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OTTAVIANO. Delle negative qual vi piace più? MANFURIO. Quel nequaquam est mihi cordi et mi sodisfa.

OTTAVIANO. Or dimandatemi voi adesso.

MANFURIO. Ditemi, signor Ottaviano, piacenvi i nostri versi?

OTTAVIANO. Nequaquam.

MANFURIO. Come nequaquam? non sono essi optimi? OTTAVIANO. Nequaquam.

MANFURIO. Duae negationes affirmant: volete dir dunque che son buoni.

OTTAVIANO. Nequaquamt.

MANFURIO. Burlate?

OTTAVIANO. Nequaquam.

MANFURIO. Sì che dite da senno?

OTTAVIANO. Utique.

MANFURIO. Dunque poca stima fate di mio Marte et di mia Minerva? OTTAVIANO. Utique.

MANFURIO. Voi mi siete nemico et mi portate invidia. Da principio vi admiravate della nostra dicendi copia, adesso ipso lectionis progressu la admirazione è metamorphita in invidia?

OTTAVIANO. Nequaquam. Come invidia? Come nemico? Non mi avete detto che queste izioni vi piaceno?

MANFURIO. Voi dunque burlate et dite exercitationis gratia?

OTTAVIANO. Nequaquam.

MANFURIO. Dicas igitur sine simulatione et fuco; hanno enormità, crassizie, et rudità i miei numeri?

OTTAVIANO. Utique.

MANFURIO. Così credete a punto?

OTTAVIANO. Utique, sane, certe, equidem, utique, utique.

MANFURIO. Non voglio più parlar con voi.

OTTAVIANO. Se non volete resistere a udir quel che dite che vi piace che sarebbe s'io vi dicesse cosa che vi dispiace? Addio.

MANFURIO. Vade, vade. Ades dum Pollula. Hai considerata la proprietà di quest'uomo il quale ora è da noi absentato?

POLLULA. Costui da principio si burlava di voi di una sorte al fine vi dava la baia d'un'altra sorte. MANFURIO. Non pensi tutto ciò esser per invidia che gl'inepti portano a noi altri (melius diceretur alii, differentia faciente aliud) eruditi?

POLLULA. Tutto vi credo essendo voi mio maestro et per farvi piacere.

MANFURIO. De his hactenus, missa faciamus haec. Or, ora voglio gire a ispedir le Muse contra questo Ottaviano et come gli ho fatti udire in proposito di altro i porcini epiteti, posthac in suo proposito voglio che odi quelli di uno inepto giudicator della doctrina altrui. Ecco, vi porgo una epistola amatoria fatta ad istanzia di Messer Bonifacio; il quale per gratificare alla sua amasia mi ha richiesto che gli componesse questa lectera incentiva. Andate et gliela darete secretamente, da mia parte, in mano, dicendogli che io sono implicito in altri negocii circa il mio ludo litterario. Ego quoque hinc pedem refe am perchè veggio due femine appropiare de quibus illud: Longe fac a me.

POLLULA. Salve domine praeceptor.

MANFURIO. Faustum iter. Dicitur vale.

SCENA II.

Signora Vittoria, Lucia.

VITTORIA. La gran pecoragine che io scorgo in lui mi fa innamorar di quest' uomo, la bestialità sua mi fa argumentare che non perderemo per averlo per amante et per essere un Bonifacio, come vedete, non ne potrà far altro che bene.

LUCIA. Costui non è di quei matti ch' han troppo secco il cervello, ma di quei che l'hanno troppo umido; però è necessario che dii di botto al troppo grosso et più dolce umore che al troppo suttile, fastidioso, collerico et bizzarro.

VITTORIA. Or andiate et ringraziatelo da mia parte et ditegli ch'io non posso vedermi sazia di leggere la sua carta et che in poco tempo che siate stata presso di .me diece volte me l'avete veduta cac

ciar et rimettere nel petto. Dategli quante panzanate voi possete per fargl' intendere ch'io gli porto grand'amore.

LUCIA. Lascia la cura a me disse Gradasso. Così potesse io guidar il re o l'imperatore come potrò maneggiar costui. Rimanete sana.

VITTORIA. Andate. Fate come vi dettarà la prudenza vostra, Lucia mia.

SCENA III.

Signora Vittoria, sola.

