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TRIONFO DEL TEMPO

CAPITOLO UNICO

Un dubbio verno, un instabil sereno
È vostra fama; e poca nebbia il rompe:
gran Tempo a' gran nomi gran veneno.
TRIONFO DEL TEMPO.

E'l

Dell'aureo albergo, con l'Aurora innanzi,
Si ratto uscival Sol cinto di raggi,
Che detto aresti: E' si corcó pur dianzi.
Alzato un poco, come fanno i saggi,

Guardoss' intorno; ed a sè stesso disse:
Che pensi? omai convien che più cura aggi.
Ecco, s'un uom famoso in terra visse,
E di sua fama per morir non esce,
Che sarà della legge che 'l Ciel fisse?
E se fama mortal morendo cresce,

Che spegner si doveva in breve, veggio Nostra eccellenzia al fine; onde m'incresce. Che più s'aspetta, o che pote esser peggio? Che più nel ciel ho io, che 'n terra un uomo, A cui esser egual per grazia cheggio? Quattro cavai con quanto studio como, Pasco nell'Oceáno, e sprono e sferzo! E pur la fama d'un mortal non domo. Ingiuria da corruccio e non da scherzo, Avvenir questo a me; s'io foss'in cielo, Non dirò primo, ma secondo o terzo. Or conven che s'accenda ogni mio zelo, Si ch'al mio volo l'ira addoppi i vanni: Ch'io porto invidia agli uomini, e nol celo;

De' quali veggio alcun, dopo mill'anni
E mille e mille, più chiari che 'n vita;
Ed io m'avanzo di perpetui affanni.
Tal son, qual era anzi che stabilita

Fosse la terra; dì e notte rotando
Per la strada rotonda, ch'è infinita.
Poi che questo ebbe detto, disdegnando
Riprese il corso più veloce assai,
Che falcon d'alto a sua preda volando.
Più dico: nè pensier poría giammai
Seguir suo volo, non che lingua o stile;
Talchè con gran päura il rimirai.
Allor tenn'io il viver nostro a vile
Per la mirabil sua velocitate,

Via più ch'innanzi nol tenea gentile:
E parvemi mirabil vanitate

Fermar in cose il cor, che 'l Tempo preme; Chè mentre più le stringi, son passate. Però chi di suo stato cura o teme, Provveggia ben, mentr'è l'arbitrio intero, Fondar in loco stabile sua speme; Chè quant' io vidi 'l Tempo andar leggero Dopo la guida sua, che mai non posa, I' nol dirò, perchè poter nol spero. I' vidi 'l ghiaccio, e li presso la rosa; Quasi in un punto il gran freddo e'l Che pur udendo par mirabil cosa. Ma chi ben mira col giudicio saldo, Vedrà esser così: che nol vidio; Di che contra me stesso or mi riscaldo. Seguii già le speranze e 'l van desío;

gran

caldo;

Or bo dinanzi agli occhi un chiaro specchio, Ov'io veggio me stesso e 'l fallir mio; E, quanto posso, al fine m'apparecchio, Pensando 'l breve viver mio, nel quale Stamane era un fanciullo, ed or son vecchio.

Che più d'un giorno è la vita mortale, Nubilo, breve, freddo, e pien di noja; Che può bella parer, ma nulla vale? Qui l'umana speranza, e qui la gioja; Qui i miseri morta alzan la testa; E nessun sa quanto si viva o moja. Veggio la fuga del mio viver presta, Anzi di tutti; e nel fuggir del Sole, La rüina del mondo manifesta. Or vi riconfortate in vostre fole, Giovani, e misurate il tempo largo; Chè piaga antiveduta assai men dole. Forse che 'ndarno mie parole spargo; Ma io v'annunzio che voi sete offesi Di un grave e mortifero letargo: Che volan l'ore, i giorni e gli anni e i mesi; E 'nsieme, con brevissimo intervallo, Tutti avemo a cercar altri paesi. Non fate contra 'l vero al core un callo, Come sete usi; anzi volgete gli occhi, Mentr'emendar potete il vostro fallo. Non aspettate che la Morte scocchi, Come fa la più parte; chè per certo Infinita è la schiera degli sciocchi. Poi ch'i' ebbi veduto e veggio aperto Il volar e 'l fuggir del gran pianeta, Ond'i' ho. danni e 'nganni assai sofferto, Vidi una gente andarsen queta queta, Senza temer di Tempo o di sua rabbia; Chè gli avea in guardia istorico o poeta. Di lor par più che d'altri invidia s'abbia; Che per sè stessi son levati a volo, Uscendo for della comune gabbia. Contra costor colui, che splende solo, S'apparecchiava con maggiore sforzo, E riprendeva un più spedito volo.

A' suoi corsier raddoppiat'era l'orzo;
E la rëína, di ch'io sopra dissi,

Volea d'alcun de' suoi già far divorzo.
Udi'dir, non so a chi, ma 'l detto scrissi :
In questi umani, a dir proprio, ligustri,
Di cieca obblivione oscuri abissi,
Volgerà 'l Sol, non pur anni, ma lustri
E secoli, vittor d'ogni cerebro;

poca

E vedrà il vaneggiar di questi illustri. Quanti fur chiari tra Penéo ed Ebro, Che son venuti o verran tosto meno! Quant'in sul Xanto, e quant'in Val di Tebro! Un dubbio yerno, un instabil sereno E vostra fama; e nebbia il rompe: E'l gran tempo a' gran nomi è gran veneno. Passan vostri trïonfi e vostre pompe, Passan le signoríe, passano i regni: Ogni cosa mortal Tempo interrompe; E ritolta a' men buon, non dà a' più degni: E non pur quel di fuori il Tempo solve, Ma le vostr'eloquenze e i vostri ingegni. Così, fuggendo, il mondo seco volve; Nè mai si posa, nè s'arresta o torna, Finchè v' ha ricondotti in poca polve. Or perchè umana gloria ha tante corna, Non è gran maraviglia s'a fiaccarle Alquanto oltra l'usanza si soggiorna. Ma chëunque si pensi il vulgo o parle, Se 'l viver nostro non fosse si breve, Tosto vedreste in polve ritornarle. Udito questo, (perchè al ver si deve Non contrastar, ma dar perfetta fede) Vidi ogni nostra gloria, al Sol, di neve: E vidi 'l Tempo rimenar tal prede De' vostri nomi, ch'i' gli ebbi per nulla: Benchè la gente ciò non sa, nè crede;

Cieca, che sempre al vento si trastulla,
E pur di false opinion si pasce,

Ma

Lodando più 'l morir vecchio, che 'n culla. Quanti felici son già morti in fasce! Quanti miseri in ultima vecchiezza! Alcun dice: Bëato è chi non nasce. per la turba a' grandi errori avvezza, Dopo la lunga età sia 'l nome chiaro: Che è questo però, che si s'apprezza? Tanto vince e ritoglie il Tempo avaro: Chiamasi Fama, ed è morir secondo; Nè più, che contra 'l primo, è alcun riparo. Così 'I Tempo trionfa i nomi e 'l mondo.

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