E Il bianco con il bruno Nè suocera, nè nuora Fra compare e comare Colui non trova ajuto, (1) Serbe, cioè serve, per isforzo di rima (*), come nella Frottola dello stesso Petrarca (ved. pag. 355. v. 9) si trova civo per cibo. (2) Staccia in luogo forse di staccio, e per solo effetto della rima. (3) Cendere per cenere è voce rimasa soltanto nel contado. (*) Si osservi però che le voci serbe e verde non rimano fra loro. È dolce cavalcare. Sai quel che si vuol fare? E troppo grande ardire Sonetto tratto da un codice Trivulziano. Antonio, cose fatte ha la tua terra, Questo Sonetto, attribuito al Petrarca, leggesi anche nel codice Isoldiano, ricordato dal Crescimbeni (Coment. ec. tom. 3. pagina 179, edizione veneta), ove si legge anche la risposta di maestro Antonio da Ferrara, cui il presente Sonetto è indi rizzato. It Redi nelle Note al suo Ditirambo, pagina 17 (edizione del 1685), trattando dei Sonetti di sedici versi, ne ricorda uno del Petrarca in risposta a maestro Antonio da Ferrara, che leggevasi in un antico testo a penna esistente presso lo stesso Redi, e di cui riporta i soli primi seguenti versi: Perchè non cada nelle oscure cave, Il Crescimbeni ne' Comentarii ec. (vol. 2. parte 2. pag. 128, edizione veneta) riporta il seguente Sonetto di Cecco d'Ascoli, scritto in risposta ad altro del Petrarca, che incomincia: Tu sei 'l grande Ascolan, che l mondo allumi; e il quale trovasi in un antico codice, allora posseduto dal dott. Giuseppe Isoldi in Roma. spero Io solo son ne' tempestosi fiumi, (*) Tumi, cioè tomi, cadute. La guida che fu mia senza sospetto, Che più non son quel Cecco che tu dice, Nel N. II. e X. del Giornale enciclopedico di Firenze dell'anno 1809 si pubblicarono dal ch. Prof. Ciampi otto Sonetti ineditį attribuiti al Petrarca da un codice di Rime antiche; e quantunque non sembrano essi per lo stile degni della penna di sì gran maestro, si riportano tuttavia qui per intiero, avvertendo che l'ultimo Sonetto, che incomincia "Perduto ho l'amo omai, la rete e l'esca,» fu stampato come inedito dall'ab. Fiacchi nella Scelta di Rime antiche da lui pubblicate in Firenze nel 1812, e leggesi qui sopra a carte 380. O chiara luce mia, dove se' gita? Ove son quelle membra in cui più vile Gli altri avanzavi di virtù infinita? Veggole in terra sparse, e girsi via, E noi lasciare, ed ir là fra gli Dei Che farò io tristo? Ah! gli occhi miei VOL. I. 17 Quanto infelice si può dir colui Che elegge, in libertà, di farsi servo; E spesse cui! Corre alla morte, come in caccia cervo; E che del proprio ben non fa riservo, volte avvien Dio il sa per Questo è lo sventurato pien d'errore, Che sottomette la ragione a' sensi, E perde sè per seguitare Amore; Che mostra sol colui servir conviensi, Mostrando il frutto suo sotto colore Piacente al senso, con difetti immensi. Per selve ne vo'gir, tra selve e faggi, Per ginepri, olmi, bossi, lecci e ontani, Per antri, tombe, e luoghi più silvani, Sicchè del Sole non vegga più i raggi; Dove non senta più umani saggi: E lassar vo' tutti i piacer mondani, E da' lor santi lumi avuto ho bando, Qual felice, celeste e verde pianta Fêr mo si fresche porpore e viole? Qual leggier pioggia o qual benigno Sole Produssero al suo fine opera tanla? |