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mato a giusto titolo non facile e piano. Il Witte altresì fece recentemente su questo proposito alcune ricerche, le quali per vero dire non gli riuscirono infruttuose, e pubblicò le sue scoperte in un giornale letterario di Germania.1 Ma noi peraltro dobbiamo dir francamente, che non sempre possiamo convenire con quel dotto professore alemanno; perciocchè egli stesso è caduto talvolta in alcuno di quei falli, da lui rimproverati agli editori delle Rime Dantesche. L'insufficienza della sola autorità d'alcun Codice, alla quale quegli editori sono stati da tre secoli soliti ad appoggiarsi ; questa insufficienza, della quale abbiam toccato più sopra, era stata pur da lui decisamente riconosciuta. Eppure mandò in pubblico, siccome del Poeta divino, alquante rime, delle quali non puote al certo esser Dante l'autore, e delle quali l'originalità non comparisce appoggiata all'autorità di più Codici, o di alcuno almeno di quelli chiamati solenni dal Perticari. Vorranno facilmente condonarsi ad uno straniero, studiosissimo d'altronde e benemerito della nostra Letteratura, cotali abbagli, se pongasi mente a questo: che de' maggiori ne sono stati commessi dagl' Italiani, e non solo dal Fiacchi e dal Rigoli, com'ho accennato, ma puranche dallo stesso dotto ed accurato Muratori.

Anche Ferdinando Arrivabene, nonostante l'aver rilevato, che malamente fu a Dante attribuito qualche poetico componimento, il quale non gli appartiene, 2 diede a divedere di non aver fatto mature considerazioni, quando esclamò: « Guai se si avesse a tener per vera

'Aveva già condotto a termine il mio lavoro, quando pervenni a sapere che esisteva un articolo sulle Rime liriche di Dante, dettato in tedesco dal signor Carlo Witte, professore nell Università di Breslavia, e studiosissimo dell'italiana Letteratura. Siccome io non conosceva quella lingua, in che l'articolo era scritto, ebbi ricorso al chiarissimo signor Alfredo Reumont (allora segretario di Legazione, ed oggi ministro del re di Prussia presso la Corte di Toscana), e dalla traduzione, che egli per sua gentilezza volle farne, vidi che il professore alemanno dà in quell'articolo notizia d'alcune di quelle cose medesime, che per mezzo di lunghe ricerche erano omai pervenute alla mia conoscenza. Se dirò, che non mi sorprese il vedere, che ad alcuno fosse caduto in pensiero di incominciare a far quello a che il Perticari stimolava gl'ingegni, debbo dire egualmente a lode del Witte, ch'egli è stato il primo a fare quelle ricerche bibliografiche, le quali tornavano indispensabili a voler riordinare il Canzoniere di Dante.

Pag. CCLVII e segg.

» la sentenza del Dionisi, il quale lasciò scritto, che di ventidue » Canzoni a Dante attribuite nella edizione del Zatta, sole tredici so»> no sue;"> 1 perciocchè vedremo che la ragione nella massima parte sta dal Dionisi. Inoltre nella prefazione da esso scritta a nome dello stampator Caranenti, disse d' aver restituite a Dante varie Rime, in qualche Raccolta attribuite a' poeti del secolo XIV, e di avere aggiunto un sesto libro di componimenti, i quali a suo giudicio gareggiano in venustà colle altre poesie dell' Alighieri, e i quali furono trascelti fra varii altri, e tolti da ottime fonti; cosicchè poteansi tenere sì come inediti, dacchè non erano stati finallor pubblicati nel Canzoniere di Dante. Ma in questa, come da lui si chiama, restituzione, l'Arrivabene ha dato a Dante quel che a Dante non apparteneva; e nell'aggiunto libro il suo abbaglio è in tanto più notevole, in quanto egli ha creduto d'aver rinvenuto delle Rime che in venustà colle altre gareggino, mentre non sono che meschine produzioni d'un Burchiello, d'un Pucci, d'un Noffo.

