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non debbano ricorrere alla S. Sede, ma al re: che, presa informazione, incaricherà, o no, i vescovi... ». Si proibiva a Capitoli e Collegiate « di chiedere insegne al re, che, quando lo giudichi, comanderà a' vescovi di concederle » (1). Nella consulta della real Camera (primi di agosto), << alla quale si è informato il re », si negò ai sacerdoti<< il domandare la licenza per l'uso della parrucca e degli oratorj privati » (2). Con dispaccio (27 settembre 1779) il re stimava « molto conducente al bene della religione ed alla felicità dello Stato » il proibire « a tutti li religiosi mendicanti francescani » di accettare nessun novizio per il corso di anni dieci. E con lettera all'arcivescovo di Napoli (novembre 1779) il re raccomandava al clero l'uso dell'abito talare e non corto, e non approvava il numero stragrande di preti forestieri, «< che vestono mollemente con zazzera e profumi » (3). Infine, giunsero que' ministri fino al punto di stampare in vari fogli l'elenco delle materie, per le quali era concesso o vietato il ricorso a Roma (4). Ed il consigliere della Corona, Francesco Peccheneda, potè dire in piena consulta della Camera Reale, che « sino al presente si era tolto il ricorso a Roma per settantadue materie, e che ne aveva in nota molte più, alle quali si provvederà di mano

(1) Vincent ni a Pallavicini, 27 luglio 1779 (Arch. e Nunziat. cit., vol. 298 A). (2) Id. eid., 17 agosto (Ibid.).

(3) Ibidem, ottobre-novembre 1779.

(4) Stampa. Indice delle materie, per le quali il re N. S. nega il suo real permesso di ricorrere a Roma, e delle regali risoluzioni su di quelle, in virtù del regal dispaccio de' 5 di settembre 1778; pubblicato per la Capitale e per lo regno, e con lettera circolare del Delegato della Regal Giurisdizione, spedita nel dì 18 dello stesso mese ed anno.

I. A gli ecclesiastici secolari e regolari, e per le di loro chiese e monasteri rispettivamente.

1. Per ottenere da Roma la dispensa della età per ascendere agli Ordini, fogl. 1, disp. 7; fogl. 2, disp. 13 e 15; fogl. 3, disp. 18, 19, 20; fogl. 4, disp. 21, 22, 24; fogl. 5, disp. 25, 26, 27, 29. Ancorchè si trovassero investiti di legati o di benefizi, col peso della celebrazione delle messe, fogl. 3, disp. 16. E così via per 17 articoli!

II. Agli ecclesiastici secolari, e per le loro chiese (articoli 18-34).

III. Alli regolari dell'uno e dell'altro sesso, e per li di loro monasteri (articoli 34-55).

IV. Alle monache, e per li di loro monasteri (articoli 56-75, alcuni lepidissimi). V. Per li matrimoni (articoli 75-79). Inviati dal Nunzio con lettera a Pallavicini, 29 novembre 1779 (Ibid., vol. 305).

in mano» (1). Tra le quali materie era compresa la facoltà delle dispense matrimoniali. Per ottenerle da Roma, «< il re (con dispaccio de 29 decembre 1778), ha determinato... che sia necessario il precedente real permesso! ».

Più importante per ciò che riguarda la Chiesa, ma rilevante assai più per lo Stato, a cagione delle ingenti somme di denaro destinate ad impinguare l'erario e riempiere le borse de' regii ministri, era la questione delle nomine a' vescovadi, a badie, a commende. Per tagliar corto e reciso alle pretensioni papali, furono pubblicati uno dopo l'altro infiniti dispacci, co' quali in prima si dichiaravano di regio patronato le chiese e le badie; e quindi il marchese Demarco ed il cappellano maggiore provvedevano alla nomina de' vescovi e degli abbati: al Papa non rimaneva così se non l'ufficio di secretario. Laonde un dispaccio, firmato Tanucci, intimava:

“Vuole il re, che la Camera di S. Chiara, senza un ordine espresso della M. S. non faccia giammai alcuna menzione, nè uso della Cancelleria romana, ...parendo la maggior parte di quelle regole, contrarie al diritto nativo dato dallo Spirito Santo a' Vescovi e al bene degli Stati cattolici „ (2).

