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BARTOLOMEO Compare nell'Atto I, Scena III dove si beffa dell'amor di Bonifacio, concludendo che l'innamoramento dell'oro et dell'argento et perseguire altre due dame è più a proposito. Et è verisimile che quindi partito, fusse andato a far l'alchimia nella quale studiava sotto la dottrina di Cencio. Il quale Cencio, nella Scena XI, si discuopre barro secondo il giudizio di Gioan Bernardo et poi, nella Scena XII egli medesimo si mostra a fatto truffatore. Viene Marta sua moglie, nella Scena XIII, et discorre sopra l'opra del marito et, nella Scena XIIII, è sopraggionta da Sanguino che si burlava di lui et lei.

Nell'Atto II, Scena V, ragionando Barro con Lucia mostra parte del profitto che facea Bartolomeo, cioè, che mentre lui attendeva ad una alchimia, la moglie Marta facea la bucata et insaponava i drappi.

Nell'Atto 1111, Scena I, Bartolomeo discorre sopra la nobilità della sua nuova professione et mostra con sue ragioni che non v'è meglior studio et dottrina di quello de minerabilibus et con questo ricordato del suo esercizio si parte.

Nell'Atto III, Scena III, va Bartolomeo aspettando il servitore ch'avea inviato per il pulvis Christi et, Scena IIII, discorre sopra quel detto: Onus leve, assomigliando l'oro alle piume. Scena VIII. La sua moglie dimostra quanto fusse onesta matrona nel ragionar che fa con Messer Bonifacio. Mostra quanto lei fusse più esperta nell'arte del giostrare ch'il suo marito in far alchimia et, nella Scena IX, dona ad intendere ciò non esser maraviglia perchè a quella disciplina fu introdotta nell'età di dodici anni et donando più vivi segnali della sua dottrina da cavalcare fa una lamentevole et pia digressione circa quel studio di suo marito che l'avea distratto da sue occupazioni megliori. Mostra ancho la diligenza che teneva in sollicitar gli suo' dei a fin chè gli restituissero il suo marito nel grado di prima. Con questo, Scena X, comincia a veder effetto di sue orazioni per essere l'al

chimia tutta andata in chiasso per un certo pulvis Christi che non si trovava altrimente che facendolo Bartolomeo medesmo. Il quale di cinque talenti gli arrebbe reso talenti cinque. Or l'uomo per informarsi meglio va col suo Mochione a ritrovar Consalvo.

Nell'Atto V, Scena II, vengono Consalvo et Bartolomeo che si lamentava di lui come consapevole et complice della burla fattagli da Cencio. Et così, dalle paroli venuti a'pugni, Scena 111, furno sopraggionti da Sanguino et compagni in guisa di capitano et birri. Li quali sotto specie di volerli menare in prigione li legarono colle mani a dietro et avendoli menati a parte più remota, gionsero le mani dell'uno alle mani dell'altro, schena a schena et così gli levorno le borse et vestimenti come si vede nel discorso delle Scene IIII, V, VI, VII, VIII.Et poi, nella Scena XII, avendono caminato per fianco et fianco per incontrarsi con alcuno che li slegasse, giunsero al fine dov'era Gioan Bernardo et Carubina che andavano oltre. I quali volendo arrivare Consalvo, con affrettar troppo il passo, fe' cascar Bartolomeo che si tirò lui appresso; et rimasero così sin che, Scena XIII, sopravvenne Scaramurè e li sciolse et li mandò per diversi camini a proprie case.

MANFURIO nell'Alto I, Scena V, comincia ad altitonare et viene ad esser conosciuto da Sanguino per pecora da pastura; cioè che i marioli cominciorno a formar disegno sopra il fatto suo.

Nell'Atto II, Scena I, vien burlato dal signor Ottaviano, che prima mostrava maravigliarsi di sui bei discorsi, appresso di far poco conto di suoi poemi per conoscere come si portava quando era lodato et come quando era o meno o più biasimato. Et partitosi il signor Ottaviano, porge Manfurio una lettera amatoria al suo Pollula, inviandola a Messer Bonifacio, per il cui servizio l'avea composta. La quale epistola poi, nella Scena IIII, viene ad essere letta et considerata da Sanguino et Barro.

Nell'Atto III, Scena VI, sguaina un poema contra

il Signor Ottaviano in vendetta della poca stima che fece di sui versi, sopra i quali, mentre discorre con il suo Pollula, sopravviene Messer Gioan Bernardo, Scena VII, col qual discorse sin tanto che gli cascò la pasienza. Ritorna, nella Scena XI. Appare con Corcovizzo che fe' di modo che gli tolse i scudi di mano. Or mentre di ciò, Scena XII, si lagna et fa strepito gli occorreno Barro et Marco et, nella Scena X111, Sanguino. I quali ponendolo in speranza di ritrovar il furbo et ricovrare il furto gli ferno cangiar le vesti et lo menorno via. Nell'Atto 1111, Scena XI, riviene così mal vestito com'era, lamentandosi che i secondi marioli gli aveano tolte le vestimenta talari et pileo prezioso facendolo rimaner solo nel passar di certa stanza. Et con questo avea vergogna di ritornar a casa. Aspetta il più tardi retirandosi in un cantoncello sin tanto che, nella Scena XV, si fa in mezzo spasseggiando et discorrendo circa quel che ivi avea udito et visto. Tra tanto, Scena XVI, viene Sanguino, Marco et altri in forma di birri, et volendosi Manfurio ritirare in secreto, con quella et altre specie, lo presero prigione et lo depositorno nella prossima stanza.

