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uomo gravissimo, annunziava alla sua Corte le « angustie d'animo e la malinconia del principe di S. Nicandro. Il quale ora solamente si accorge, che l'educazione dal medesimo data a questo re non meno sarà per essere poco vantaggiosa per non dire pregiudiziale a questo regno, che a lui stesso » (1).

Sotto un tal sovrano, l'ambizione di Bernardo Tanucci, e soprattutto il disegno di rompere nel regno di Napoli ogni ingerenza ed ogni autorità ecclesiastica, ebbe facile gioco e grande carriera.

VIII.

Uno degli atti che alzarono maggior rumore tra quelli, onde il ministro Tanucci significò il suo mal animo contro il pontefice Clemente XIII, ed il novello re Ferdinando iniziò l'era novella delle ingiustizie che macchiarono il suo regno, fu la cacciata de' Gesuiti da tutto il regno delle due Sicilie. Il riferire ragguagliatamente i fatti e le cause che accompagnarono questo grave avvenimento non può essere argomento di una introduzione; mi contento quindi di farne un piccolo cenno prettamente storico.

Dopochè giunse in Napoli la notizia della cacciata de' Gesuiti da' dominii spagnuoli per effetto delle famose lettere sigillate, delle quali i motivi erano chiusi nel regio petto di Carlo III (28 marzo-3 aprile 1767); e dopo l'ingiuria personale, fatta dal re cattolico al pontefice Clemente XIII, di mandargli cioè negli Stati pontificii, senz'avvisarnelo altrimenti, que' Gesuiti sentenziati da lui

qualmente insieme con gli altri Gesuiti egli ebbe tanta forza di animo da mandare fuori del regno il suo stesso maestro, P. Francesco Cardel, circondato da soldati come se fosse un malfattore! Iniziò il suo regno con venti giorni di cacce a Bovino, conducendo seco il corteggio de' seguenti regii consiglieri: Tanucci, principe di Camporeale, e il principe Iace; ed inviava di là caprioli a' ministri esteri, siccome da Persano cignali. Passato quel tempo, ecco il contrasto: "per altri otto giorni S. M. non pranzerà in pubblico, per il ritiro che farà in Caserta, a motivo degli esercizj spirituali prima della settimana di passione,. Cifre di mons. Calcagnini al card. Torrigiani, 3 febbraio, 10, 21 marzo 1767 (Archivio Vaticano, Nunziat. di Napoli, vol. 289).

(1) Calcagnini a Torrigiani, cifra de' 3 febbraio 1767 (Ibid.). Vedi Docum. I.

alle spicce come perduelli e felloni, i Gesuiti di Napoli non s'illusero intorno alla sorte che soprastava a' loro capi. E qui si parve in tutta la sua estensione la poca nobiltà dell'animo del marchese Tanucci. Egli, la sua moglie, la sua figliuola erano non solo in buone relazioni co' Gesuiti di Napoli, ma tutti e tre avevano a confessori altrettanti di que' religiosi. Ma le lettere venute da Madrid fecero cambiare al povero marchese, siccome i sentimenti di stima verso quell'Ordine, così il confessore eziandio (1). Se ne ammirava la gente, e ne sussurravano non poco gli ammiratori di lui: ed egli chiuse la bocca a tutti con una risposta che diede ad uno di quelli, al cardinale Orsini. Questi gli chiedeva spiegazione e gli porgeva consigli intorno ad un argomento religioso; ma il Tanucci << lo confuse e lo quietò con un solo: scriptum est dal re cattolico» (2).