"

Per tanto, nell'anno 1779 il numero delle chiese e delle abbazie dichiarate di patronato regio, compresa quella di Monte Cassino, era stragrande. Ed il Nunzio monsignor Vincentini, poco prima di morire, poteva intorno a ciò scrivere alla sua corte ne' seguenti termini:

"

Un consigliere della Camera R., presenti più persone, disse ne' giorni addietro, che tra vescovati, arcivescovati, abbazie e benefizj, erano circa trecento in nota colla qualità di regio padronato. Ma che si era fatto sentire al Consultore Potenza che facesse passare dei giorni tra una e l'altra sentenza, in maniera che ne pubblicasse due o tre al mese, per non far tanto strepito, (3).

(1) Vincentini a Pallavicini, 17 agosto 1779 (Arch. e Nunziat. cit., vol. 298 A). (2) Spedito dal Nunzio al card. Pallavicini, 7 marzo 1779. La cancelleria romana comprende le persone, il luogo e le regole per la spedizione degli affari ecclesiastici: dispense, provviste, eccetera. Vedi MORONI, Dizionario...: FERRARIS, Biblioteca... a questo articolo; RIGANTI, Comm. in reg. cancell. apostol., IV, 145; D. BOUIX, De principiis iuris canonici, pag. 252 e seguenti.

(3) Al card. Pallavicini, 21 agosto 1779 (Ibid., vol. 298 A). Mons. Vincentini fu l'ultimo Nunzio pontificio in Napoli, era arcivescovo di Nicosia, morì ai 5 di ottobre di quell'anno. L'abb. Servanzi amministrò dopo di lui la Nunziatura.

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Con ciò il Governo di Napoli aveva le mani libere, - così almeno credeva! e le rivolse largamente al raccoglimento delle rendite ecclesiastiche. Fino dal tempo della minoranza del re, le chiese vescovili ed arcivescovili del regno furono tassate del cinque per cento, a fine di fornire un capitale per le vedove de' militari; e nel 1776 il re obbligò le chiese di regio patronato, che indi a poco erano tutte le chiese del regno, alla stessa tassa sulla terza parte delle rendite. Cose tutte che non si potevano eseguire senza l'assenso del Papa, al quale secondo le leggi appartiene l'amministrazione dei beni della Chiesa (1).

Ma queste rendite, le quali dalle chiese passavano ne' vari dicasteri della corte napoletana, erano un nonnulla in confronto de' frutti che producevano le badie, e degli spogli i quali alla morte di ogni vescovo e di ogni abbate si depositavano nel Monte frumentario. Da questo deposito rigurgitava tanto emolumento per i regii ministri, che alcuni vescovi vennero nel consiglio di proporne al re la soppressione, impegnandosi essi, per modo di compenso, di « fornire al regio erario il pagamento annuo di ducati 50 mila »; proposizione però che non fu accettata, perchè col togliere il cumulo degli spogli vescovili sarebbe crollato il Monte, anche per l'altra parte de' frutti, provenienti dalle badie e da tutti i benefizi vacanti, i quali andavano a riempiere quel beato corno di abbondanza governativa (2).

A questa distrazione de' beni ecclesiastici, si aggiungano le rendite di pingui abbazie, dal re dichiarate di suo patronato in grandissimo numero e distribuite a suo

(1) Il Tanucci però era di contrario parere; nella consulta della regia Camera fu stabilito di consultare il cappellano maggiore, Testa Piccolomini, il quale pare che si acconciasse all'opinione del Tanucci; infatti, in quella occasione ricusò di ricevere il Nunzio" per sentirsi male in salute ". (Lettera 9 ottobre 1776, Archivio e Nunziat. cit., volume 295).

(2) Servanzi a Pallavicini, 5 aprile 1785. "Ora, scriveva il Servanzi, si introita e s'incorpora nel Monte frumentario tutto ciò che nella morte lasciano i vescovi, ed i frutti di tutti i benefizj vacanti...., con disturbo sempre ed interesse de' parenti (eredi), giacchè i regj economi pretendono appartenere a' vescovi defunti quello che realmente appartiene a' parenti viventi (Ibidem, vol. 305).

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talento, e si intenderà il caldo dell'amore che i regii ministri portavano a quella faccenda. La badia di San Biagio di Mirabello, dichiarata di patronato regio (con dispaccio de' 21 luglio 1785), « e prima abusivamente conferita dal Papa », rendeva ora al Vescovo di Tiene confessore della regina, cui il re l'aveva girata, « mille e settecento tomoli di grano » (1). Quella di Santa Sofia di Benevento, i cui frutti furono confiscati alla morte del cardinale Pallavicini che li godeva, componevano la somma di 5500 ducati, ed erano in voce di darsi ai regii cappellani di Caserta e di Portici... Tralascio le imposte su i luoghi pii, sulle doti delle monache, la cui « professione... era reputata dal marchese Demarco un inconveniente ed un assurdo eguale (2), e quelle tassate sulle stesse sentenze, con le quali il cappellano maggiore faceva le dichiarazioni di regio patronato, a due mila ducati per sentenza.

