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Della Sambuca a D. Giovanni Giannone.

5 giugno 1780.

Dopo di avere il re apertamente dimostrato, quanto sia a cuore della M. S. la felicità de' suoi popoli, col promuovere le arti e le scienze più utili... non ha lasciato la M. S., volendo vie più incoraggire i suoi sudditi, di accogliere benignamente le suppliche di V. S., colle quali ha chiesto che la pensione vitalizia di annui ducati 300, assegnatale su i reali effetti allodiali, si continuasse a corrispondere dopo la sua morte al di lei figlio ed alla di lei moglie e sorella.

E quindi considerando la M. S. che poco si converrebbe alla felicità del suo governo ed al decoro della sovranità il lasciare senza un contrassegno di perenne guiderdone la successione di un uomo qual fu il di lei padre, il cui pari non ha prodotto questo secolo, e cotanto utile allo Stato, per avere con vigore, ingegno e dottrina sostenute le supreme regalie del regno e perciò da altri perseguitato, è venuta la M. S., usando di sua singolare munificenza (e che non ha esempio) in accordarle la grazia che ha chiesta. Ne la prevengo nel real nome e con mio piacere per sua intelligenza, essendosi già dati gli ordini alla Giunta allodiale per l'adempimento...

Palazzo, 5 giugno 1780 (1).

Il marchese della Sambuca.

(1) Archivio Vaticano, Nunziatura di Napoli, vol. 285 D.

PARTE SECONDA

SOMMARIO:

VII. Stato politico e religioso del governo di Napoli dal 1735-1767.

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maestri di Ferdinando IV; cattivi augurii per il nuovo regno, responsabilità e disegni di Bernardo Tanucci.

VIII. L'espulsione de' Gesuiti dalla città e dal regno di Napoli; il re di Napoli manda in esilio il suo maestro gesuita, ed il ministro Tanucci i gesuiti suoi confessori. Nota ufficiale degli immensi e maravigliosi acquisti de' Gesuiti di Napoli. IX. I marchese Tanucci inizia col suo governo la guerra assidua all'autorità ecclesiastica nel regno delle due Sicilie: decreti di nomine, ed ammonitorii di lui e del marchese Demarco a vescovi, a preti, a frati, a monache. Caduta dal potere del Tanucci: sua povertà onorata.

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X. Governo del marchese della Sambuca : numerosi dispacci e grandi disposizioni per i monasteri e per i popoli, a fine di togliere ogni ricorso a Roma, e d'impedire da Roma ogni rescritto nel regno anche d'indulgenze e di dispense matrimoniali. Comincia la serie delle dichiarazioni di patronato regio delle chiese del regno. Si spogliano le chiese e s'impingua l'erario.

XI. Prime conseguenze di tal politica antiecclesiastica: minacce e fatti di scisma. Caduta del Della Sambuca : cenno intorno ai costui debiti ed acquisti di beni gesuitici.

XII. Compendioso ragguaglio del modo con cui si provvedono li vescovadi, abbazie, dignilà, canonicati, prebende, parrocchie, ed altri beneficii nella Italia (documento ufficiale del 1786).

VII.

Con quanto precede non ho fatto se non esporre la parte teorica, ossia i principii del diritto nuovo che entrò nelle menti degli uomini di Stato napoletani siccome regola direttrice del loro governo. Questo diritto e questa regola furono delineati ed espressi nella Storia civile del Giannone, la quale veramente divenne il codice degli avvocati e de' ministri della reggia e del foro di Napoli. Ora mi rimane ad esporre la parte pratica, ossia la maniera con cui gli articoli di quel codice vennero a poco a poco applicati, nelle relazioni del nuovo governo con le istituzioni ecclesiastiche vigenti nel regno delle due Sicilie.