Impresa cotanto spinosa si è il determinare a chi appartengano alquanti di quegli antichi poetici componimenti, cotanto difficile si è il non cadere su di ciò in alcun, fallo, che neppure gli stessi Dionisi e Perticari, acutissimi critici, sono andati affatto esenti da simili abbagli; perciocchè chi si accinge a lavori di tal fatta, deve esser lontano da ogni prevenzione intorno le particolarità del subietto, e libero da ogni attaccamento a sistemi che secondino le proprie opinioni. Senza di ciò è impossibile formare un retto giudizio: e il Perticari, per esempio, avendo una predilezione particolare all' Edizione Giuntina, vi dirà che un editore del Canzoniere di Dante ponga pure a fondamento tutto quello che col nome di lui nella citata edizione si legge, quando quivi altresì qualche cosa si trova che di Dante non è; e il Dionisi per convalidare l'opinione che l'Alighieri non tanto si conoscesse del greco, ma pur ne fosse altrui precettore, e per appoggiare sue speciali opinioni, vi darà come del Cantore di Beatrice alcuni Sonetti, che nissuno argomento présentano per esser tenuti legittimi. Il Witte poi, passionato cultore dell' Italiche Lettere,

2

'Pag. CCLX.

3 Aneddoti Num. V, pag. 83, ed altrove.

Lettera al Caranenti.

trovate avendo più Rime, che portavano (ma falsamente) il nome di Dante, non potrà cedere al lusinghiero impulso di offrire anch'egli la sua parte d'incenso agli altari del grande Autore del sacro Poema, afferrando l'occasione di produrle nel pubblico, senza dapprima considerare che il suo entusiasmo potrebbe pur troppo farlo travedere e condurlo in errore.

Sebbene il Dionisi, l'Arrivabene ed il Witte ponessero lor cure intorno il Canzoniere di Dante, incominciando a portarvi sopra quella critica, che a ciò facea di mestieri, pure i semi, da loro sparsi in campo sì vasto ed incolto, non riuscivano a sufficienza, ed apparivano gettati alla rinfusa e senza un prestabilito sistema. Le cose da quegli Scrittori accennate, le quistioni da loro toccate sono pertanto mancanti d'un piano, talora erronee e contradittorie, spoglie le più volte di dati e di prove, ed insufficienti alfine per la loro pochezza a produrre, ancorchè insieme riunite, quel frutto, desiderato dagli zelatori dell' onor letterario di Dante. Era dunque conveniente, che si facessero ulteriori e più copiose indagini; che si portassero più oltre i critici esami, e particolarmente poi, che si desse al tutto una forma ed un ordine, talchè il lavoro, qualunque si fosse, potesse riuscire d'un qualche vantaggio per gli studiosi.

Ed essendochè nella Lettera al Caranenti fu dal Perticari nel 1821 annunziato, che alla gravosa fatica di sceverar dalle false le legittime Rime dell' Alighieri erasi accinto fino da qualche tempo il Marchese Gian Giacomo Trivulzio, talchè i Letterati poteano aspettarsi un'opera degnissima, si venne nel pubblico formando l'opinione, che quel dotto lombardo avesse condotto molto avanti, o fors' anche compiuto il suo lavoro. Anzi con una qualche probabilità si credè che pure il Monti avesse dato opera a simili critiche ricerche, prestando mano al Trivulzio (siccome fece nella emendazione del Convito) in compiere un'impresa fin allora intentata. Ma le italiane Lettere non furono si avventurose da potersi arricchire d'un magistrale lavoro, quale senza dubbio riuscito sarebbe, se le molte occupazioni, e finalmente la morte non si fosse opposta al lodevol progetto di que' due celebri Letterati. E nel vero, poco più che progetto dee quello chiamarsi, in quanto che il chiarissimo Gio. Antonio Maggi, il quale avea incominciato a dar opera insieme col Trivulzio a siffatti critici esami,

ne certifica che il loro lavoro non si ridusse che ad alquanti appunti presi su fogli uniti al Canzoniere di Dante per sussidio della memoria.'

'Debbo queste precise notizie alla cortesia ed all'amicizia del benemerito di Dante, signor Alessandro Torri, il quale da me interpellato, volle su di ciò compiutamente darmi ragguaglio per mezzo della seguente Lettera.

Sig. Pietro Fraticelli, Amico pregiatiss.

Pisa, 3 aprile 1835.

Adempio alla promessa fattavi di ragguagliarvi di ciò ch' erasi futto in Milano relativamente alle Rime liriche di Dante. Quando io meditava di ristamparle, mi rivolsi al marchese Giorgio Trivulzio con lettera raccomandata al mio amico Prof. Francesco Longhena, chiedendogli i lavori ch' erano stati preparati dal marchese suo padre e dal cav. Monti, com'io supponeva, intorno alle dette Rime, proponendomi di pubblicarli insieme a quelli, e di sceverare colla loro scorta quei componimenti che all' Alighieri sono malamente attribuiti. Il prelodato marchese non ricusava cedermi quei lavori, a condizione però che il chiarissimo Giov. Antonio Maggi, che vi aveva avuto parte, ne fosse pur egli contento: ma questi scrisse all'amico mediatore la Lettera di cui vi do copia qui appresso, e che m'ha determinato di rinunziare al progetto dell'edizione di esse Rime, scorgendola troppo scabrosa a farsi nel modo ch' io avrei voluto, e che voi più paziente di me non rifuggiste dall'intraprendere: Eccovi pertanto la Lettera del signor Maggi al suddetto amico mio.

