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SONETTO LXVI.

Deplora la libertà già perduta, e l'infelicità
del suo stato presente..

Ahi, bella libertà, come tu m'hai,
Partendoti da me, mostrato quale
Era 'l mio stato, quando 'l primo strale
Fece la piaga, ond' io non guarrò mai!
Gli occhi invaghiro allor sì de' lor guai,
Che 'l fren della ragione ivi non vale;
Perc'hanno a schifo ogni opera mortale:
Lasso! così da prima gli avvezzai.
Nè mi lece ascoltar chi non ragiona

Della mia morte; chè sol del suo nome
Vo empiendo l'aere, che sì dolce suona.
Amor in altra parte non mi sprona;

Nè i piè sanno altra via; nè le man come Lodar si possa in carte altra persona.

SONETTO LXVII.

Mostra ad un amico qual sia la strada a tenersi; ma confessa ch'ei l'ha smarrita.

Poichè voi ed io più volte abbiam provato
Come 'l nostro sperar torna fallace,
Dietr'a quel sommo Ben, che mai non spiace,
Levate 'l core a più felice stato.

Questa vita terrena è quasi un prato,
Che 'l serpente tra' fiori e l'erba giace;
E s'alcuna sua vista agli occhi piace,
È
per lassar più l'animo invescato.
Voi dunque, se cercate aver la mente
Anzi l'estremo di queta giammai,
Seguite i pochi, e non la volgar gente.
Ben si può dire a me: Frate, tu vai
Mostrando altrui la via dove sovente
Fosti smarrito, ed or se' più che mai.

SONETTO LXVIII.

Pensando alle varie cagioni del suo innamoramento, commovesi al pianto.

Quella fenestra, ove l'un Sol si vede
Quando a lui piace, e l'altro in su la nona;
E quella, dove l'aere freddo suona
Ne' brevi giorni, quando Borea 'l fiede;
E'l sasso, ove a gran di pensosa siede
Madonna, e sola seco si ragiona;
Con quanti luoghi sua bella persona
Copri mai d'ombra, o disegnò col piede;
El fiero passo, ove m'aggiunse Amore;
E la nova stagion, che d'anno in anno
Mi rinfresca in quel di l'antiche piaghe;
E'l volto e le parole, che mi stanno
Altamente confitte in mezzo 'l core;
Fanno le luci mie di pianger vaghe.

SONETTO LXIX. ||

Sa quanto il mondo è vano. Combatlè inutilmente
finora; nondimeno spera di vincerlo.
Lasso! ben so che dolorose prede
Di noi fa quella ch'a null'uom perdona;
E che rapidamente n'abbandona

Il mondo, e picciol tempo ne tien fede.
Veggio a molto languir poca mercede;
E già l'ultimo di rel cor mi tuona:
Per tutto questo, Amor non mi sprigiona;
Chè l'usato tributo agli occhi chiede.
So come i dì, come i momenti e l'ore
Ne portan gli anni; e non ricevo inganno,
Ma forza assai maggior, che d'arti maghe.
La voglia e la ragion combattut' hanno
Sette e sett'anni; e vincerà il migliore,
S'anime son quaggiù del ben presaghe.

SONETTO LXX.

Per nascondere alla gente le sue angosce amorose, ride e finge allegrezza.

Cesare, poi che 'l traditor d'Egitto
Li fece il don dell'onorata testa,
Celando l'allegrezza manifesta,

Pianse per gli occhi fuor, siccome è scritto;
Ed Annibál, quand'all'imperio afflitto
Vide farsi fortuna si molesta,

Rise fra gente lagrimosa e mesta,
Per isfogare il suo acerbo despitto:
E così avven che l'animo ciascuna
Sua passion sotto 'l contrario manto
Ricopre con la vista or chiara, or bruna.
Però, s'alcuna volta i' rido o canto,

Facciol perch'i' non ho se non quest'una
Via da celare il mio angoscioso pianto.

CANZONE IX.

Oppresso da tanti affanni, delibera di volersi
partire dell'amore di Laura.