L'Amore si depinge giovane et putto per due cause: l'una perchè par che non stia bene a' vecchi, l'altra perchè fa l'uomo di leggiero et men grave sentimento come fanciulli. Nè per l'una, nè per l'altra via è entrato amor in costui. Non dico perchè gli stesse bene, atteso che non paiono buone a lui simili giostre nè perchè gli avesse a togliere l'intelletto, perchè nisciuno può essere privato di quel che non ha. Ma non ho tanto da guardar a lui quanto debbo aver pensiero de' fatti mici. Considero che, come di vergini altre son dette sciocche, altre prudenti, così anco di noi altre che gustiamo de' meglior frutti che produce il mondo, pazze son quelle che amano sol per fine di quel piacer che passa et non pensano alla vecchiaia che si accosta ratto senza ch'altri la vegga o senta, insieme facendo discostar gli amici. Mentre quella increspa la faccia questi chiudono le borse; quella consuma l'umor di dentro et l'amor di fuori, quella percuote da vicino et questi salutano da lontano. Però fa di mestiero di risolversi a tempo. Chi tempo aspetta tempo perde. S'io aspetto il tempo, il tempo non aspettarà me. Bisogna che ci serviamo de'fatti altrui mentre par che quelli abbian bisogno di noi. Piglia la caccia mentre ti siegue et non aspettar che ella ti fugga. Mal potrà prendere l'uccel che vola chi non sa mantener quello ch' ha in gabbia. Ben che costui abbia poco cervello et mala schena ha però la buona borsa. Del primo suo danno, del secondo

mal non m' accade, del terzo se ne de' far conto. I savii vivono per i pazzi et i pazzi per i savii. Se tutti fussero signori non sarebbono signori, così se tutti saggi non sarebbono saggi et se tutti pazzi non sarebbono pazzi. Il mondo sta bene come sta. Or torniamo al proposito, Porzia. Conviene a chi è bella per la gioventù che sii saggia per la vecchiaia. Altro non abbiamo l'inverno che quel che raccolsemo l'estade. Or facciamo di modo che quest'uccello con sue piume oltre non passi (1). Ecco Sanguino.

SCENA IV.

Sanguino, Signora Vittoria.

SANGUINO. Basovi quelle bellissime ginocchia et piedi signora Porzia mia dolcissima saporitissima più che zucchero cannella et senzeverata. O ben mio, se non fussemo in piazza non mi terrebbono le catene di santo Leonardo ch'io non ti piantasse un bacio a quelle labbra che mi fan morire. VITTORIA. Che portate di novo Sanguino? SANGUINO. Messer Bonifacio ve si raccomanda et io vel raccomando così come i buoni padri raccomandano i lor putti a' maestri, idest, che se egli non è saggio lo castighiate ben bene et se volete uno che sappia et possa tenerlo a cavallo servitevi di me. VITTORIA. Ah, ah, ah. Che volete dir per questo? SANGUINO. Non l'intendete? Non sapete quel ch'io voglio dire? Siete tanto semplicetta voi?

VITTORIA. Io non ho queste malizie che voi avete. SANGUINO. Se non avete di queste malizie, avete di quelle, di quelle et di quell' altre. Et se non sete fina come posso esser io, sete come può essere un altro. Or lasciamo queste parole da vento, vengamo al fatto nostro.

Era un tempo che il leone et l'asino erano compagni et andando insieme in peregrinaggio convennero che al passar de' fiumi si tranassero a vi

(1) Il testo: passa.

cenna, come è a dire: che una volta l'asino portasse sopra il leone et un'altra volta il leone portasse l'asino. Avendono dunque ad andar a Roma et non essendo a lor servigio nè scafa, nè ponte, gionti al fiume Garigliano, l'asino si tolse il leone sopra, il quale natando verso l'altra riva, il leon per tema di cascare sempre più et più gli piantava Ï' unghie nella pelle di sorte che a quel povero animale gli penetrorno in sin'all'ossa. Et il miserello, come quel che fa professione di pazienza, passo al meglio che potè senza far motto. Se non che gionti a salvamento fuor dell'acqua si scrollò un poco il dorso et si svoltò la schena tre o quattro volte per l'arena calda et passaron oltre. Otto giorni dopo, al ritornare che fecero era il dovero che il leone portasse l'asino. Il quale, essendogli sopra per non cascare nell' acqua co' denti afferrò la cervice del leone et ciò non bastando per tenerlo sù, gli cacciò il suo strumento o come vogliam dire il... tu m'intendi, per parlar onestamente, al vacuo sotto la coda dove manca la pelle; di maniera che il leone senti maggior angoscia che sentir possa donna che sia nelle pene del parto gridando: Olà, olà, oi, oi, oi, oimè, olà traditore. A cui rispose l'asino in volto severo, et grave tuono: Pazienza fratel mio, vedi ch'io non ho altr' unghia che questa d'attaccarmi. Et così fu necessario ch'il leone suffrisse et indurasse sin che fusse passato il fiume.

A proposito: Omnio rero vicissitudo este et nisciuno è tanto grosso asino che qualche volta, venendogli a proposito, non si serva dell' occasione. Alcuni giorni fa Messer Bonifacio rimase contristato di certo tratto ch'io gli feci, oggi allora ch'io credevo che si fusse desmenticato me l'ha fatta peggio che non la fece l'asino al leone. Ma io non voglio che la cosa rimagna qua.

VITTORIA. Che vi ha egli fatto? Che volete voi fargli? SANGUINO. Ve dirò: Oh, veggio compagni che vengono. Retiriamoci et parleremo a bell'agio.

VITTORIA. Voi dite bene, andiamo in nostra casa che voglio saper di cose da voi. SANGUINO. Andiamo, andiamo.

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