L'ora prim'era, e 'l di sesto d'Aprile, Che già mi strinse; ed or, lasso! mi sciolse: Come Fortuna va cangiando stile! Nessun di servitù giammai si dolse, Nè di morte, quant' io di libertate, E della vita ch'altri non mi tolse. Debito al mondo e debito all'etate Cacciar me innanzi, ch'era giunto in prima, Nè a lui tôrre ancor sua dignitate. Or qual fusse 'l dolor, qui non si stima; Ch'appena oso pensarne, non ch'io sia Ardito di parlarne in versi o 'n rima. Virtù morta è, bellezza e cortesía: (Le belle donne intorno al casto letto Triste diceano) omai di noi che fia? Chi vedrà mai in donna atto perfetto? Chi udirà 'l parlar di saper pieno, E'l canto pien d'angelico diletto? Lo spirto per partir di quel bel seno, Con tutte sue virtuti in sè romito, Fatt'avea in quella parte il ciel sereno. Nessun degli Avversarj fu sì ardito, Ch'apparisse giammai con vista oscura Finchè Morte il suo assalto ebbe fornito. Poi che, deposto il pianto e la päura, Pur al bel viso era ciascuna intenta, E per desperazion fatta secura; Non come fiamma che per forza è spenta, Ma che per sè medesma si consume, Se n'andò in pace l'anima contenta: A guisa d'un söave e chiaro lume, Cui nutrimento a poco a poco manca; Tenendo al fin il suo usato costume. Pallida no, ma più che neve bianca, Che senza vento in un bel colle fiocchi, Parea posar come persona stanea. Quasi un dolce dormir ne' suoi begli occhi, CAPITOLO SECONDO La notte che segui l'orribil caso, A me, parlando e sospirando, porse; I passi tuoi dal pubblico viaggio, Diss'ella, e sarai sempre, finchè giunga Ma 'l tempo è breve, e nostra voglia è lunga: Ed io: Al fin di quest'altra serena C'ha nome vita, chè per prova 'l sai, Deh! dimmi se 'l morir è sì gran pena. Rispose: Mentre al vulgo dietro vai, Ed all'opinion sua cieca e dura, Esser felice non puo' tu giammai. La morte è fin d'una prigione oscura Agli animi gentili; agli altri è noja, C'hanno posto nel fango ogni lor cura. Ed ora il morir mio, che si t'annoja, Ti farebbe allegrar, se tu sentissi La millesima parte di mia gioja. Così parlava; e gli occhi ave' al ciel fissi Divotamente: poi mise in silenzio Quelle labbra rosate, insin ch'io dissi: Silla, Mario, Neron, Gajo e Mezenzio, Fianchi, stomachi, febbri ardenti fanno Parer la morte amara più ch'assenzio. Negar, disse, non posso che l'affanno Che va innanzi al morir, non doglia forte; Ma più la tema dell'eterno danno: Ma purchè l'alma in Dio si riconforte, E'l cor che 'n sè medesmo forse è lasso, Che altro ch'un sospir breve è la morte? I' avea già vicin l'ultimo passo, La carne inferma, e l'anima ancor pronta; Quand'udi' dir in un suon tristo e basso: Oh misero colui ch'e' giorni conta, E pargli l'un mill'anni, e 'ndarno vive, E sempre un stilė, ovunqu'e' fosse, tenne; Sol di lei pensa, o di lei parla o scrive! Allora in quella parte, onde 'l suon venne, Gli occhi languidi volgo; e veggio quella Ch'ambo noi, me sospinse, e te ritenne. Riconobbila al volto e alla favella; Chè spesso ha già 'l mio cor racconsolato, Or grave e saggia, allor onesta e bella. E quand'io fui nel mio più bello stato, Nell'età mia più verde, a te più cara, Ch'a dir ed a pensar a molti ha dato; Mi fu la vita poco men che amara, A rispetto di quella mansueta E dolce morte ch'a' mortali è rara: Da te non fu 'l mio cor, nè giammai fia; Anzi arde; or si convien ch'a ciò provveggia! E mal può provveder chi teme o brama. Quel di fuor miri, e quel d'entro non veggia. Questo fu quel che ti rivolse e strinse Spesso; come caval fren, che vaneggia. Più di mille fïate ira dipinse Il volto mio; ch'Amor ardeva il core: Ma voglia, in me, ragion giammai non vinse. Poi, se vinto te vidi dal dolore, Drizzai 'n te gli occhi allor söavemente, Salvando la tua vita e 'l nostro onore. E se fu passion troppo possente, E la fronte e la voce a salutarti Mossi or timorosa ed or dolente. Questi fur teco mie' ingegni e mie arti; Or benigne accoglienze, ed ora sdegni: Tu 'l sai, chè n' hai cantato in molte parti. Ch'i' vidi gli occhi tuoi talor si pregni Di lagrime, ch'io dissi: Questi è corso A morte, non l'aitando; i' veggio i segni. Allor provvidi d'onesto soccorso. Talor ti vidi tali sproni al fianco, Ch'i' dissi: Qui convien più duro morso. Così, caldo, vermiglio, freddo e bianco, Or tristo, or lieto, infin qui t'ho condutto Salvo, (ond'io mi rallegro) benchè stanco. Ed io: Madonna, assai fôra gran frutto Questo d'ogni mia fè, purch'io 'l credessi; Dissi tremando, e non col viso asciutto. Di poca fede! or io, se nol sapessi, Se non fosse ben ver, perchè 'l direi? Rispose; e 'n vista parve s'accendessi. S'al mondo tu piacesti agli occhi miei, Questo mi taccio: pur quel dolce nodo Mi piacque assai, ch'intorno al cor avei; E piacemi 'l bel nome (se'l ver odo) Che lunge e presso col tuo dir m'acquisti: Nè mai 'n tuo amor richiesi altro che modo. Quel mancò solo; e mentre in atti tristi Volei mostrarmi quel ch'io vedea sempre, |