Il disegno del Tanucci in questa espulsione de' Gesuiti si ridusse ad una esecuzione intelligente degli ordini venuti da Madrid. Dall'aprile a tutto decembre del 1767 fu un destreggiarsi continuo tra l'aperto e il dissimulato: facendo intendere a' Gesuiti non esserci per essi ragione di temere, ed insieme dando ordini per l'esecuzione della loro cacciata. Così lasciò spargere nella città libri e stampe, che ne laceravano la fama in maniera crudele; sostenne in ciò l'opera di un certo conte De Gros, giansenista e regalista, e divenuto addirittura frenetico nell'adoperarsi contro a' Gesuiti dopo il famoso bando spagnuolo; proibì loro di vendere nessun bene immobile per pagare i loro debiti, che passavano i 100 mila ducati; aiutato dal marchese Demarco, amico suo e protettore del conte

(1) "Credo aggiungere aver avuto finora il marchese Tanucci per confessore un gesuita; del quale, essendosi oggi allettato per la vecchiaia, non se n'è più prevalso, ma non manca di mandare spesso a saper di lui nuove, e gli continua per Natale e Pasqua il solito regalo di dolci ed altro, che qui si pratica da molti verso del proprio confessore: con tutto ciò ha adempito ancora in quest'anno. La signora Marchesa, unitamente alla figlia, continua a prevalersi di confessore gesuita,. Cifra Calcagnini a Torrigiani, 21 aprile 1767 (Archivio e Nunziat. cit., vol. 290).

(2) Cifra di mons. Battiloro, vescovo di S. Severo, al cardinale Torrigiani, 29 agosto 1767 (Ibidem).

giansenista, costrinse i Gesuiti a vendere alcuni argenti ed arredi sacri per soddisfare i creditori. Infine creò una Giunta, componendola di sue creature, in apparenza per risollevare il commercio e favorire la circolazione del denaro, di fatto per preparare la partenza de' Gesuiti ed assicurare al fisco e ad uomini privati i loro beni; e quando tutto era pronto, fece venire nel golfo di Napoli 30 tra barche e navi, acconciandole a navigazione per fine ignoto....

«

A' 3 di novembre, vigilia di S. Carlo protettore del re Cattolico, fu composto il decreto di espulsione, col quale facevasi dire al re Ferdinando: « vogliamo e comandiamo che la Compagnia di Gesù sia sempre abolita, ed esclusa perpetuamente da' nostri regni ». Con altri tre << ordiniamo e comandiamo», se ne comandava lo sfratto a tutti gl'individui, se ne vietava il ritorno in patria << sotto pena di essere trattati come rei di lesa maestà », ossia sotto la pena del capo, e se ne incameravano tutte le sostanze. Per mezzo di due altri regii decreti si provvedeva al sostentamento degli esiliati con « ducati sei mensili (una lira al giorno) per quelli ch'erano in sacris... non volendo che siano compresi in quest'atto di nostra real clemenza » i rimanenti. Infine con due altri articoli si vietava loro di scrivere o dir nulla « contro questa nostra real determinazione », con minaccia di perdere la pensione; e si proibiva ad ogni cristiano del regno delle due Sicilie «< il chiedere carta di fratellanza di questa Compagnia, sotto pena di essere trattati come rei di lesa maestà » (1).

Così a' 20 di decembre i Gesuiti furono espulsi da tutte le loro case e collegi del regno delle due Sicilie; accompagnati da soldati, condotti su navi o scortati per terra, e deposti sulle terre degli Stati del Papa, per una di quelle ironie di cui solamente i re cattolici ed apostolici del secolo XVIII erano maestri inconscii, ed i

(1) Archivio Vatic., Nunziat. cit.; se ne trova pure una copia manoscritta nella Biblioteca Vallicelliana, Fondo Falsa Cappa, vol. 36, pag. 353.

loro ministri consapevoli consiglieri ed esecutori maravigliosamente abili.