Fu sorte comune ai due Borboni del secolo XVIII, re assoluti e dicentisi tali per diritto divino immediato,

il governare la cosa pubblica per direzione altrui. Sino al 1738 arbitri della casa reale e direttori de' negozii pubblici furono gli spagnuoli Francesco Benavides, conte di Santo Stefano, e Gioacchino di Montalegre duca di Salas. Al primo, che era maggiordomo di palazzo, non mancò per essere sovrano se non il nome e il fastigio..... Carlo VII, a riserva di un culto esteriore di pietà, tenne sempre una educazione lontanissima da ogni studio e da ogni applicazione per divenire da se stesso capace di governo » (1); lo studio e l'applicazione di lui furono per i divertimenti di caccia. Richiamato il Benavides in Spagna (1738) per ordine di Elisabetta, regina di Spagna e governatrice di Napoli, e allontanato il Montalegre come ministro in Venezia (1745), sottentrarono al governo il piacentino Giovanni Fogliani imprima, e poi a poco a poco il pisano Bernardo Tanucci (dal 1755 al 1759).

Durante quel lungo regno (1734-1759) le novità religiose furono di poco conto; anzi con il Concordato del 1741 le due autorità si misero in armonia (2). La quale armonia cominciò a guastarsi nel tempo della reggenza (1759-1767), quando Bernardo Tanucci in qualità di uditore o scrivano fece parte di quel consiglio, denominato degli otto; e si ruppe poi nel 1767, quando Ferdinando IV nel compiere (13 gennaio) il suo anno decimosesto divenne re di nome: vero governatore del, regno, per volontà di Carlo III suo padre re delle Spagne, fu Bernardo Tanucci divenuto marchese e primo ministro.

Del modo con cui il Tanucci si recò in mano la chiave del governo napoletano, per volontà di Carlo III, ci dà alcuni ragguagli preziosi il Nunzio pontificio in Napoli monsignor Calcagnini, poi cardinale, uomo di grande valore.

“La reggenza non vi è più, così egli a' 17 gennaio 1767, ma è succeduto il consiglio di Stato; e quelli medesimi signori che componevano la prima, interverranno nel secondo, mutato nome di reggente in consigliere.

(1) Relazione di Alvise Mocenigo (1738) al Senato di Venezia, citata da M. SCHIPA, Il regno di Napoli sotto i Borboni (1900), pag. 19.

(2) Vedi cap. I, pag. 2 e seguenti.

Il loro voto non sarà che consultivo, eccettuato nel consiglio di giustizia e grazia: nel quale, non volendo, o, come altri dicono, essendo stato il re dissuaso ad intervenire, avranno li signori Consiglieri voto decisivo, e tal facoltà si darà a' medesimi, o con dispaccio, o colla viva voce del Sovrano. La notizia è certa, ma non si comprende bene come nel principio del suo governo, questo re voglia spogliarsi di una prerogativa, che sembra la più interessante del principato. Vogliono, che il re di Spagna glie l'abbia insinuato

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E a' 7 di aprile così informava la sua Corte intorno al nuovo regolamento politico :

"A tempo di S. M. Cattolica tutti i diplomi e patenti reali si firmarono col nome del re, mediante la stampiglia che si custodiva nelle relative segretarie, dalle quali uscivano le grazie. In oggi questa per ordine del re di Spagna si dovrà custodire dal Sgr Marchese Tanucci, al quale per ciò dovranno gli altri Segretarj ricorrere per la firma del nome reale in tutte le occasioni...., che il re ordinerà ai ministri la collazione di cariche, privilegj, onori, eccetera. Si congettura pertanto, che con tutto il fondamento avrà il marchese Tanucci con ciò ottenuta una chiave, mediante la quale tener soggetti, e a sè dipendenti, come in passato in tempo della reggenza, tutti questi regj ministri„ (1).

