifestando lo spirito cavalleresco, la nuova credenza professando un assoluto ascetismo, una severità ferrea, che sembrava volesse rendere ottuse - dacchè non gli riesciva di spegnerle le umane passioni e nominatamente quella di amore, che stimava, come è di fatto, la più irrefrenata, la più cieca, e, qual volta trasmodi, la più pericolosa fra tutte, si facesse fomentatrice dello spirito cavalleresco, e colle sue dottrine, e più colla sua autorità cooperando a depurare il fuoco e renderlo innocuo, lo accendesse e lo ajutasse a divampare. È noto come gli scrittori ecclesiastici del medio evo predicassero salutare all' anima

l'amore purificato dalla sozzura de' sensi; tanto più che lo vedevano ammesso come fatale e santissimo ne' libri di Platone, il quale fino dallo stabilimento del Cristianesimo fu venerato di un culto quasi divino, dopochè i più dotti e santi fra i Padri della Chiesa ne adottavano le dottrine, e con artificio mirabile le conciliavano alla sapienza dello spiritualismo cristiano. In tal guisa l'opinione religiosa congiunta alla opinione civile cospirava a santificare l'amore, e per ciò stesso creava al sesso femminile un culto ignoto affatto ai popoli dell'antichità. La donna conobbe la propria supremazia e giovossene, ed alzò tribunali d'amore, e diresse i costumi, e promosse la cultura, indusse in somma l'uomo a giurare in nome di Dio e della sua donna.

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All'epoca in cui le moderne lingue di Europa sorgevano quasi rampollo de' vecchi linguaggi, l'amore ispirò il primo canto de' poeti; almeno in quanto all'Italia allorchè, la musa riprese l'arpa e mosse la mano per tentarne le corde, l'arpa rispose: amore. L'armonia onde la materia aderiva alla forma fu cosi potente, che anche lungo tempo dopo fu creduto l'idioma volgare fosse appositamente trovato a celebrare l'amore. E mentre la Chiesa in Occidente teneva fermamente che fosse empia profanazione parlare a Dio in altra lingua che latina non fosse, e mandava al cielo i suoi canti religiosi nel vecchio linguaggio imbruttito di barbare forme, il popolo apriva nell'idioma volgare i sentimenti del proprio cuore alla donna adorata. Dal che risultava che la direzione della nuova poesia era bene diversa da quella dell'antica; imperciocchè mentre in questa la lirica religiosa a quanto ne fanno testimonio i vetusti monumenti poetici, che il tempo ha lasciati durare – precesse all'amorosa, in quella i canti lirici d'amore precorsero i religiosi. Colla poesia d'amore, adunque, comincia la storia della lirica italiana; ed è questa la ragione onde reputammo oppor

tuno, anzi impreteribile, premettere le poche idee intorno alla condizione del sesso femminile nella nuova società. L'esame, che adesso imprenderemo de' primissimi componimenti poetici, che costituiscono il primo periodo della moderna letteratura, e le osservazioni, di cui le accompagneremo, ci condurranno, spero, a determinare il carattere vero, non che la differenza essenziale, per cui la lirica nuova è diversificata dall'antica.

È noto come i trovatori, i giullari, i menestrelli e generalmente tutti i poeti ambulanti de' tempi feudali, diffondendo i loro canti per ogni paese dell'Impero latino, non meno che lo spirito del tempo, reso pressochè uniforme dalla unione dei popoli latini nelle guerre sante contro gl'infedeli, dessero un carattere quasi simile a questi canti amorosi, e costituissero una letteratura che è ben meritevole d'una storia affatto sua. Nulladimeno innanzi di accingermi a toccare di questa letteratura poetica, secondo che mi verrà conceduto dallo scopo del presente discorso, parlerò di un componimento che, considerato finora sotto uno aspetto puramente filologico, è nella storia delle lettere italiane tale speciosissimo fenomeno da non lasciarsi inosservato. Io intendo del canto di Ciullo d'Alcamo, il più antico poeta volgare, di cui si abbia notizia.

È un dialogo fra due amanti. L'innamorato sollecita la donna amata lo consoli di un sorso d'amore. L'uno insiste, l'altra resiste, finchè fattolo giurare sul libro degli Evangeli, che le diverrebbe legittimo marito, apre il cuore alla fiamma della passione e gli si abbandona fra le braccia. Il colloquio degli innamorati è animato da tutto il fuoco meridionale; il linguaggio nelle stesse sue forme male sviluppate, e quasi riluttanti a subire le qualità estetiche dell'arte, erompe passionato e dipinge con mirabile evidenza: è, per dire tutto in breve, il canto dell' uomo del popolo che sgorga spontaneo e fervido dal petto ebbro d'amore. Quello, però, che lo rende unico monumento della nuova poesia si è l'assoluta assenza dello spirito cavalleresco, ovvero l'assenza del frasario della galanteria, che ne'componimenti posteriori rivela un linguaggio d'artifizio, moventesi entro certi assegnati confini,

