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Lo cor di quella che lo mio squatra :
Poi non mi sarebbe atra

La morte, ov' io per sue bellezze corro.
Ma tanto da nel Sol, quanto nel rezzo
Questa scherana micidiale e latra.
Oimè perchè non latra

Per me,

com' io

per lei, nel caldo borro?

Che tosto dicería: Io ti soccorro:

E faréil volentiér, sì come quegli

Che nei biondi capegli

Ch' Amor per consumarmi increspa e 'ndora e piaceréile allora.

Metterei mano "

S'io avessi le belle treccie prese,

Che fatte son per me scudiscio e ferza,
Pigliándole anzi terza,

Con esse passerei vespro e le squille :
E non vi saréi saggio nè cortese :
Anzi faréi com' orso quando scherza.
Es' Amór me ne sferza,

Vendetta ne faréi di più di mille.
Ancór negli occhi ond' éscon le faville
Che m' infiammano'l cor ché porto anciso,
Mireréi presso e fiso;

E vengeréimi del fuggir che face:

E poi le renderéi con amór pace.

Canzón mia, vanne ritto a quella donna, Che m' ha fedito 'l cor; e che m'invola Quello ond' io ho più gola:

E dalle per lo cor d'una säetta :
Che bello onór s'acquista in far vendetta.

CANZONE

DI M. CINO DA PISTOJA

Accennata dal Petrarca nella sua XVII. della Prima Parte.

La dolce vista e 'l bel guardo söave
De' più begli occhi che si víder mai,
Ch' io ho perduto, mi fa parér grave
La vita si, ch' io vo träendo guai:
E'n vece di pensier leggiadri e gai,
Ch' avér soléa d'amore,
Porto desii nel core

Che son nati di morte,

Per la partita che mi duol si forte.

Oime deh perchè, Amór, al primo passo
Non mi feristi sì, ch' io fussi morto ?
Perchè non dipartisti da me lasso
Lo spírito angoscioso ch' io diporto?
Amór, al mio dolór non è conforto;
Anzi quanto più guardo

Al sospirár, più ardo:
Frovándomi partuto

Da que' begli occhi ov' io ť ho già veduto.
Io t'ho veduto in que' begli occhi, Amore,
Tal, che la rimembranza me n' ancide:
E fa sì grande schiera di dolore

Dentro alla mente, che l' ánima stride,

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Sol perchè morte mai non la divide com' è diviso

Da me,

Dallo giojoso riso,

E d'ogni stato allegro

Il gran contrario ch' è tra 'l bianco e'l negro. Quando per gentil atto di salute

Ver bella donna levo gli occhi alquanto, Si tutta si disvía la mia virtute,

Che dentro ritenér non posso il pianto, Membrando di madonna; a cui son tanto Lontán di vedér lei.

O dolenti occhi miei,

Non morite di doglia?

Si

per nostro volér, purch' Amór voglia. Amór la mia ventura è troppo cruda : E ciò che 'ncontra agli occhi più m' attrista. Dunque mercè, che la tua man la chiuda; Da ch' ho perduto l' amorosa vista : E quando vita per morte s' acquista, Gli è giojoso il morire:

Tu sai dove de gire

Lo spirto mio da poi:

E sai quanta piętà s'harà di noi.

Amór, per ésser micidiáł pietoso Tenuto in mio tormento;

Secondo ch'i' ho talento,

Dammi di morte gioja:

Si che lo spirto almén torni a Pistoja.

OTTAVA ASCRITTA AL PETRARCA.

Fondo le mie speranze in frágil vetro, E i miei vani pensiér dipingo in aria; Penso pur gir avanti, e torno addietro; Fortuna al mio volér sempr' è contraria. Pace dimando, e crudél guerra impetro, Nè puossi altro sperár in donna varia, Perch' ella è più leggiér ch' al vento foglia, E mille volte al giorno cangia voglia.

DELLE RIME DEL PETRARCA

Contenute nella seconda Parte.

SONETTI.

AL cader d'una pianta, che si svelse, pag.37

Alma felice, che sovente torni

Amor, che meco al buon tempo ti stavi
Anima bella, da quel nodo sciolta

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Che fai? che pensi? che pur dietro guardi 14
Come va 'l mondo! or mi diletta e piace 23
Conobhi, quanto'l ciel gli occhi m'aperse, 58

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Da' più begli occhi, e dal più chiaro viso
Datemi pace, o duri miei pensieri :
Deh porgi mano all' affannato ingegno,
Deh qual pietà, qual angel fu sì presto
Del cibo onde 'l signor mio sempre abbonda, 59
Dicemi spesso il mio fidato speglio,
Discolorato hai, Morte, il più bel volto
Dolce mio caro e prezioso pegno,
Dolci durezze, e placide repulse,
Donna, che lieta col principio nostro
Due gran nemiche insieme erano aggiunte, 26

E' mi par d'ora in ora udire il messo
È questo 'l nido in che la mia Fenice

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