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Morte perchè 'l togliesti si per tempo?

Oimè, caro diporto, e bel contegno;

Oimè dolce accoglienza,

Ed accorto intelletto, e cor pensato, ec. ec. »

Ed il Petrarca altresì, piangendo la morte di Laura, e togliendo in questo ad imitare il poeta pistoiese, cantò:

« Oimè'l bel viso, oimė 'l soave sguardo,
Oimè 'l leggiadro portamento altero,

Oimè 'l parlar, ch'ogni aspro ingegno e fero,

Faceva umile, ed ogni uom vil, gagliardo!

Ed oimè'l dolce riso ec. >>

Ma si ascolti anche per un momento l' Alighieri, e si vegga se egli in questa specie pure di componimento non meriti di star sopra ai poeti or ricordati:

« Quantunque volte, ahi lasso! mi rimembra,

Ch'io non debbo giammai

Veder la donna, ond' io vo sì dolente,

Tanto dolore intorno al cor m' assembra

La dolorosa mente,

Ch'io dico: anima mia, chè non ten vai?

Chè li tormenti, che tu porterai

Nel secol che t'è già tanto noioso

Mi fan pensoso di paura forte;

Ond' io chiamo la Morte,

Come soave e dolce mio riposo :

E dico vieni a me, con tanto amore,

Ch'io sono astioso di chiunque muore, ec. »

Meve per me.

Nè io riporterò qui alcun brano della Canzone Gli occhi dolenti per pietà del core, che l'Alighieri sullo stesso argomento dettò, poichè io non saprei quale prendermi o qual mi lasciare. Essa da cima a fondo è un modello di perfetta poesia: e se il lettore prenderà vaghezza di recarsela sott'occhio, non potrà a meno di scorgere che se grande in essa è l'artifizio poetico, non è minore l'affetto e il sentimento. Il Sonetto:

1

« Cavalcando l' altr' ier per un cammino, »>

racchiude una gentilissima imagine intorno ad Amore, che dal Muratori è detta assai viva e vaga, e che sebbene espressa con umili parole, pure è maravigliosamente aiutata da una graziosa semplicità. << Cavalcando (egli dice) sopra pensiero trovai per via Amore in abito » di pellegrino: dal sembiante pareami abbattuto, com'uomo di signoria caduto in servitù, il quale sospirando procedea, per non >> veder persona, a fronte bassa. Quando mi fu presso chiamommi >> per nome, e dissemi: Io vegno di là ove per mio volere era il tuo core, e conducolo a servire nuova bellezza. A queste parole tenni » sì ferma la mente mia, ch' Amore disparve, e non m'accorsi del

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>> come..... »

Bella pure è l'altra imagine intorno ad Amore, la quale riscontrasi nel Sonetto:

« A ciascun' alma presa e gentil core. >>

Quivi egli dice: « Era già trascorsa la terza parte del tempo, in che » le stelle n' appaiono più lucenti, quando Amore, la cui rimem» branza mi fa paura, improvvisamente m' apparve. Egli sembrava> mi allegro: teneva in mano il mio core, e nelle braccia avea Madonna che dormiva. Poi la svegliava, e d'esso core che ardeva, >> lei paventosa pascea. Appresso di ciò lo vedea girsene piangendo....>>

Conoscevano pure gli antichi poeti quanto di grazia e bellezza venga a' poemi da sì fatte imagini continuate, e però ne fecero uso sovente. Notissima è quella d' Anacreonte, per cui ne viene rappre sentato Cupido, il quale in tempo di notte per fuggire da un orrido nembo ripara in casa del Poeta, ove facendo prova se l'arco bagnato

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più valer potesse all'usato officio, ferisce l'ospite suo. Per mezzo di tali imagini, anche le cose piccole e tenui, non possenti di per se stesse a produrre meraviglia alcuna, prendono dalla fantasia del Poeta un aspetto grazioso, una figura peregrina, che altamente diletta e commuove l'animo dell' uditore. Ben è vero che di cosiffatte imagini non vanno del tutto prive le poesie de' contemporanei di Dante, chè una può riscontrarsene nel Sonetto del Cavalcanti Chi è questa che vien, un' altra in quello di Cino Era già vinta e lassa l'alma mia. Ma quanto non sono più vivamente e più magistralmente delineate quelle del nostro Poeta? Nel capitolo quarto avremo luogo di vederne una delle più grandiose e sublimi che possano mai immaginarsi, contenuta nella Canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, Canzone che al Petrarca somministrò l'idea per quella sua: Una donna più bella assai che il Sole.

