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che fu sottoscritto dalle due parti a' 2 di giugno del 1741. Per quello che qui prendo a trattare, è necessario il dare un cenno delle principali cose, che in quel trattato furono convenute.

Di sovrana importanza è il proemio del capo I di questo concordato, per l'esposizione storica che ci descrive dello stato economico, in cui versava allora la novella monarchia napoletana: non vi si ammirano le esagerazioni retoriche, onde è gonfia la storia di Pietro Colletta, ma vi si scorge l'esattezza officiale di un vero documento. È del seguente tenore:

Trovandosi la maggior parte delle Comunità del Regno esauste, ed impotenti a soddisfare sì ai pubblici pesi, come ai frutti dei debiti che si trovano per bisogni pubblici dello Stato aver contratti per lo più con monasteri di povere monache, Capitoli, ed altri luoghi e communità ecclesiastiche; e dall'altra parte, per la maniera come ora si riscuotono le pubbliche imposizioni, cadendone la maggior parte del peso sopra la più misera gente necessitata in certi luoghi per un rubbio di macinato a pagare di gabella niente meno di quattro ducati, ed in altri, dove si vive a testatico, un miserabile che non ha che le sole braccia, colle quali deve mantenere se stesso e tutta la sua povera famiglia, è talvolta costretto a pagare fin oltre a dieci ducati l'anno: quindi S. M. per sollievo dei suoi più poveri sudditi e di quei luoghi pii e precisamente dei monasteri di povere monache, che per aver maggior parte delle loro rendite in censi attivi sopra la Comunità si trovano ridotti in molta strettezza, ha determinato, mediante un general catasto di tutti i beni del Regno, fare una più giusta distribuzione dei pubblici pesi.

dosi

<< Ma tuttociò non ostante, dei beni del Regno trovangran parte passata in manus mortuas, senza che per essi si paghi un sol quattrino per i bisogni dello Stato, i soli beni posseduti dai laici non possono bastare pel sollievo desiderato dei poveri e delle Comunità. Perciò la Santità di Nostro Signore, attesa l'impotenza dei laici, ed avendo ugualmente a cuore il sollievo della più

misera gente del detto Regno e dei luoghi pii che hanno crediti colle Comunità, aderendo alle istanze di S. Maestà, è benignamente condiscesa: che, per quello che riguarda l'esenzione e le franchigie degli ecclesiastici del regno di Napoli, si osservi per l'avvenire quanto viene disposto nei seguenti articoli: »

1° Nel catasto da farsi si comprendono i beni degli ecclesiastici; 2° Gli ecclesiastici « contribuiranno solamente per la metà di quello, che quei tali loro beni pagherebbero, se si possedessero dai laici ». I pesi sui beni di manomorta si pagheranno « solamente fino a tanto che dureranno i presenti bisogni delle università del Regno». Gli articoli 11-22 regolano alcune franchigie personali del clero, di poco momento.

L'immunità locale è regolata così, che pei delitti eccettuati, ossia speciali, il vescovo debba dar facoltà al magistrato civile di estrarre i rei dall'asilo sacro, di conserva con un deputato ecclesiastico; se il vescovo vi si rifiuta, l'ufficiale civile li potrà estrarre in via strepitosa, senza incorrere le censure. Seguono i casi specificati in 35 articoli. Dell'immunità personale, o privilegio del foro, godranno i veri chierici; gli altri (i detti abbati) solamente nelle cause criminali: è eccettuato l'assassinio, che giusta certe norme si giudicherà dal tribunale misto.

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Tra le cause, di appartenenza ai soli giudici ecclesiastici, fu stabilito nel capo VI, art. 3, che: spetteranno parimente ai soli giudici ecclesiastici privativamente le cause matrimoniali, nelle quali si tratti sopra la validità o invalidità si del matrimonio come degli sponsali.

Nel capo IX si convenne dell'importante istituzione di un tribunale misto per giudicare intorno ad alcune cause degli ecclesiastici. Si componeva di cinque membri, dei quali due doveva eleggere il Papa e due il Re; per il quinto, il Re presenterebbe tre soggetti tra i quali il Papa lo dovrà eleggere: i cinque giudici dovevano essere regnicoli.

Sul diritto di nomina de'vescovi, e per la collazione de' benefizii non si fece nessuna innovazione: solo si

determinò negli articoli secreti, che i vescovati, le badie e i benefizii si conferissero ai cittadini del regno: per i sudditi pontificii, il Papa potrebbe disporre delle pensioni di ventimila scudi da fissarsi su vescovadi o badie a scelta del Papa, che però non fossero di regia collazione. Così pure, per ciò che si atteneva ad alcune diocesi di piccola estensione fu inteso negli articoli secreti di unirle alle diocesi vicine, lasciando però al Papa la esecuzione del fatto in quanto al tempo ed al modo (1).

II.

Questo concordato, come porta la natura d'ogni convenzione sinallagmatica ed internazionale, divenne, secondo il Colletta, << legge e regola di Stato e di coscienza ». E così avrebbe dovuto essere, ma così non accadde veramente; chè, secondo lo stesso storico, quel «< concordato diede motivo e principio a più grandi riforme; il governo interpretando, estendendo, e talora soprausando quei patti, ordinò la giurisdizione laicale, restrinse le ordinazioni dei preti a dieci per mille anime, negò effetto alle bolle papali non accettate dal Re, impedì nuovi acquisti, bandi impotenti le censure de' vescovi, ecc. » (2).