È mia opinione, che il marchese Tanucci nella questione de' Gesuiti non fosse mosso da nessun sentimento di disistima o di astio verso quell'Ordine e verso gli individui che lo componevano, da lui ben conosciuti in Napoli e da lui anche amati. Oltre il fatto positivo dell'essere stato in quella faccenda strumento esecutore del re spagnuolo, egli fu stimolato a fare quello che fece da quella specie di manìa, propria di tutte le corti borboniche di quel tempo, la quale invase le menti de' borbonici ministri « filosofi », spingendoli ad inveire contro la Chiesa cattolica, rappresentata nel Sommo Pontefice. Da ciò provenne l'assioma buffonesco attribuito dal Tanucci al duca di Choiseul, ministro servo di una cortigiana, signora di un re Borbone, che rovinò la Francia e la dinastia de' re Borboni. Scusandosi col Nunzio pontificio, il Tanucci gli ebbe a dire, che in pubblico banchetto il duca di Choiseul proclamò altamente: essere tutti i Gesuiti nemici di tutti i Borboni! (1). Forse egli non aveva dimenticato, che un gesuita aveva negato l'assoluzione ad una Pompadour, con la quale un re Borbone aveva pubblici e illeciti legami. E da ciò proveniva pure quell'altro assioma, che il Galiani faceva sonare alle orecchie del marchese Tanucci siccome una divisa: «< Ogni Papa è nemico nostro » (2).

Ed infatti per que' ministri e sovrani cattolici il pontefice Clemente XIII era nemico: egli nel famoso Breve de' 28 gennaio aveva annullati gli atti, co' quali il duchino di Parma dal 1764-1768 regolava gli affari ecclesiastici, come se fosse papa o vescovo, e colpiva colle censure gli autori di quegli atti. Contro quel Breve tutti i Borboni fecero una vera levata di scudi, ed intimarono a Clemente XIII revocazione di quel Breve, e soppressione de' Gesuiti. Clemente XIII non fece nè l'una nè l'altra cosa: i re Borboni misero mano alle armi. Per quello

(1) Calcagnini a Torrigiani, cifra de' 2 dicembre 1767 (Archivio Vaticano Nunziatura di Napoli, vol. 290).

(2) Galiani a Tanucci, 13 febbraio 1769 (Arch. stor. ital., serie IV, vol. V, 197).

che riguarda i sovrani di Napoli, il Tanucci diede ordine (13 giugno 1768) alle milizie napoletane di occupare manu armata i ducati papali di Benevento e di Pontecorvo. Alle lamentanze del Papa rispose re Ferdinando con una lettera violentissima.

Il re di Napoli (13 settembre 1768) diceva a Clemente XIII, che il Papa non si deve occupare di cose temporali, avendo Iddio onnipotente confidato di queste la cura immediatamente a' sovrani; dover egli sapere, che << per concessione de' sovrani cattolici hanno le chiese il possesso de' beni temporali; dalli stessi sovrani è venuta la giurisdizione temporale e contenziosa de' vescovi; e dalli stessi sovrani l'esenzione dei beni della chiesa dai pubblici pesi.... ». I quali sovrani, vedendo ora l'abuso fattone da Clemente XIII, hanno tolto alle chiese i privilegi che alle medesime essi avevano concesso. Infatti, fu da lui, Papa Clemente, « violata ogni sovranità stabilita da Dio. Insidiata, oltraggiata contro i precetti di Gesù Cristo e di S. Pietro da chi era il più obbligato a rispettarli ed eseguirli, la regia autorità dovea risvegliarsi e risentirsi...». Per le quali cose, le milizie ferdinandee avevano occupato Benevento e Pontecorvo (1).

Se non che, cinque anni dopo, rimanendo immutate le cose europee e quelle del duca di Parma; ecco Ferdinando a togliere le sue schiere armate da Benevento e Pontecorvo; ecco Ferdinando ad inalzare a cielo il Pontefice romano. E perchè? Forse perchè il Breve papale de' 28 gennaio era sconfessato da Roma, e le cose del duca di Parma eransi composte e mutate a piacimento di esso duca? Niente affatto: si erano soppressi i gesuiti! Quest'atto cambiò ogni cosa, e cagionò quella metamorfosi nel re Ferdinando.

A testimonianza della quale metamorfosi, vale il pregio di riferire intiera la lettera del re di Napoli:

(1) Copia di questa lettera, come anche della seguente, trovasi nella Vallicelliana, Falsa Cappa, vol. V, pagina 390.

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