a Pregiatiss. Signore. — Nella riserva posta dal marchese Giorgio Tri» vulzio all' acconsentire alla richiesta del signor Torri intorno a quei lavori » sulle Rime di Dante, io riconosco la bontà verso di me, e l'ottimo discerni»mento di quel degno cavaliere. Per corrispondervi quindi dal canto mio con » tutta schiettezza, mentre le confermo ciò che a lei fu già dal medesimo parte»cipato sulla mia cooperazione ai suddetti lavori, debbo pur dirle, che tutto » quanto trovasi scritto di mia mano in un libro formato di alcuni fogli uniti » al Canzoniere dell' Alighieri, della stampa di Mantova pel Caranenti, non » che sopra altri fogli volanti, non è che un primo abbozzo degli studii che si » facevano in comune tra me ed il marchese Gian Giacomo Trivulzio per sus» sidio della memoria, ed in preparazione della stampa che si meditava. Il la»voro avrebbe poi dovuto esser preso in esame, e rifuso da capo a fondo, per» che moltissimi erano i dubbii che tuttavia rimanevano, nè per anco si era » determinato pienamente quali fossero i componimenti da escludersi come » malamente attribuiti al sommo Alighieri. La malattia, e poscia la morte » sventuralamente avvenuta dell'esimio cavaliere, che mi onorava della sua » amicizia, lasciò ogni cosa in sospeso; e nella sua biografia, inserita net » tomo LXI, della Biblioteca Italiana, io ho già detto, a carte 404, quello ch' io » penso di tale imperfetto lavoro, ec. »

Da quanto il signor Maggi ha esposto, voi desumerete, che il Monti non concorse punto nel lavoro critico intorno alle Rime Dantesche, e se in alcune Lettere del suo Epistolario disse ch' era già tutto in pronto, convien dire che lo

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DISSERTAZIONE SULLE POESIE LIRICHE.

Ora dunque, desiderandosi da tanto tempo un lavoro critico, per cui venissero riordinate ed illustrate le liriche dell' Alighieri, noi, sebbene sentiamo la tenuità delle nostre forze, ci siamo accinti all'impresa nel che fare, abbiamo in animo più di rendere alla memoria di Dante un tributo di buon volere e d'affetto, che di riempiere adequatamente un tal vuoto delle Lettere nostre. Attenendoci pertanto al giudizio del Perticari, noi per l'una parte ci studieremo di rischiarare il senso di questi Componimenti per mezzo di note filologiche ed illustrative; per l'altra di sceverare colla scorta della critica, della storia e de' dati bibliografici, i componimenti legittimi dagli spurii, ed in ciò fare procederemo con tutta severità. Imperocchè noi giudichiamo, che il nome di Dante, suonando così alto fra tutte le colte nazioni, ed il suo valore poetico essendo così grande della propria ricchezza, non possa ricevere alcun incremento da un altrui obliato Sonetto, da un' altrui obliata Canzone. Che se molti si stimaron beati di trar fuori dalla polvere delle Biblioteche qualche dimenticata reliquia, che supposero di quel grande, noi ci terremo beati di far ritornare nell' oblivione que' poetici componimenti, falsamente a Dante attribuiti, i quali, come figli illegittimi e scostumati, che maculano il buon nome e consumano le sostanze del supposto genitore, stanno framezzo le opere di lui, minorando di quelle il meritò e deturpandone la bellezza.

avesse soltanto in idea, o che fosse altro, e suo proprio esclusivamente, del quale però non rimane notizia, ec.

Vostro affezionatiss. Amico
ALESSANDRO TORRI.

Il paragrafo della Biblioteca Italiana, del quale fa menzione il signor Maggi nella sua Lettera, è cosi concepito: « Se ne stava il Trivulzio dispo>> nendo l'edizione delle Rime di Dante con una lunga chiosa, che le dichia>> rasse, accompagnata da ben ponderata scelta di varie lezioni; e i Lette>> rati (come aveva predetto il Perticari) potevano aspettarsi un'opera degnissima. Ma a tanto non bastò la sanità di Gianjacomo, la quale alte>> ratasi fece sospendere il lavoro, nè forse potrebbe ripigliarsi, poichè egli >> solo era guida sufficiente e sicura in quel buio. »

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