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SONETTO XV.

Rassomiglia sè stesso alla farfalla, ch'è arsa da quel lume che si la diletta.

Son animali al mondo di si altera

Vista, che 'ncontr'al Sol pur si difende;
Altri, però che 'l gran lume gli offende,
Non escon fuor se non verso la sera;
Ed altri, col desío folle, che spera

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Gioir forse nel foco perchè splende, Provan l'altra virtù, quella che 'ncende. Lasso! il mio loco è 'n questa ultima schiera; Ch'i' non son forte ad aspettar la luce Di questa Donna, e non so fare schermi Di luoghi tenebrosi, o d'ore tarde. Però con gli occhi lagrimosi e 'nfermi Mio destino a vederla mi conduce; E so ben ch'ï' vo dietro a quel che m'arde.

SONETTO XVI.

Tento e ritentò più volte, ma indarno, di lodare le bellezze della sua Donna.

ergognando talor ch'ancor si taccia, Donna, per me vostra bellezza in rima, Ricorro al tempo ch'ï' vi vidi prima, Tal che null'altra fia mai che mi piaccia. Ma trovo peso non dalle mie braccia, Nè ovra da polir con la mia lima: Però l'ingegno, che sua forza estima, Nell'operazion tutto s'agghiaccia. Più volte già per dir le labbra apersi; Poi rimase la voce in mezzo 'l petto. Ma qual suon poría mai salir tant'alto? Più volte incominciai di scriver versi; Ma la penna e la mano e l'intelletto Rimaser vinti nel primier assalto.

VOL. I.

SONETTO XVII. /

Dimostra che il suo cuore sta in pericolo di morire, se Laura nol soccorre. Mille fïate, o dolce mia guerrera, Per aver co' begli occhi vostri pace, V'aggio profferto il cor; m'a voi non piace Mirar si basso con la mente altera. E se di lui fors'altra donna spera,

Vive in speranza debile e fallace: Mio, perchè sdegno ciò ch'a voi dispiace, Esser non può giammai così com'era. Or s'io lo scaccio, ed e' non trova in voi Nell'esilio infelice alcun soccorso, Nè sa star sol, nè gire ov'altri 'l chiama, Poría smarrire il suo natural corso: Che grave colpa fia d'ambeduo noi; E tanto più di voi, quanto più v’ama.

SESTINA I.

Espone la miseria del suo stato. Ne accusa Laura.
La brama pietosa, e ne dispera.

A qualunque animale alberga in terra,
Se non se alquanti c'hanno in odio il Sole,
Tempo da travagliare è quanto è 'l giorno;
Ma poi ch'il ciel accende le sue stelle,
Qual torna a casa, e qual s'annida in selva,
Per aver posa almeno infin all'alba.
Ed io, da che comincia la bell'alba
A scuoter l'ombra intorno della terra,
Svegliando gli animali in ogni selva,
Non ho mai triegua di sospir' col Sole;
Poi, quand' io veggio fiammeggiar le stelle,
Vo lagrimando, e desïando il giorno.
Quando la sera scaccia il chiaro giorno,
E le tenebre nostre altrui fann'alba,

Miro pensoso le crudeli stelle,

Che m'hanno fatto di sensibil terra,

E maledico il dì ch'i' vidi 'l Sole:

Che mi fa in vista un uom nudrito in selva.

Non credo che pascesse mai per

selva Si aspra fera, o di notte o di giorno,

Come costei ch'i' piango all'ombra e al Sole:
E non mi stanca primo sonno od alba;
Chè, bench'i' sia mortal corpo di terra,
Lo mio fermo desir vien da le stelle.
Prima ch'i' torni a voi, lucenti stelle,
O tomi giù nell'amorosa selva,
Lassando il corpo, che fia trita terra,
Vedess' io in lei pietà! ch'in un sol giorne
Può ristorar molt'anni, e 'nnanzi l'alba
Puommi arricchir dal tramontar del Sole.
Con lei foss' io da che și parte il Sole,
E non ci vedess'altri che le stelle;
Sol una notte; e mai non fosse l'alba;
E non si trasformasse in verde selva
Per uscirmi di braccia, come il giorno
Che Apollo la seguía quaggiù per terra!
Ma io sarò sotterra in secca selva,

E'l giorno andrà pien di minute stelle,
Prima ch'a si dolce alba arrivi il Sole.

