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SONETTO LVI.

Ama ed amerà sempre il luogo, il tempo e l'ora in cui innamorossi di Laura.

Io amai sempre, ed amo forte ancora,
E son per amar più di giorno in giorno
Quel dolce loco, ove piangendo torno
Spesse fiate, quando Amor m'accora;
E son fermo d'amare il tempo e l'ora
Ch'ogni vil cura mi levâr d'intorno;
E più colei, lo cui bel viso adorno
Di ben far co' suoi esempj m'innamora.
Ma chi pensò veder mai tutti insieme,
Per assalirmi 'l cor or quindi or quinci,
Questi dolci nemici ch'i' tant'amo?
Amor, con quanto sforzo oggi mi vinci!
E, se non ch'al desío cresce la speme,
I' cadrei morto, ove più viver bramo.

SONETTO LVII. Si adira contra di Amore, perchè non l'uccise dopo di averlo reso felice.

Io

avrò sempre in odio la fenestra, Onde Amor m'avventò già mille strali, Perch'alquanti di lor non fur mortali; Ch'è bel morir mentre la vita è destra. Ma'l sovrastar nella prigion terrestra, Cagion m'è, lasso! d'infiniti mali;

E più mi duol che fien meco immortali, Poichè l'alma dal cor non si scapestra. Misera! che devrebbe esser accorta Per lunga esperienzia omai, che 'l tempo Non chi 'ndietro volga, o chi l'affreni. Più volte l'ho con tai parole seorta : Vattene, trista; chè non va per tempo Chi dopo lassa i suoi dì più sereni.

SONETTO LVIII.

Chiama suoi nemici gli occhi di Laura, che lo tengono in vita per tormentarlo. Si tosto come avvien che l'arco scocchi, Buon sagittario di lontan discerne Qual colpo è da sprezzare, e qual d'averne Fede ch'al destinato segno tocchi. Similemente il colpo de' vostr'occhi, Donna, sentiste alle mie parti interne Dritto passare; onde convien ch'eterne Lagrime per la piaga il cor trabocchi. E certo son che voi diceste allora:

Misero amante, a che vaghezza il mena! Ecco lo strale, ond'Amor vol ch'e' mora. Ora, veggendo come 'l duol m'affrena, Quel che mi fanno i miei nemici ancora, Non è per morte, ma per più mia pena.

SONETTO LIX.

Consiglia agli amanti la fuga d'Amore prima d'essere arsi dalle sue fiamme.

Poichè mia speme è lunga a venir troppo,
E della vita il trapassar sì corto,
Vorreimi a miglior tempo esser accorto,
Per fuggir dietro più che di galoppo:
E fuggo ancor così debile e zoppo

Dall'un de' lati, ove 'l desío m'ha storto:
Securo omai; ma pur nel viso porto
Segni ch'io presi all'amoroso intoppo.
Ond' io consiglio voi che siete in via,
Volgete i passi; e voi ch'Amore avvampa,
Non v'indugiate su l'estremo ardore:
Chè, perch'io viva, di mille un non scampa.
Era ben forte la nemica mia;

E lei vid'io ferita in mezzo 1

core.

SONETTO LX.

Fuggito dalla prigione di Amore, volle ritornarvi,
e non può più uscirne.
Fuggendo la prigione, ov’Amor m’ebbe
Molt'anni a far di me quel ch'a lui parve,
Donne mie, lungo fôra a ricontarve
Quanto la nova libertà m'increbbe.
Diceami 'l cor, che per sè non saprebbe
Viver un giorno; e poi tra via m'apparve
Quel traditor in sì mentite larve,

Che più saggio di me ingannato avrebbe.
Onde più volte sospirando indietro,
Dissi: Oimè! il giogo e le catene e i ceppi
Eran più dolci che l'andare sciolto.
Misero me! che tardo il mio mal seppi:
E con quanta fatica oggi mi spetro
Dell'error, ov'io stesso m'era involto!

