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SANGUINO. Ah, ah, aspetta, buon uomo, veggiamo dove va a calar costui al fine.

SCARAMURE. La conclusione è che le puttane in Napoli, Venezia et Roma ideste in tutta Italia son permesse, faurite, han suoi statuti, sue leggi, sue imposizioni et ancora privileggi...

SANGUINO. Devi dire: come privileggi?

SCARAMURE. et però consequentemente non si toglie facoltà a persone di andar a cortegiane et non son perseguitate dalla giustizia...

SANGUINO. Io comincio ad intender costui.

BONIFACIO. Et io. Si va accostando. Laude et gloria a nostra donna di Loreto.

SCARAMURE. et non solamente questo ma ancora gelosissimamente la giustizia si astiene di procedere, perseguitare et comprendere quelli che vanno a donne d'onore perchè, considerano i nostri principi, esser cosa da barbari di prendere le corna che un gentiluomo, un di stima et di qual che riputazione abbia in petto et attaccargliele nella fronte. Però, sii l'atto notorio quanto si voglia, non si suol procedere contra, eccetto quando la parte, la qual sempre suol essere di vilissima condizione, non si vergogna di farne istanza. Quanto alla parti onorate la giustizia verrebbe a fargli grandissimo torto et ingiuria perchè non contrapesa il castigo che si dà a colui che pianta le corna et il vituperio che viene a fare ad un personaggio facendo la sua vergogna pubblica et notoria agli occhi di tutto il mondo. Si che è maggior l'offesa che patisce dalla giustizia che dal delinquente et ben che niente manco il mondo tutto lo sapesse, tutta via sempre le corna, con l'atto della giustizia, dovengono più solenni et gloriose.

Ogni uomo dunque capace di giudicio considera che questo dissimular che fa la giustizia, impedisce molti inconvenienti; perchè un cornuto et svergognato coperto (se pur un tale può esser ditto cornuto o svergognato di cui l'estimazione non è corrotta) per tema di non essere discoperto o per minor cura che abbia di quelle corna che nisciun le vede (le quali in fatto son nulla) si astiene di far quella vendetta la quale sarebbe ubligato secondo

il mondo di fare, quando il caso a molti è manifesto. La consuetudine dunque d'Italia et altri non barbari paesi, dove le corna non vanno a buon mercato, non solamente comporta et dissimula tali eccessi, ma ancho si forza di coprirli, onde in certo modo son da lodare quei che permettono i bordelli per i quali si ripara a massimi inconvenienti che possono accadere in nostre parti. SANGUINO. Concludi presto, vi dico.

BONIFACIO. Oimè, mi fa morir di sete, mi viene il parosisismo.

SCARAMURE. Finalmente dico a Vostra Signoria che l'eccesso di Messer Bonifacio è stato per conto di donna. La quale, o sii puttana, o sii d'onore, non deve esser cagione che lui che è uomo di qualche stima et nobile...

BONIFACIO. Io son, mi par, gentiluomo del seggio di San Paolo.

SCARAMURE. ... sii visto prigione etc... onde potrebbono ancor altri venir ad essere gravemente vituperati. A Vostra Signoria, che è persona discreta, credo che basti d'avere udito questo per intendere tutto il caso. SANGUINO. Se questo è per causa di donne io son

molto malcontento che costui mi sii venuto nelle mani et mi scuso avanti a dio et il mondo che non è mia intenzione di ponere in compromisso l'onor di persona vivente. Ma voglio che sapi tu, et lui medesmo mi può esser testimonio et la compagnia presente, che a questa cosa non posso riparare io. Costui mi è stato posto nelle mani da un certo Messer Gioan Bernardo pittore, il quale lui contraffacea con una barba posticcia et ancora contraffa con la biscappa che gli vedi et la barba è qua in mano di nostri famegli, la quale, se volete vedere come gli sta bene, verrete domani a quattordici ore in Vicaria che potrete ridere quando li confrontaremo insieme colle barbe.

BONIFACIO. Oh, povero me, eh, per amor di dio, ag giutatemi.

SANGUINO. Or quel pover'omo da bene fa istanzia alla giustizia per eccessi che costui può aver fatti et pretenduti di fare in forma et specie di sua per

sona, onde possa per l'avvenire aversi qualche pretenzione contra colui, da qualche parte lesa, per eccessi che abbia commessi costui.

B NIFACIO. Signor di questo non è da dubitare. SANGUINO. Omo da bene, non son io che dubito. Si che comprendete voi et sappia ognuno ch'io non lo tengo et meno in Vicaria per mio bel piacere ma perchè ne ho da render conto et colui è molto scalfato contro di questo et è apparecchiato doman mattina di far gli suoi atti contra il presente. Oltre la sua femina ancho si lamenta et Messer Gioan Bernardo et la donna mi potrebbono dare gran fastidio. SCARAMURE. Della donna non si dubita...

SANGUINO. Anzi, di quella io dubito più. Queste per gelosia sogliono strapazzar la vita et onor proprio et de' mariti. Or dunque considerate voi, Messeri, che cosa posso far io per voi. Posso aver compassion di lui non aggiutarlo.

SCARAMURE. Signor Capitano, Vostra Signoria parla come un angelo.

BONIFACIO. Come un evangelista. Non si può dir meglio. Santamente.

SANGUINO. Orsi, dunque, andiamo. Panzuottolo fa che vengli abbasso quel magister et spediamoci.