In questa maniera il primo re borbone, che ebbe la gloria di aver liberato ed unito il regno di Napoli e insieme di averlo sollevato a un tal quale stato di prosperità, ha pure la gloria, come lo dicono i suoi ammiratori, d'avere iniziato fino dal 1742 la guerra alle istituzioni, privilegi, ed ingerenza della Chiesa nelle cose e nelle persone del

(1) Nussi, Quinquaginta conventiones de rebus ecclesiasticis inter S. Sedem et civilem potestatem (Maguntiae 1870), pag. 72 e seguenti. Nel terzo degli articoli secreti si regolò la spedizione degli atti pontificii nel Regno di Napoli in questi termini: "Desiderando Sua Santità, che tanto in Napoli, che in tutto il Regno si dia libera e pronta esecuzione a tutte le bolle, brevi e spedizioni della corte di Roma, ed anche de' suoi tribunali e ministri, Sua Maestà per la nota sua pietà e religione assicura la Santità Sua, che darà gli ordini opportuni per la pronta esecuzione delle suddette spedizioni di Roma „ (op. cit., pag. 377).

(2) P. COLLETTA, Storia del reame di Napoli, 1. I, n. XXXVI.

regno. Ma l'istituzione ecclesiastica di maggiore momento, che il cesarismo napoletano prese a combattere, fu la giurisdizione del Papa negli uffizii ecclesiastici del regno; tanto la giurisdizione diretta nella nomina dei vescovi e nella rappresentanza pontificia nella persona del suo nunzio, quanto la indiretta o delegata che era molteplice; come quella che abbracciava la collazione dei benefizii, la nomina o confermazione delle abbazie e commende, l'esenzione dei regolari dall'immediata giurisdizione dei vescovi e la costoro comunicazione con Roma, la riserva papale di varie censure e impedimenti in cause matrimoniali, e le tasse per la spedizione nel regno delle dispense o grazie pontificie secondo le regole della Cancelleria romana. A queste istituzioni tutte, consecrate dall'uso antico e accettate sempre dalla pietà dei governanti e dei popoli, fu cominciata la opposizione dalla parte dei ministri napoletani a poco a poco imprima e con qualche stiracchiatura di articolo del concordato o di legge; poi si venne a guerra quasi aperta, di cui il colpo più forte e più palese fu la cacciata dei gesuiti dalle terre delle due Sicilie e l'occupazione a mano armata di Benevento e di Pontecorvo; e in fine, calando addirittura la visiera, s'irruppe nel campo ecclesiastico: e sulle cose sacre e sulle leggi canoniche e sulla coscienza popolare ed in tutto che era disciplina ecclesiastica, e spesso anche su questioni di dogma, sebbene non formalmente ancora definite, si fece da regii ministri e dall'irruente onda di quella genìa, che fu detta pagliettismo, addirittura man bassa, e si seminò largo scompiglio.

Pretesto a que' ministri, e lustro ingannevole all'illuso · Ferdinando IV, fu la salvaguardia della dignità sovrana, dei diritti della corona, dell'interezza della sovranità immediatamente ricevuta da Dio. Mezzo a un tal fine, sempre mai messo innanzi come scudo adamantino onde fermare e respingere le invasioni della giurisdizione papale, fu quel provvedimento sovrano che ebbe nome di regio exequatur e di regio placet.

Nelle menti però degli uomini, che, almeno nell'ultimo ventennio del secolo XVIII, diressero o spinsero gli

avvenimenti, entrarono e concorsero sicuramente motivi di assai diverse ragioni. Se è lecito allo storico di abbracciare, se non altro di passata, con isguardo filosofico i fatti compiuti e rannodarli alle cause che li generarono, si è costretti ad ammettere, che quanto erano buone le intenzioni di re Ferdinando, e sinceramente retti e cristiani i suoi principii, altrettanto era egli acconcio a lasciar commettere nel nome regio tutti quelli sconcerti che possano mandare un regno in rovina. Ebbe ingegno mediocre, nessuna coltura di forti studi, molto buon senso comune con maniere popolari; inoltre fu avvezzo fin da giovinetto non già ad applicare l'animo a' grandi affari, ma a rilasciarlo in isvaghi e passatempi indegni di un sovrano. Ma quello che natura ed educazione non diedero a lui, congiunse in alto grado Maria Carolina austriaca divenuta sua moglie e signora nel 1768, contando egli anni diciasette (nato ai 12 gennaio 1751) ed essa sedici (nata ai 13 agosto 1752) (1). Costei ebbe grande ingegno, molta coltura, forte carattere e più forti passioni; con ciò giovane, bella, ardente, divenne in poco tempo padrona dell'animo di Ferdinando, arbitra dei destini della corona di Napoli, come avrò meglio occasione e campo di dimostrare ragguagliatamente più innanzi.

Per giudicare questa donna e comprendere la maggior parte degli avvenimenti religiosi, politici e militari che diressero e funestarono il regno di Napoli, e lei cacciarono in esilio per ben due volte e furono cagione della sua morte fuori dell'Italia e di quella reggia in cui aveva dominato, è mestieri rammentare la sua origine e le circostanze del suo sponsalizio. Colla guerra della successione austriaca, la dominazione dell'Austria nel napolitano fu finita colla battaglia di Velletri (1745), vinta da Carlo di Borbone, il quale come re di Napoli, e come re di Spagna dal 1759 diede, e col fatto e col consiglio, alla politica del regno napoletano direzione del tutto spagnuola. Se non che Maria Teresa ottenne col matrimonio

(1) Cf. Barone von HELFERT, vedi più sotto.

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