Torto mi face il velo, E la man che si spesso s' attraversa E gli occhi; onde dì e notte si rinversa Che naturál mia dote a me non vale, Qual all' alta speranza si conface, Nel benigno giudicio una tal fama. Che non altronde il cor doglioso chiama, Canzón, l' una sorella è poco innanzi, E l' altra sento in quel medesmo albergo Apparecchiarsi ond' io più carta vergo. : CANZONE XX. Poi che per mio destino A dir mi sforza quell' accesa voglia Şia la mia scorta e 'nségnimi 'l cammino, E col desio le mie rime contempre; Ma non in guisa che lo cor si stempre Nè per mio 'ngegno (ond' io pavento e tremo) Trovo 'l gran foco della mente scemo : Anzi mi struggo al suon delle parole Pur, com' io fossi un uom di ghiaccio al Sole. Trovár parlando al mio ardente desire Mi porse a ragionár quel ch' i' sentía: Si possente è il volér che mi trasporta : Che tenéa 'l freno, e contrastár nol pote. Amór, in guisa, che se mai percote Ch' al vero onór fur gli ánimi sì accesi, Poggi, ed onde passando, e l' onorate Poi che Dio, e Natura, ed Amór volse In quei be' lumi ond' io giojoso vivo: Non convién ch' i' trapasse, e terra mute : Com' a fontana d' ogni mia salute: Stanco nocchiér di notte alza la testa Ch' i' sostegno d' amór, gli occhi lucenti Sono il mio segno e 'l mio conforto solo. Lasso, ma troppo è più quel ch' io ne 'nvolo Or quinci or quindi, com' Amor m' informa; Che quel che vien da grazïoso dono: E quel poco ch' i̇' sono Mi fa di loro una perpétua norma: Poi ch' io li vidi in prima, Senza lor a ben far non mossi un' orma : Così gli ho di me posti in su la cima; Imaginár, non che narrár gli effetti Di questa vita ho per minori assái Símile a quella che nel ciel eterna, Com' Amór dolcemente gli governa Senza vólger giammái rota superna : Vo quel ch' ésser non puote in alcún modo, Solamente quel nodo Ch' Amór circonda alla mia lingua, quando Vólgon per forza il cor piagato altrove; E'l sangue si nasconde i' non so dove; SONETTO LIV. Io son già stanco di pensár sì come E come a dir del viso, e delle chiome,' E de' begli occhi ond' io sempre ragiono, Non è mancata omái la lingua e 21 suono Di e notte chiamando il vostro nome; E ch' e' piè miei non son fiaccati e lassi A seguir l' orme vostre in ogni parte, Perdendo inutilmente tanti passi; Ed onde vien l' inchiostro, onde le carte Ch'i vo empiendo di voi : se 'n ciò fallassi, Colpa d'amor, non già difetto d'arte. SONETTO LV. I begli occhi ond' i' fui percosso in guisa Che i medesmi porían saldár la piaga; E non già vertù d'erbe, o d'arte maga, O di pietra dal mar nostro divisa ; M'hanno la via sì d' altro amór precisa, Ch' un sol dolce pensiér l'ánima appaga: E se la lingua di seguirlo è vaga : La scorta può, non ella, ésser derisa. Questi son que' begli occhi che l' imprese Del mio signór vittorïose fanno In ogni parte, e più sovra 'l mio fianco. Questi son que' begli occhi che mi stanno Sempre nel cor con le faville accese; |