SCARAMURE. Signor Capitanio io dono una nova a Vostra Signoria.

SANGUINO. Che nova?

SCARAMURE. 10 mi confido di far di modo (se mi vuol far tanto di grazia di aspettar un mezzo quarto d'ora) di riconciliare quel Messer Gioan Bernardo con Messer Bonifacio.

BONIFACIO. Oh! che piacesse a dio et potessi far questo. SANGUINO. Voi ne date la berta. Questo è impossibile. SCARAMURÈ. Anzi è necessario. Quando lui saprà come la cosa passa, io credo che et cetera. Io gli son tanto amico che se l'è colcato lo farò levare et lo farò venir qua et farò di modo che si accordino insieme. Ma bisogna che voi, Messer Bonifacio, gli chiedete perdono e gli facciate qualche degna satisfazione di parole et atti d'umiltà. Perchè veramente lui può presumere che l'abbiate molto offeso.

BONIFACIO. Così è. Io mi offero di baciargli i piedi et essergli amico et ubligato in perpetuo. Se me per

dona questo fallo et non mi espone alla vergogna, non solamente a lui, uh, uh, uh, ma ancora a Vostra Signoria, Signor Capitanio mio, uh, uh, uh. SANGUINO. Alzati. Non mi baciar i piedi sin tanto che io non sii papa.

BONIFACIO. A Vostra Signoria sarò obligato se in questo fatto mi aggiutarà dandone comodità per un poco di tempo di trattar questo accordo. Et a voi, Messer Scaramurè, vi priego colle viscere del core et anima mia, trattate questo negocio caldamente che la vita mia vi sarà in perpetuo ubligatissima. SCARAMURE. Io mi confido assai almeno di condurlo sotto qualche pretesto sin qua et quando vi sarà faremo tanto colla vostra umiltà et intercessione del Signor Capitanio (se ne vuol faurire) et mie persuasioni che la cosa non passarà avanti et è anche necessario che non si ingrato alla generosità del Signor Capitanio.

SANGUINO. Oh, io non mi curo di questo quanto a me. Bisognerà si ben far qualche buona cortesia a que sti miei famegli almeno per chiudergli la bocca: oltre che non mi basta questo. Voglio che si ricon cilii ancora colla sua femina et che dimanda merce a lei così bene come a quell'altro et quando vedrò quelli due contenti et satisfatti io non procederò oltre perchè non posso far di non aver compassione ancor io di questo povero Messer Bonifacio. BONIFACIO. Signor mio, eccome qua tutto in anima et corpo al servizio vostro. Per li compagni dico, per questi famegli, ecco qua le anella tutto quel ch'io ho dentro questa borsa et questa maldetta biscappa che per ogni modo me la voglio levar di sopra. SANGUINO. Basta, basta. Voi fate il conto senza l'oste, come si dice: di tutto questo non sarà nulla se vostra mogliera et Messer Bartolomeo non si contentano. BONIFACIO. Io spero che si contenteranno. Andate, andate, vi priego, messer Scaramurè mio.

SCARAMURE. Io lo guidarò sin qua sotto qualch' altro pretesto che non potrà mancare. Vostra moglie, son certo, che per suo onore, ancora non mancara di venire.

SANGUINO. Andate et fate presto se volete che v aspettiamo.

SCARAMURE. Signor non è troppo lontano da qua l'uno et l'altra. lo verrò quanto prima.

SANGUINO. Fate che siamo presto risoluti del si o del non et non mi fate aspettare in vano. SCARAMURE. Vostra Signoria non dubiti.

BONIFACIO. O Santo Leonardo glorioso aggiutami. SANGUINO. Andiamo. Ritorniamo dentro che aspettaremo un poco là.

SCENA XIX.

Gioan Bernardo, Ascanio.

GIOAN BERNARDO. Tanto che, figliol mio, tornando al proposito è opinion comone che le cose son talmente ordinate che la natura non manca nel necessario et non abbonda in soverchio. Le ostreche non han piedi perchè in qual si voglia parte del mar che si trovino han tutto quel che basta a lor sustentamento, perchè d'acqua sola et del caldo del sole, la cui virtute penetra insino al profondo del mare, si mantengono. Le talpe ancora non han occhi perchè la lor vita consiste sotto terra et non vivono d'altro che di terra et non posson perderla. A chi non have arte non si danno ordegni. ASCANIO. Così è certissimo. Ho udito dire che un certo censore dell' opre di Giove che si chiama Momo, (perchè son per tutto necessarii questi che parlan liberamente, prima perchè i principi et giodici si accorgano degli errori che fanno et non conoscono, merce di poltroni et vilissimi adulatori; secondo perchè temino di far una cosa più che un'altra; terzo perchè la bontà et virtù quando ha contrario si fa più bella, manifesta et chiara et si confirma et si rinforza). Questo censor dunque di Giove... GIOAN BERNARDO. Costui non è nominato per un de' primi et meglior dei del cielo perchè questi che han più corte le braccia per l'ordinario han la lingua più lunga.

ASCANIO....questo censor di Giove in quel tempo disputando con Mercurio, il quale è stato ordinato interprete et causidico de'dei, venne ad interrogarlo in questa foggia. O Mercurio, più ch'ogni altro sofista, falso persuasore et ruffiano dell' Altitonante,

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