TRIONFO DELLA CASTITA CAPITOLO UNICO Con queste e con alquante anime chiare TRIONFO DELLA CASTITÀ. Quando ad un giogo ed in un tempo quivi Domita l'alterezza degli Dei E degli uomini vidi al mondo divi, I' presi esempio de' lor stati rei, Facendomi profitto l'altrui male In consolar i casi e dolor miei: Chè s'io veggio d'un arco e d'uno strale Febo percosso e 'l giovine d'Abido, L'un detto Dio, l'altr'uom puro mortale; E veggio ad un lacciuol Giunone e Dido, Ch'amor pio del suo sposo a morte spinse, Non quel d'Enea, com'è 'l pubblico grido; Non mi debbo doler s'altri mi vinse Giovine, incauto, disarmato e solo. E se la mia nemica Amor non strinse, Non è ancor giusta assai cagion di duolo: Chè in abito il rividi, ch'io ne piansi; Si tolte gli eran l'ali, e 'l gire a volo. Non con altro romor di petto dansi Duo leon fieri, o duo fólgori ardenti, Ch'a cielo e terra e mar dar loco fansi, Ch'i' vidi Amor con tutti suo' argomenti Mover contra colei, di ch'io ragiono; E lei più presta assai che fiamma o venti. Non fan si grande e si terribil suono Per veder meglio; e l'orror dell'impresa I cori e gli occhi avea fatti di smalto. Quel vincitor che prima era all'offesa, Da man dritta lo stral, dall'altra l'arco, E la corda all'orecchia avea già tesa. Non corse mai sì levemente al varco Di fuggitiva cerva un leopardo Libero in selva, o di catene scarco, Che non fosse stato ivi lento e tardo; Tanto Amor venne pronto a lei ferire Con le faville al volto, ond'io tutt'ardo. Combattea in me con la pietà il desire: Chè dolce m'era si fatta compagna; Duro a vederla in tal modo perire. Ma virtù, che da' buon non si scompagna, Mostrò a quel punto ben com'a gran torto, Chi abbandona lei, d'altrui si lagna: Chè giammai schermidor non fu si accorto A schifar colpo, nè nocchier sì presto A volger nave dagli scogli in porto, Come uno schermo intrepido ed onesto Subito ricoperse quel bel viso Dal colpo, a chi l'attende, agro e funesto. I era al fin con gli occhi attento e fiso, Sperando la vittoria ond'esser sole: E per non esser più da lei diviso; Come chi smisuratamente vole, C'ha scritto, innanzi ch'a parlar cominci, Negli occhi e nella fronte le parole; Volea dir io: Signor mio, se tu vinci, Tutti i maggior, non che 'l mio basso ingegno; Chiare virtuti, (oh gloriosa schiera!) E teneansi per mano a due a due. Onestate e Vergogna alla front'era; Nobile par delle virtù divine, Che fan costei sopra le donne altera: E (la concordia ch'è sì rara al mondo) Non fu 'l cader di subito sì strano, Com'uom ch'è sano, e'n un momento ammorba, Ch'io vidi, e dir non oso: alla mia Donna Vergini, ch'ivi fur, chiuder in rima; L'altra Penelopè: queste gli strali E la faretra e l'arco avean spezzato A quel protervo, e spennacchiate l’ali. Virginia appresso il fiero padre armato Di disdegno, di ferro e di pietate; Ch'a sua figlia ed a Roma cangiò stato, L'un'e l'altra ponendo in libertate: Poi le Tedesche che con aspra morte Servâr la lor barbarica onestate. Giudit ebrea, la saggia, casta e forte; E quella Greca che saltò nel mare Per morir netta, e fuggir dura sorte. Con queste e con alquante anime chiare Trionfar vidi di colui che pria Veduto avea del mondo trionfare. Fra l'altre la Vestal vergine pia, Che baldanzosamente corse al Tibro; E per purgarsi d'ogn' infamia ria, Portò dal fiume al tempio acqua col cribro: Poi vidi Ersilia con le sue Sabine, Schiera che del suo nome empie ogni libro. Poi vidi, fra le donne peregrine, Quella che per lo suo diletto e fido Sposo, non per Enea, volse ir al fine: Taccia 'l vulgo ignorante: i' dico Dido, Cui studio d'onestate a morte spinse, Non vano amor, com'è 'l pubblico grido. Alfin vidi una che si chiuse e strinse Sopr'Arno per servarsi: e non le valse; Chè forza altru' il suo bel pensier vinse, Era 'l trionfo dove l'onde salse Percoton Baja; ch'al tepido verno Giunse a man destra, e'n terra ferma salse. Indi fra monte Barbaro ed Averno, L'antichissimo albergo di Sibilla Passando, se n'andâr dritto a Linterno. |