CANZONE I.

Perduta la libertà, servo di Amore, descrive
e compiange il proprio stato.

Nel dolce tempo della prima etade,

Che nascer vide, ed ancor quasi in erba,
La fera voglia che per mio mal crebbe;
Perchè, cantando, il duol si disacerba,
Canterò com'io vissi in libertade,
Mentre Amor nel mio albergo a sdegno s'ebbc;

Poi seguirò siccome a lui ne 'ncrebbe
Troppo altamente, e che di ciò m'avvenne;
Di ch'io son fatto a molta gente esempio:
Benchè 'l mio duro scempio

Sia scritto altrove sì, che mille penne
Ne son già stanche; e quasi in ogni valle
Rimbombi 'l suon de' miei gravi sospiri,
Ch'acquistan fede alla penosa vita.
E se qui la memoria non m'äíta,
Come suol fare, iscusinla i martiri,
Ed un pensier che solo angoscia dàlle
Tal, ch'ad ogni altro fa voltar le spalle,
E mi face obblïar me stesso a forza;
Chè tien di me quel d'entro, ed io la scorza.
I' dico, che dal di che 'l primo assalto
Mi diede Amor, molt'anni eran passati,
Si ch'io cangiava il giovenile aspetto;
E d'intorno al mio cor pensier gelati
Fatto avean quasi adamantino smalto,
Ch'allentar non lassava il duro affetto.
Lagrima ancor non mi bagnava il petto,
Ne rompea il sonno; e quel ch'in me non era,
Mi pareva un miracolo in altrui.

Lasso! che son? che fui?

La vita al fin, e 'l dì loda la sera.

Chè sentendo il crudel, di ch'io ragiono,
Infin allor percossa di suo strale
Non essermi passato oltra la gonna,
Prese in sua scorta una possente Donna,
Vêr cui poco giammai mi valse o vale
Ingegno o forza, o dimandar perdono.
Ei duo mi trasformaro in quel ch'i' sono,
Facendomi d'uom vivo un lauro verde,
Che per fredda stagion foglia non perde.
Qual mi fec'io quando primier m'accorsi
Della trasfigurata mia persona;

Ei capei vidi far di quella fronde,
Di che sperato avea già lor corona;
Ei piedi in ch'io mi stetti e mossi e corsi,
(Com'ogni membro all'anima risponde)
Diventar due radici sovra l'onde,

Non di Penéo, ma d'un più altero fiume;
E 'n duo rami mutarsi ambe le braccia!
Nè meno ancor m'agghiaccia

L'esser coverto poi di bianche piume,
Allor che fulminato e morto giacque
Il mio sperar, che troppo alto montava.
Chè, perch'io non sapea dove nè quando
Me 'l ritrovassi, solo, lagrimando,

Là 've tolto mi fu, dì e notte andava
Ricercando dal lato e dentro all'acque:
E giammai poi la mia lingua non tacque,
Mentre potéo, del suo cader maligno;
Ond' io presi col suon color d'un cigno.
Cosi lungo l'amate rive andai;

Che volendo parlar, cantava sempre,
Mercè chiamando con estrania voce:
Nè mai in si dolci o in si söavi tempre
Risonar seppi gli amorosi guai,
Che 'l cor s'umiliasse, aspro e feroce.
Qual fu a sentir, che 'l ricordar mi coce?
Ma molto più di quel ch'è per innanzi,
Della dolce ed acerba mia nemica
E bisogno ch'io dica;

Benchè sia tal, ch'ogni parlare avanzi.
Questa, che col mirar gli animi fura,
M'aperse il petto, e 'l cor prese con mano,
Dicendo a me: Di ciò non far parola.

Poi la rividi in altro abito sola,

Tal, ch'i' non la conobbi; (oh senso umano!) Anzi le dissi 'l ver, pien di päura:

Ed ella nell'usata sua figura

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