Mai non vo' più cantar com'io soleva:
Ch'altri non m'intendeva; ond'ebbi scorno:
E puossi in bel soggiorno esser molesto.
Il sempre sospirar nulla rileva.

Già su per l'alpi neva d'ogn'intorno;
Ed è già presso al giorno; ond' io son desto.
Un atto dolce onesto è gentil cosa;
Ed in donna amorosa ancor m'aggrada
Che 'n vista vada altera e disdegnosa,
Non superba e ritrosa.

Amor regge suo imperio senza spada.
Chi smarrit' ha la strada, torni indietro;
Chi non ha albergo, posisi in sul verde;

Chi non ha l'auro, o 'l perde,

Spenga la sete sua con un bel vetro.
I' die' in guardia a san Pietro; or non più, no:
Intendami chi può, ch'ï' m'intend'io.
Grave soma è un mal fio a mantenerlo.
Quanto posso mi spetro, e sol mi sto.
Fetonte odo che 'n Pò cadde, e morío;
E già di là dal rio passato è 'l merlo:
Deh! venite a vederlo: or io non voglio.
Non è gioco uno scoglio in mezzo l'onde,
E 'ntra le fronde il visco. Assai mi doglio
Quand'un soverchio orgoglio

Molte virtuti in bella donna asconde.
Alcun è che risponde a chi nol chiama;
Altri, chi'l prega, si dilegua e fugge;
Altri al ghiaccio si strugge;

Altri di e notte la sua morte brama.
Proverbio, Ama chi t'ama, è fatto antico.
I' so ben quel ch'io dico. Or lassa andare;
Chè conven ch'altri impare alle sue spese.
Un'umil donna grama un dolce amico.
Mal si conosce il fico. A me pur pare
Senno a non cominciar tropp'alte imprese:
E per ogni paese è buona stanza.
L'infinita speranza occide altrui:

Ed anch'io fui alcuna volta in danza.
Quel poco
che m'avanza,

Fia chi nol schifi, s'i''l vo' dare a lui.
I' mi fido in Colui che 'l mondo regge,
E ch'e' seguaci suoi nel bosco alberga,
Che con pietosa verga

Mi meni a pasco omai tra le sue gregge.
Forse ch'ogni uom che legge non s'intende;
E la rete tal tende, che non piglia;
E chi troppo assottiglia si scavezza.
Non sia zoppa la legge, ov'altri attende.

Per bene star si scende molte miglia.
Tal par gran maraviglia, e poi si sprezza.
Una chiusa bellezza è più söave.
Benedetta la chiave che s'avvolse
Al cor, e sciolse l'alma, e scossa l'áve
Di catena sì grave,

E 'nfiniti sospir del mio sen tolse.
Là dove più mi dolse, altri si dole;
E dolendo addolcisce il mio dolore:
Ond'io ringrazio Amore,

Che più nol sento; ed è non men che suole. In silenzio parole accorte e sagge;

E'l suon che mi sottragge ogni altra cura;
E la prigion oscura, ov'è 'l bel lume:
Le notturne viole per le piagge;
E le fere selvagge entr'alle mura;
E la dolce paura, e 'l bel costume;
E di duo fonti un fiume in pace vôlto
Dov'io bramo, e raccolto ove che sia:
Amor e gelosía m'hanno 'l cor tolto;
E i segni del bel volto,

Che mi conducon per più piana via
Alla speranza mia, al fin degli affanni.
O riposto mio bene, e quel che segue,

Or

pace, or guerra, or tregue,

Mai non m'abbandonate in questi panni. De' passati miei danni piango e rido, Perchè molto mi fido in quel ch'i' odo. Del presente mi godo, e meglio aspetto; E vo contando gli anni; e taccio, e grido; E 'n bel ramo m'annido, ed in tal modo, Ch'i' ne ringrazio e lodo il gran disdetto, Che l'indurato affetto alfine ha vinto, E nell'alma dipinto: I' sare' udito, E mostratone a dito; ed hanne estinto. Tanto innanzi son pinto,

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