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ipso transitu suo ponet profundum maris viam ut transeant liberati. Si noti questa somiglianza fra il Redentore e Beatrice, la quale come, lei viva, dava a Dante la speranza d'una beatitudine speciale anche nell'Inferno, cioè d'aver conosciuto la Speranza dei Beati, cosí, lei, morta, lo condusse a sentirla come la donna in cui vigeva la sua speranza e che degnò per la sua salute scendere a lasciar le sue orme nell'Inferno, come partecipe all' ufficio proprio della Vergine Madre, di corredentrice. Cosí Bernardo, Bonaventura e Iacopone aprirono veramente a Dante la via ». Quindi, dopo di aver fatto rilevare le relazioni, che passano fra il poemetto di Iacopone e la Comedia, conchiude che da quei tre venne « a Dante giovane l'esempio della prima concezione drammatica sua; bella novità della canzone di laude con la quale egli trasse fuori le nuove rime e dove balena la prima idea della Comedia; cioè quella d'una pace fra la Pietà e la Giustizia a proposito d'un uomo caduto che si sente dannato all'abisso, a cui unico conforto in quel fondo d'amaro dolore è sapere d'avere amato un'anima eletta di donna, che induce una lontana speranza dell'infinita Pietà ». Queste sono le conclusioni del Salvadori.

Ma, come osserva anche l'amico prof. G. Melodia', le relazioni generali fra la concezione dan

1 La « Vita Nuova » di Dante Alighieri, con introduzione, commento e glossario di G. MELOdia, Milano, Vallardi, 1905, ricco ed ottimo commento del libretto dantesco.

tesca e quella dei tre predecessori, scendendo ai particolari si scommettono, fino a divergere in direzioni opposte nello scopo finale: «Che se anche si ammettesse (dice il Melodia) col D'Ancona che nel v. 27 Dante venga da Dio condannato all'Inferno, non però il contrasto sarebbe intorno alla sua salvazione, né Beatrice sarebbe ancora lasciata sulla terra « a principio di salute per lui », ma solo a conforto della sua immancabile dannazione». Ed è cosí! E invano il Salvadori, a rannodar gli strappi, insinua la frase: « a proposito d'un uomo caduto che si sente dannato all'abisso, a cui unico conforto in quel fondo d'amaro dolore è sapere d'avere amato un'anima eletta di donna, che induce una lontana speranza dell' infinita Pietá »; perché Dante sapeva benissimo che nell'Inferno è perduta ogni speranza! Quindi, la strofa della canzone resterebbe soltanto come ponte di passaggio, fra la rappresentazione di Bernardo, Bonaventura e Iacopone e il prologo della Comedia; fra i quali v'è realmente stretta ed intima relazione. Senonché, la strofa della canzone va intesa in diverso modo; nel modo cioè che, dietro il Mazzoni e il Gorra, intendono il D'Ovidio e con leggera variante il Barbi ', ma con un'altra leggera variante, che mi permetto di apportarvi io. La donna, che sta sul mondo a beatificar

Cfr. per la questione il citato commento pagine 140-146.

la gente che la guarda, quella donna è desiata in alto cielo, ché Dio ne intende far cosa nova. L'Angelo la chiede, ma la Pietà difende la parte di Dante e delle donne; sicché Dio pronunzia il suo decreto la donna stia ancora colà quanto gli piace, ad esercitare il suo benefico effetto sulla gente, che la vede; benefico effetto che è tale, che anche alcuni che s'aspettano di perderla diranno all'Inferno, come conforto in tanta pena: Io vidi la speranza dei beati. Or, secondo me, i vv. 26-28 esprimono il termine massimo della beatitudine ispirata da Beatrice; la quale, non soltanto già rende beati coloro, che sono degni di guardarla, e che quindi non possono finir male; ma anche coloro, i quali non ne son degni (i cor villani), o che non possono col guardarla divenire nobil cosa, rende beati, ma in altro modo, e cioè nel poter dire, scendendo all'Inferno, agli altri malnati, che nella loro sventura hanno almeno il conforto di aver visto la speranza dei beati. E questo è detto in generale di tutte le genti, perché: « Questa gentilissima donna..., venne in tanta grazia de le genti, che quando passava per via, le persone correano per vedere lei; onde mirabile letizia me ne giugnea. E quando ella fosse presso d'alcuno, tanta onestade giungea nel cuore di quello, che non ardia di levare gli occhi, né di rispondere al suo saluto... Diceano molti, poi che passata era : « Questa non è femina, anzi è uno de li bellissimi angeli del cielo ». Ed altri diceano: << Questa è

una maraviglia; che benedetto sia lo Segnore che sí mirabilmente sae adoperare! » (XXVI). Quindi doveano aspettarsi, temere che Dio la chiamasse in mezzo agli altri angeli! Ed è naturale che alla sua morte: << rimase tutta la sopradetta cittade quasi vedova e dispogliata da ogni dignitade >> (XXX); perché avea perduta la sua beatrice (son. XXIV), quella appunto, che la rendeva beata e ch'essa temeva di perdere. Senonché coloro che furono degni di lei (dal cuor gentile), anche dopo la sua morte si possono levare col pensiero a lei, e la piangono ma i cor villani, che non furono degni di lei, non possono elevarsi col pensiero a lei, tanto da immaginarla alquanto: e non la piangono, ché in essi non può entrare spirito benigno (canz. III). Sono costoro quelli, che l' hanno perduta fisicamente e moralmente e che avranno soltanto l'unico conforto di dir nell' Inferno di averla vista! Ma Dante? Dante in quella frase non comprende, né esclude sé stesso, perché i decreti divini sono imperscrutabili: gitta quella frase, per esprimere il dubbio, che lo tormenta, dopo che si è reso indegno di Beatrice, che anch'egli sia compreso nel numero di quelli destinati all'Inferno; perché, se si è reso indegno di lei viva, come potrà pensare di esser degno di lei morta, ora, che la sua stessa anima sente di essere abbandonata de la sua salute? (son. XVII). Gli resta però la speranza ch'egli non è un cor villano, che l'ha amata, ch'è stato in sul principio

beatificato da lei, che ora la piange e può col pensiero immaginarla e seguirla in cielo, mentre af fretta coi voti il venir della morte, perché questa è fatta soave, dopo di aver toccata Beatrice. In quella frase, dunque, è un dubbio terribile, che Dante esprime su stesso, che anch'egli possa esser compreso fra quelli destinati all'Inferno: e se è cosí, anch'esso si sobbarcherà alla misera condizione di portarvi, unico conforto, quello di poter dire ai malnati: Io vidi la speranza de beati!

Con quel decreto, dunque, Iddio, ascoltando la voce di Pietà, concede che Beatrice stia alcun poco sul mondo, a compier la missione di beatificar le genti, perfino quelli che avranno nell'Inferno soltanto il conforto di averla vista.

E tale essendo il suo significato, la rappresentazione si congiunge alle sue precedenti sulla venuta del Redentore ! Ché, come la Giustizia vuol che l'uomo perisca e la Pietà, invece, che l'uomo si salvi, talché Iddio decreta di mandare il Figlio (quello di cui godeano gli Angeli !) a redimere il genere umano; cosí (rimpicciolendo la missione adeguata alla persona), mentre l'Angelo vuol che Beatrice venga in cielo, disertando gli uomini, la Pietà prega per le genti che la posseggono: e Iddio decreta che stia ancor là, ad esercitar la sua missione beatrice delle genti. E vi saranno alcuni che, pur discendendo all'Inferno, avranno il conforto di dire di aver visto la speranza dei beati e anche questo emana dal dramma della

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