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SONETTI E CANZONI

DI

FRANCESCO PETRARCA

IN VITA

DI MADONNA LAURA

SONETTO I.

Chiede compassione del suo stato, e confessa,
pentito, la vanità del suo amore.

oi ch'ascoltate in rime sparse il suono
Di quei sospiri ond'io nudriva il core
In sul mio primo giovenile errore,

Quand'era in parte altr'uom da quel ch'ï' sono; Del vario stile in ch'io piango e ragiono Fra le vane speranze e'l van dolore, Ove sia chi per prova intenda Amore, Spero trovar pietà, non che perdono. Ma ben veggi' or sì come al popol tutto Favola fui gran tempo; onde sovente Di me medesmo meco mi vergogno: E del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto, E'l pentirsi, e 'l conoscer chiaramente Che quanto piace al mondo è breve sogno.

SONETTO II.

Forte contro tante insidie di Amore, non pote
difendersi da quest'ultima.

Per far una leggiadra sua vendetta,
E punir in un dì ben mille offese,
Celatamente Amor l'arco riprese,
Com'uom ch'a nocer luogo e tempo aspetta.
Era la mia virtute al cor ristretta,
Per far ivi e negli occhi sue difese;
Quando 'l colpo mortal laggiù discese,
Ove solea spuntarsi ogni säetta.
Però turbata nel primiero assalto,
Non ebbe tanto nè vigor nè spazio,
Che potesse al bisogno prender l'arme;
Ovvero al poggio faticoso ed alto
Ritrarmi accortamente dallo strazio,
Del qual oggi vorrebbe, e non può, aitarme.

VOL. 1.

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SONETTO III. / ́

Giudica Amor vile, che lo ferì in un giornɔ
da non doverne sospettare.

Era'l giorno ch'al Sol si scoloraro
Per la pietà del suo Fattore i rai,
Quand'i' fui preso, e non me ne guardai,
Chè i be' vostr'occhi, Donna, mi legaro.
Tempo non mi parea da far riparo
Contra colpi d'Amor: però n'andai
Secur, senza sospetto; onde i miei guai
Nel comune dolor s'incominciaro.
Trovommi Amor del tutto disarmato,
Ed aperta la via per gli occhi al core;
Che di lagrime son fatti uscio e varco.
Però, al mio parer, non gli fu onore
Ferir me di säetta in quello stato,
E a voi armata non mostrar pur l'arco.

SONETTO IV.

Innamorato di Laura, trae argomento di lodarla dal luogo stesso dov'ella nacque.

Quel ch'infinita provvidenza ed arte

Mostrò nel suo mirabil magistero; Che crïò questo e quell'altro emispero, E mansueto più Giove che Marte; Venendo in terra a illuminar le carte Ch'avean molt'anni già celato il vero, Tolse Giovanni dalla rete e Piero, E nel regno del Ciel fece lor parte. Di sè, nascendo, a Roma non fe grazia, A Giudea si; tanto sovr'ogni stato Umiltate esaltar sempre gli piacque. Ed or di picciol borgo un Sol n'ha dato Tal, che Natura e 'l luogo si ringrazia, Onde sì bella donna al mondo nacque.

SONETTO V.

Col nome stesso di Laura va ingegnosamente formando l'elogio di lei.

Quand'io movo i sospiri a chiamar voi,
E'l nome che nel cor mi scrisse Amore,
LAUdando s'incomincia udir di fore
Il suon de' primi dolci accenti suoi.
Vostro stato REal, che 'ncontro poi,
Raddoppia all'alta impresa il mio valore;
Ma: TAci, grida il fin; chè farle onore
È d'altri omeri soma, che da' tuoi.
Così LAUdare e REverire insegna
La voce stessa, pur ch'altri vi chiami,
O d'ogni reverenza e d'onor degna:
Se non che forse Apollo si disdegna
Ch'a parlar de' suoi sempre verdi rami
Lingua mortal presuntüosa vegna.

SONETTO VI.

Viva immagine del suo amore ardente,
e della onestà costante di Laura.

Si traviato è 'l folle mio desío

A seguitar costei che 'n fuga è vôlta,
E de' lacci d'Amor leggiera e sciolta
Vola dinanzi al lento correr mio;
Che, quanto richiamando più l'invio
Per la secura strada, men m'ascolta:
Nè mi vale spronarlo, o dargli volta;
Ch'Amor per sua natura il fa restío.
E poi che 'l fren per forza a sè raccoglie,
I'mi rimango in signoría di lui,

Che mal mio grado a morte mi trasporta, Sol per venir al Lauro onde si coglie Acerbo frutto, che le piaghe altrui, Gustando, affligge più, che non conforta.

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