SONETTO LXI. [[

Donna

Dipigne le celesti bellezze della sua Donna,
e protesta di amarla sempre.

Erano i capei d'oro a l'aura sparsi,
Che 'n mille dolci nodi gli avvolgea;
E '1 vago lume oltra misura ardea
Di quei begli occhi, ch'or ne son sì scarsi;
E'l viso di pietosi color farsi,

Non so se vero o falso, mi parea:
I', che l'esca amorosa al petto avea,
Qual maraviglia se di subit'arsi?
Non era l'andar suo cosa mortale,
Ma d'angelica forma; e le parole
Sonavan altro, che pur voce umana.
Uno spirto celeste, un vivo Sole

Fu quel ch'i' vidi; e se non fosse or tale,
Piaga per allentar d'arco non sana.

SONETTO LXII.

Amore minaccioso e sdegnato contro di lui,
le condanna a pianger sempre.

Più volte Amor m'avea già detto: Scrivi,
Scrivi quel che vedesti, in lettre d'oro;
Si come i miei seguaci discoloro,
E'n un momento gli fo morti e vivi.
Un tempo fu che 'n te stesso 'l sentivi,
Volgare esempio all'amoroso coro:
Poi di man mi ti tolse altro lavoro ;
Ma già ti raggiuns'io mentre fuggivi.
E s'e' begli occhi ond'io mi ti mostrai,
E là dov'era il mio dolce ridutto
Quando ti ruppi al cor tanta durezza,
Mi rendon l'arco ch'ogni cosa spezza;
Forse non avrai sempre il viso asciutto:
Ch'i' mi pasco di lagrime; e tu 'l sai.

SONETTO LXIII.

Descrive lo stato di due amanti, ritornando
col pensiero sopra sè stesso.

Quando giugne per gli occhi al cor profondo
L'immagin donna, ogni altra indi si parte;
E le virtù che l'anima comparte,
Lascian le membra quasi immobil pondo.
E del primo miracolo il secondo

Nasce talor: che la scacciata parte,
Da sè stessa fuggendo, arriva in parte
Che fa vendetta, e 'l suo esilio giocondo.
Quinci in duo volti un color morto appare
Perchè 'l vigor, che vivi gli mostrava,
Da nessun lato è più là dove stava.
E di questo in quel dì mi ricordava,
Ch'i' vidi duo amanti trasformare,
E far qual io mi soglio in vista fare.

SONETTO LXIV.

Duolsi di Laura, ch'ella non penetri con gli occhi nel fondo del suo cuore.

Cosi potess' io ben chiuder in versi

I miei pensier, come nel cor li chiudo; Ch'animo al mondo non fu mai sì crudo, Ch'i' non facessi per pietà dolersi. Ma voi, occhi bëati, ond'io soffersi Quel colpo, ove non valse elmo nè scudo, Di for e dentro mi vedete ignudo, Benchè 'n lamenti il duol non si riversi; Poichè vostro vedere in me risplende, Come raggio di Sol traluce in vetro. Basti dunque il desío, senza ch'io dica. Lasso! non a María, non nocque a Pietro La fede, ch'a me sol tanto è nemica : E so ch'altri che voi, nessun m'intende.

SONETTO LXV. /

Non vorrebbe più amar quell'oggetto che,
rivedendo, è forzato di riamare.

Io son dell'aspettar omai sì vinto,
E della lunga guerra de' sospiri,
Ch'i' aggio in odio la speme e i desiri,
Ed ogni laccio onde 'l mio cor è avvinto.
Ma 'l bel viso leggiadro, che dipinto
Porto nel petto, e veggio ove ch'io miri,
Mi sforza; onde ne' primi empj martíri
Pur son contra mia voglia risospinto.
Allor errai, quando l'antica strada

Di libertà mi fu precisa e tolta:

Chè mal si segue ciò ch'agli occhi aggrada. Allor corse al suo mal libera e sciolta; Or a posta d'altrui conven che vada L'anima che peccò sol una volta.

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