Ha Cino un Sonetto, nel quale descrive ciò che virtuosamente operava in altrui la bellezza della sua amata, ed esso è de' migliori che si rinvengano nel suo Canzoniere. Uno pure intorno lo stesso argomento ne ha Dante, e questo darò qui appresso dell' altro, perchè se ne vegga la differenza :

<< Sta nel piacer1 della mia donna Amore

Com'in sol raggio, e in ciel lucida stella,
Che nel muover degli occhi poggia al core,
Si ch'ogni spirto si smarrisce in quella:
Soffrir non ponno gli occhi lo splendore,
Ne il cor può trovar loco, tanto è bella,
Che 'l sbatte fuor, tal ch' ei sente dolore:
Quivi si prova chi di lei favella.
Ridendo par che s'allegri ogni loco,

Per via passando; angelico diporto,
Nobil negli atti, ed umil ne' sembianti;
Tutt' amorosa di sollazzo e gioco,

E saggia nel parlar, vita e conforto,
Gioia e diletto a chi le sta davanti. >>

«< Negli occhi porta la mia donna Amore;
Per che si fa gentil ciò ch' ella mira:

'Cioè, nella bellezza, nelle belle forme.

DANTE.

1.

Ov' ella passa ogni uom ver lei si gira,
E cui saluta fa tremar lo core:
Sicchè, bassando il viso, tutto smuore,
E d'ogni suo difetto allor sospira:
Fuggon dinanzi a lei superbia ed ira:
Aiutatemi, donne, a farle onore.
Ogni dolcezza, ogni pensiero umile
Nasce nel core a chi parlar la sente,
Ond' è beato chi prima la vide.

Quel, ch'ella par quand' un poco sorride,
Non si può dicer nè tenere a mente,

Si è nuovo miracolo gentile. »

Se bellissimi per nobiltà di stile e peregrinità di concetti sono pure gli altri Sonetti di Dante Vede perfettamente ogni salute, Se vedi gli occhi miei di pianger vaghi, Due donne in cima della mente mia ec., meravigliosamente bello, e in ogni sua parte perfetto, si è l'altro in cui descrive il saluto della sua donna. Il Parini, quel gran poeta che per isquisitezza di gusto a ben pochi è secondo, lo diceva il migliore di quanti se n'abbia il Parnaso italiano, e il vederlo riportato in tutte le raccolte, ordinate a porger modelli di perfetta poesia, conferma una tale sentenza. Ogni linea infatti, ogni concetto, ogni frase è una squisita bellezza: è uno di que' deliziosi concenti, una di quelle celesti armonie che vengono solo ispirate per magica virtù d'Amore. Parla in esso il core, il sentimento, non lo studio, l'intelletto; la natura, non l'arte. Esso dunque dice così:

<< Tanto gentile e tanto onesta pare

La donna mia, quand' ella altrui saluta,
Ch' ogni lingua divien tremando muta,
E gli occhi non ardiscon di guatare.
Ella sen va sentendosi laudare
Benignamente d'umiltà vestuta,
E par che sia una cosa venuta

Di cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi si piacente a chi la mira,

Che dà per gli occhi una dolcezza al core
Che intender non la può chi non la prova.

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Storia dell'amore di Dante per Beatrice.

Una delle ragioni, per le quali i poeti, che precessero Dante, non avean potuto avvicinarsi a quell'eccellenza, cui egli pervenne, si era questa che essi non sentivano quell'amore che descrivevano ne' loro componimenti. Ciò sappiamo da Dante medesimo. Nel Purgatorio egli finge incontrare un poeta di quell'età, Bonagiunta Urbiciani lucchese. Questi, dopo fatte alquante parole, dubita se colui che si vede davante, sia veramente l'Alighieri, e così prosegue a parlargli : << Ma di' s'io veggio qui colui che fuore Trasse le nuove rime, incominciando: Donne, ch' avete intelletto d'Amore. »

E ad esso l'Alighieri immantinente risponde:

« . . . . . io mi son un che, quando

Amor m'inspira, noto, ed a quel modo
Che detta dentro, vo significando. >>

Meravigliato di cotal risposta, l'Urbiciani soggiunge, esclamando:

<< O frate, issa vegg io (diss'egli) il nodo,
Che il Notaio e Guittone e me ritenne
Di qua dal dolce stil nuovo ch'io odo.
Io veggio ben, come le vostre penne

Diretro al dittator sen vanno strette,
Che delle nostre certo non avvenne.

E qual più a gradire oltre si mette,

Non vede più dall' uno all' altro stilo.....

E quasi contentato si tacette. >>

Per queste parole chiaramente si vede che Dante distingueva due scuole di poesia italiana: l'antica di Guittone, del Notaio, di Bona

'Della sua faccia, del suo volto.

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