Nel luglio del 1779 uscirono, per ordine del marchese della Sambuca, due decreti, che sollevarono molto strepito. Dopo grandi maneggi, che sarebbe lungo il narrare, il Della Sambuca tassò le cinque case della Certosa con una imposta annua, da pagarsi al governo per la marina, nella somma di 50 mila ducati. Le tasse erano così compartite: la Certosa di S. Martino, duc. 22 m.; di S. Lorenzo della Padula, duc. 13 m.; di S. Nicola di Chiaromonte, duc. 2400; di S. Giacomo di Capri, duc. 600; i rimanenti gravavano sopra la quinta casa, di cui non ho trovato il nome (3).

Ora chiudo questa partita col rammentare, che colla morte dell'ultimo Nunzio apostolico, furono pure soppresse le rendite, che la Nunziatura percepiva da varie

(1) Capparucci al card. Federici, 6 luglio 1785 (Archivio Vatic., Nunziat. cit.). (2) Dispaccio Demarco a Dragonetti, 1o giugno 1785. Vi si diceva inoltre: "S. M. il re imitando la legislazione toscana, intende di rivolgere quel denaro (delle doti per monache) ad un luogo pio di pubblica utilità, quale potrebbe essere l'orfanotrofio delle fanciulle dei militari Servanzi a Federici, 25 giugno 1785 (Ibid., vol. 305).

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(3) Da lettere del Nunzio al card. Pallavicini, giugno-agosto 1779 (Ibid., vol. 298 A).

badie vacanti, e quelle stesse che erano state destinate da Carlo V per la fabbrica e la conservazione del tempio di S. Pietro. Il dispaccio, che impoveriva gli impiegati della Nunziatura, conforme scrivevane il Servanzi, « fu ridotto in prammatica, o sia legge, e mercoledì scorso a suono di tromba fu pubblicato... sotto questa Nunziatura, luogo non solito, vicino al portone, a voce ben alta » (1).

Di quale e quanto disturbo riuscissero cotali provvedimenti regii verso Roma, e di che fatta fossero l'uso e l'utilità per la corte e pel regno di Napoli di quelle somme sottratte e tramutate, si può dedurre dalla seguente lettera dell'uditore della Nunziatura di Napoli, che è un documento prezioso:

Abbate Servanzi al card. Pallavicini.

17 Maggio 1783.

“Si è già dato l'ultimo colpo a quel poco, che rimaneva di esigenza in questa città a favore della Corte di Roma, ossia della rev. fabbrica di S. Pietro, giacchè con regal dispaccio, di cui unisco copia, si è sospeso una tale prestazione che era di ducati 2050 annui...

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Espone quindi le soppressioni antecedenti: nel 1765 si sospese tutta la riscossione della farina, che sommava a ducati 238,12; nel 1769 fu tolta una esigenza che portava la somma di ducati 5361,60. Poi soggiunge, che non ispera di nulla impedire, atteso lo spirito di voler tutto sottrarre a Roma. Quindi prosegue:

"Tanto più che in oggi questa Corte si appiglia volentieri a qualunque partito ed a qualunque mezzo, onde ricavar danaro, che non si trova giammai sufficiente a proporzione de' di lei capricci, e per supplire ai continui, nuovi, ridicoli ed inutili progetti, che si propongono da chi mal a proposito gode di tutto il favore de' sovrani.

Dalle persone savie e pie si attribuisce un tal dissestamento di finanze alle tante rapine commesse, e che tuttavia si commettono sopra li beni ecclesiastici. Non potendosi altrimenti spiegare un tal fenomeno, mentre è certo, che da pochi anni in qua tra nuove imposizioni, e beni tolti alla Chiesa, si sono accresciute le rendite fiscali sopra un millione di ducati annui. Comunque sia, sono rammaricatissimo di questo ultimo disgradevole avvenimento, sì perchè si priva il primo

(1) Servanzi a Pallavicini, 31 luglio 1779 (Arch. e Nunziat. cit., vol. 298 A).

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