costituiti da una serie determinata d'idee, che precludevano il volo al più potente intelletto, ritenendolo inceppato a ritrarre talune immagini convenzionali, le quali danno una spiacevole uniformità a tutte le produzioni, che allora comparvero in numero indefinito. E mentre coteste poesie caddero insieme alle norme fittizie, di cui l'arte erasi resa schiava, il canto di Ciullo, tradotto nel dialetto che oggidi si parla in Sicilia, potrebbe divenire una poesia fresca e piena di vita, una poesia che parrebbe scritta per il nostro tempo. Lo dissi, e volentieri lo ridico, se non fosse fenomeno isolato, io che non dubito di riferirlo ad una antichità maggiore di quella, che si suppone finora, ne stabilirei il primo periodo dell'italica poesia, periodo che avrebbe un carattere veramente nazionale, appunto per la predetta dissomiglianza da'componimenti de' provenzali, e per quella inartifiziata venustà, la quale, fatta astrazione di certe forme viete, di talune parole affatto disusate, di parecchie allusioni a cose già spente, varrebbe ben mille volte i carmi forbili ed armoniosi de'poeti di corte di Federigo II. Si ponga dunque da parte la canzone di Ciullo come esempio privo d'influenza se ci sia dato cosi presumere - sopra gl'ingegni dell'epoca posteriore; e veniamo a Federigo di Svevia, salutato da Dante come dirozzatore della lingua nuova d'Italia, e promotore ed emancipatore dell'universa cultura.

Mentre le italiche repubbliche travagliavansi gagliardamente per costituirsi in un'esistenza civile, e porsi in istato di procedere nel proprio incivilimento, Federigo di Svevia, erede del trono de'Normanni in Sicilia, nato in Italia, cresciuto in Italia, e possessore nella Penisola di un reame di otto milioni di abitanti, uomo di maravigliose doti di mente, era nella condizione non già d'iniziare, ma di fare progredire la cultura già iniziata da' suoi maggiori. Accogliendo ne' suoi dominii italiani tutte le più belle istituzioni de'popoli d'ogni terra, e le arti tutte che sviluppansi nella prosperità degli stati, seguitando l'uso de' principi normanni, i quali fra le loro nazionali costumanze avevano quella di tenere poeti in corte, accolse, protesse, ed onorò quanti furono a que' tempi ingegni

peregrini, che, allettati dalla sua magnificenza, correvano d'ogni parte alla sua reggia in Palermo. Seguitando il costume del suo tempo, in cui la poesia era divenuta la dote più bella di un animo gentile, spinto dal suo genio e dalla passione d'amore, che in lui fu ardentissima, ad esempio de' principi di Provenza promosse la letteratura poetica, e diede egli medesimo esempi da imitare. L'idioma provenzale, che era un linguaggio depurato dal romanzo, inteso universalmente da tutti i popoli d'incivilimento latino, gli porse probabilmente le norme a purificare e perfezionare il volgare italico, che, siccome mostra la riferita canzone di Ciullo d'Alcamo, cominciava a dirozzarsi ed assumere un carattere letterario. In tal modo nelle sale della sua reggia in Palermo, creando una specie di Accademia, aperse agl' ingegni più colti un agone dove segnalarsi. Nel che fu affatto dissimile da' principi dell'Italia settentrionale, i quali spregiando il proprio volgare, adottarono quello di Provenza; ma con animo veramente italiano creava ad un sol tempo lingua e poesia in maniera da meritarsi la riconoscenza di Dante, che la chiamò aulica o cortigiana in memoria ed onoranza del luogo dove era nata e cresciuta. Quando questo accadeva, la poesia provenzale, che era famosissima e meritamente famosissima per tutta Europa, volgeva al suo tramonto insieme alle istituzioni, alle quali era strettamente annessa. I giullari, soverchiati i trovatori, ne avevano infamata l'arte, facendone un mestiere da saltimbanchi. Federigo per l'opposto togliendola a proteggere e promuovere con tutte le sue forze, le infuse nuovi principj di vita, e le diede una direzione, che, risposta da circostanze favorevoli, ne decise i futuri trionfi. Federigo mentre detestò i giullari, incoraggiò i poeti, ed affidando l'arte nelle mani de' più dotti uomini d'Italia, ne nobilitò il carattere, e di mera occupazione galante, che era stata fino allora, ne fece uno studio delle menti più culte, ed inalzolla a vera dignità letteraria. Sotto questo riguardo non vi è ammirazione, che basti a rimeritare il grande beneficio da lui reso alla poesia. L'arte mutò condizione, ed avviatasi per il vero cammino, diede belli preludi della grandezza, cui

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