I quali regii ministri erano tutti creature del Tanucci, come un Targioni, un Carlo Demarco, un cardinale Orsini, del quale ultimo, nel qualificarli tutti, il Nunzio del Papa dava il seguente ragguaglio: << Dal cardinale Orsini, a cui manca il coraggio, verranno applaudite tutte le proposizioni del Tanucci ed accettate come oracoli, sperando così di meglio insinuarsi nell'animo del regio ministro (2).

Ed in ciò i ministri idoleggiavano il proprio sovrano Ferdinando IV, il quale considerava le parole del Tanucci siccome responsi di un vero oracolo. «< So che questi signori consiglieri (scriveva ancora monsignor Calcagnini) non parlano in consiglio, essendo stabilimento

(1) Cifra Calcagnini a Torrigiani, segretario di Stato di Clemente XIII (Archivio Vaticano, Nunziatura di Napoli, vol. 289).

(2) Cifra Calcagnini a Torrigiani, 3 febbraio 1767 (Ibidem). Il card. Orsini partiva allora, istruito da Tanucci, siccome ambasciatore napoletano presso la Santa Sede.

di non aprir bocca, se non interrogati dal re. E mi è stato altresì assicurato, che il re tiene sempre gli occhj fissi al marchese Tanucci, e secondo il di lui tenor di voce, o moto del di lui capo, regola il proprio sentimento » (1).

Ferdinando IV era stato, da' 9 a' 16 anni, educato dal principe di S. Nicandro, che gli fu aio; ebbe per uno dei suoi maestri (che poi gli fu confessore) certo monsignor Latilla (2) vescovo di Avellana; altro maestro, che gli dava pure lezioni, fu il gesuita P. Francesco Cardel (n. 1717), il quale dal collegio di S. Francesco Saverio si recava nella corte a questo scopo (3). Quel re fanciullo fu fatto educare sul tipo paterno senza coltura delle facoltà intellettuali, attendendo unicamente a formare di lui un uomo robusto ed un valente cacciatore. Di una tale formazione pesa tutta la responsabilità sul marchese Tanucci: e per avergli dato ad aio il principe di S. Nicandro, e per averlo mantenuto in occupazioni indegne di un sovrano, quando ancora sedicenne Ferdinando fu dichiarato re. Egli è evidente, che a quell'età il re di Napoli sapeva poco più che leggere e scrivere; e da lì innanzi non attese ad altro allo infuori che a puerili divertimenti. Se non che l'occuparlo a studii seri non entrava ne' disegni del Tanucci, nè metteva conto a' suoi interessi personali. Così quel sovrano per indole e per educazione riuscì un misto di bene e di male, senza merito del primo e con iscusa attenuante del secondo, conforme ebbe a giudicarlo Giuseppe II, suo cognato, nel 1769 (4). E con ragione il Nunzio pontificio,

(1) Allo stesso, cifra de' 29 agosto 1767 (Arch. e Nunziat. cit., vol. 290). (2) MICHELANGELO SCHIPA, Il regno di Napoli sotto i Borboni (1900), pag. 18. (3) Nel catalogo de' Gesuiti di Napoli del 1763 questo Padre figura in questi termini: P. Franciscus Cardel Reg. utriusq. Siciliae Praecept. (pag. 15). E del socio, che l'accompagnava, è pure scritto: Julius M. Zandt Soc. Praecept. Reg. utriusque Siciliae (pag. 16).

(4) A. VON ARNETH, Maria Theresia und Joseph II, Ihre Correspondenz: "Le roi est un être indéfinissable, un contraste de bien et de mal, faisant le premier sans mérite et le second sans pécher,, (I, 256). Di un tal contrasto diede prove segnalate negli stessi primi mesi del suo regno. Appena uscito di pupillo, uno de' primi atti fu il disgustare lo stesso suo aio, cui ingannò per molti anni facendo di nascosto allegre cene con una brigata di amici, a guisa di uno scolare discolo (Vedi Docum. I, assai significativo). Ed ora lo sacrifica, siccome re, all'ambizione del Tanucci! (Vedi lo stesso Docum.). Vedremo tra breve,

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