Nell'Atto V, Scena XXV (1), gli vien proposto che faccia elezione di una di tre cose per non andar prigione; o di pagar la bona strena agli birri et capitano, o di aver diece spalmate, o ver cinquanta staffilate a brache calate. Lui arrebbe accettata ogni altra cosa più tosto che andar con quel modo prigione. Però delle tre elegge le diece spalmate, ma, quando fu alla terza, disse più tosto cinquanta staffilate alle natiche. De' quali avendone molte ricevute et confondendosi il numero or per una, or per un'altra causa, avvenne che ebbe spalmate, staffilate et pagò quanti scudi gli erano rimasti alla giornea et vi lasciò il mantello che non era suo. E fatto tutto questo, posto in arnese come don Paulino, nella Scena XVI, fa et dona il Plaudite.

(1) Il testo ha: penullima.

Messer si, ben considerato, bene appuntato, bene ordinato. Forse che non ho profetato che questa comedia non si sarebbe fatta questa sera? Quella bagassa che è ordinata per rappresentar Vittoria et Carubina have non so che mal di madre. Colui che ha da rappresentar il Bonifacio è imbriaco che non vede ciel nè terra da mezzodi in qua, et come non avesse da far nulla, non si vuol alzare di letto. Dice: Lasciatemi, lasciatemi che in tre giorni et mezzo et sette sere, con quattro, o due rimieri sarò tra parpaglioni et pipistregli. Sia, voga, voga, sia.

A me è stato commesso il prologo et vi giuro ch'è tanto intricato, et indiavolato che son quattro giorni che vi ho sudato sopra et di et notte, che non bastan tutti trombetti et tamburini delle Muse puttane d'Elicona a ficcarmene una pagliusca dentro la memoria. Or va fa il prologo! Sii battello di questo barconaccio dismesso, scasciato, rotto mal'impéciato, che par che con crocchi rampini et arpagini sii stato per forza tirato dal profondo abisso. Da molli canti gli entra l'acqua dentro, non è punto spalmato et vuole uscire et vuol farsi in alto mare? Lasciar questo sicuro porto del Mantracchio? far partita dal Molo del silenzio? L'autore, se voi lo conosceste, direste che have una fisionomia smarrita; par che sempre si in contemplazione delle pene dell'inferno; par si stato alla pressa come le barrette. Un che ride sol per far come fan gli altri. Per il più lo vedrete fastidito, restio el bizzarro. Non si contenta di nulla; ritroso come un vecchio d'ottant'anni, fantastico come un cane che ha ricerute mille spellicciale, pasciuto di cipolla. Al sanque..... non voglio dir di chi; lui et tulli quest' altri filosofi, poeti et pedanti la più gran nemica che abino è la ricchezza et beni. De' quali, mentre con il loro cervello fanno notomia, per tema di non esser da costoro da dovero sbranate, squartate et dissipate le fuggono come centomila diavoli et vanno a ritrorar quelli che le mantengono sane et in conserva. Tanto che io con servir simil canaglia ho tanta della

fame, lanta della fame che se mi bisognasse vomire, non potrei vomir altro che il spirto; se mi fusse forza di cacare non potrei cacar altro che l'anima com'un appiccato. In conclusione io voglio andar a farmi frate et chi vuol far il prologo sel faccia.

Proprologo.

Dove è ito quel furfante, schena da bastonate, che deve far il prologo? Signori, la comedia sarà senza prologo; et non importa, perchè non è necessario che vi sii. La materia, il suggetto, il modo, ordine et circostanze di quella vi dico che vi si faran presenti per ordine el vi saran poste avanti agli occhi per ordine: il che è molto meglio che se per ordine vi fussero narrati. Questa è una specie di tela ch' ha l'ordimento et tessitura insieme. Chi la può capir la capisca, chi la vuol intendere l'intenda. Ma non lascierò per questo di avvertirvi che dovete pensare di essere nella regalissima città di Napoli, vicino al seggio di Nilo.

Questa casa che vedete qua formata, per questa notte servirà per certi barri, furbi et marioli (guar datevi pur voi che non vi faccian vedovi di qualche cosa che portate addosso). Qua costoro stenderanno le sue rete et zara a chi tocca. Da questa parte si va alla stanza del Candelaio, idest, Messer Bonifa cio et Carubina sua (1) moglie et a (2) quella di Messer Bartolomeo. Da quest' altra si va a quella della Signora Villoria et di Gioan Bernardo pittore et Scaramurè che fa del necromanto. Per questi contorni, non so per qual' occasioni, molto spesso si va rimenando un solennissimo pedante detto Manfurio. Io mi assicuro che lo vedrete tutti. El la ruffiana Lucia, per le molte faccende, bisogna che non poche volte vada et vegna. Vedrete Pollula col suo magister per il più. Questo è uno scolare da inchiostro nero et bianco. Vedrete il paggio di Bonifacio, Ascanio; un servitor da sole et da candela. Mochione garzone di Bartolomeo non è caldo nè freddo, non odora nè puzza. In Sanguino, Barro, Marco

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