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prova mancasse, che questa sua commedia il Bruno non può averla scritta ne' suoi anni giovanili perchè in essa è tutta la dolorosa esperienza dell'uomo maturo e nè meno può averla composta in Italia perchè sin dalle prime pagine ci sono allusioni aperte a luoghi che il Bruno vide appena prima di passare le Alpi. Tali l'allusione alla coda dell'asino che adorano a Castello i Genovesi (Atto I, sc. I), quella al porto di Venezia (Antiprologo). Ce lo mostrerebbe ancora il linguaggio libero, liberissimo del Bruno contro i papi, contro la religione, contro la Repubblica di Venezia, contro tutto e tutti, linguaggio che è proprio di chi lontano dalla sua patria e al sicuro può liberamente dire quel che pensa senza riguardi e sottintesi: ancora i numerosi francesismi della commedia ci attestano indubbiamente il Bruno non averla potuto scrivere se non dopo un lungo soggiorno nella Francia, in Parigi.

Che il Bruno alluda ad una legge papale del 1569 nella scena XVIII dell'atto V., egregio signor Berti, può soltanto dimostrarci che essa è posteriore al 1569. Ma l'allusione alla benedetta coda dell'asino che adorano a Castello i Genovesi nella scena si badi- I, dell'Atto I, e che il Bruno vide co' propri occhi quando fu a Genova nel 1577, non poteva metterla più dirittamente sulla buona strada? Non dimostra egualmente che il Candelaio è posteriore al 1577?

Più al vero si accosta il Berti pur solamente nella seconda parte della sua affermazione quando è incline a credere che l'opera sia stata scritta in viaggio compiuta a Parigi. Però egli dimentica che il Bruno posto mani ad un suo lavoro in brevissimo tempo e quasi di getto lo compiva. Così egli fece con tutti i suoi lavori; perchè no col Candelaio il quale a molti indizii accusa la fretta, esce caldo, spontaneo dalla fantasia del Bruno? Dunque poi che l'opera fu pubblicata in Pariggi (sic), appresso Gu

glelmo Giuliano. Al segno de l'Amicitia MDLXXXII, e vi si allude, sempre nella lettera a Morgana B., al De umbris idearum (1) pubblicato a Parigi nello stesso anno 1582, l'anno della grande operosità del Bruno e ad esso pur tennero dietro il Cantus Circeus e il De compendiosa architectura scritti al solito d'un subito e subito nello stesso anno stampati, nel 1582 non prima, non dopo lo compose il Bruno. E che in questo tempo l'abbia scritto è dimostrato ancora ad evidenza dal seguente passo della lettera a Morgana B., ove egli parlando della sua commedia dice: « a chi inviarò quel che dal Sirio influsso celeste, in questi più cuocenti giorni et ore più lambiccanti che dicon Caniculari mi han fatto piovere nel cervello le stelle fisse, le vaghe lucciole del firmamento mi han crivellato sopra, il decano de'dudici segni mi ha balestrato in capo et ne l'orecchie interne mi han soffiato i sette lumi erranti? »

Sì che, è evidente, il Candelaio fu ideato e compiuto negli ultimi giorni canicolari dell'agosto del 1582.

Il titolo della nostra commedia, come già quello della Mandragola è di significato riposto ed espressivo. Il dotto Bartholmèss non lo íntese e sbaglia nel credere che esso provenga alla commedia da Manfurio che si crede l'un des lumières du monde et montre qu'il n'est que un chandelier. Quello stralunato del Levi che ha accozzato tante sciocchezze ridicole nel suo libro già citato, pur dando sulla voce al Berti e ad altri che giudicarono alla leggiera quest' opera ne spiffera ancora una: Il Candelaio, egli dice, è la lanterna di Diogene in mano al filosofo. Il cinico greco portava la lanterna per trovare l'uomo, il filosofo Nolano per ritrovare

(1) la quale (candela del suo Candelaio) ...potrà chiarire alquanto certe ombre delle Idee le quali invero spaventano le bestie. »

la verità, la sincerità e chiarire, mettere a nudo le ipocrisie, le buaggini, le laidezze sociali, e per servirci delle stesse parole di lui: « La candela del suo candelaio può chiarire certe ombre d' idee le quali invero spaventano le bestie. >>

Egli al solito si trova di gran lunga lontano dalla verità, nè ha saputo accorgersi che la parola candela ha un senso osceno, compreso il quale vedere il vero non gli sarebbe stato difficile.

L'Imbriani con quell'acume che fu il suo, ha penetrato e colto nel vero, ed io provai grande soddisfazione quando lessi che anch' io ero pervenuto allo stesso risultamento.

Dal senso osceno che ha la parola candela in molti luoghi della commedia e che traspare specialmente nel dialogo fra Lucia e Barro (Atto II, sc. V); dalle parole di Bonifacio che dichiara a Gioan Bernardo che a 42 anni non è coinquinato cum mulieribus (Atto I, sc. II); dal fatto che tiene invece presso di sè un giovanetto da sole e da candela (Proprologo), cioè del quale usa e di giorno e di notte e si badi sempre al duplice senso di candela,; dalle parole di Scaramurè (Atto I, sc. X) che dice a Bonifacio che il segno della di lui nascita fu Venus retrograda in signo masculino il quale doveva apportare certa conversione nell'età di 45 anni, cioè ora che s'innamora di Vittoria; dalle difficoltà che trova Carubina a sposare Bonifacio perchè candelaio (Atto V, sc. XXIV) ecc., risulta alla evidenza che il turpe vizio che dà materia alla satira cruda del Bruno nella persona di Bonifacio è la pederastia e che candelaio non vuol dir altro. che pederasta.

Ne la satira colpisce del resto il solo Bonifacio, perchè del turpe vizio che fece l'Alighieri severo con Prisciano è Ser Brunetto, sono macchiati molti nella commedia: il solennissimo pedante Manfurio e il matricolato Sanguino, Barro, gli altri ma

rinoli. Ciò si rileva dalla scena VI, dell'atto III, ove il pedante vuol far reiterare al suo discepolo Pollula certi avverbii locali invitandolo con insistenza ad entrare dentro la propria casa e, ancora, dalle parole latine con cui egli risponde nella scena I, dell'atto II alle dimande del faceto Ottaviano. Del resto il nome di Pollula che il Bruno deriva a bella posta dall' osceno polluere, imbrattare, nome femminile di personaggio maschile, parla a bastanza chiaro.

Così ci spiegheremo ancora di che genere sia quel tal negozio che Pollula vuol compire con Sanguino (Atto I, sc. V) il quale, si può a buon diritto sospettare, abbia ancora di sì fatti negozii con Ascanio, il docile servo da sole et da candela di Messer Bonifacio. E non sapremo così ancora che cosa a questa pecora di buona, anzi di ottima indole, receptaculo del dottrinal seme di Manfurio, a questo scolare da inchiostro nero e bianco che ora desta il nostro sdegno ora la pietà nostra voleva dire nella scena VII, dell'atto II il lussurioso Barro?

Palermo, nell'agosto del 1888.

ENRICO SICARDI.

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