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glia da Avignone, dove nasce il fonte Sorga, re di tutt'i fonti. Preso dalla dolcezza del luogo mi trasferii in quello, e con meco i miei libricciuoli. (15) Quinci io composi que volgari cantici delle pene mie giovenili; de' quali or mi vergogno e mi pento; pur gratissimi, come vediamo, a quelli che sono presi dallo stesso male. (16) Lunga storia sarebbe se io volessi narrare ciò ch'ivi io ho fatto per molti e molti anni. Pur la somma è questa, che quasi tutte l'operette che mi vennero fatte, ivi o le ho scritte, o le ho pensate; le quali sono state in così grande numero, che insino a questa età mi danno che fare e faticare assai. Imperciocchè come il mio corpo, così il mio ingegno ebbe più destrezza che forza. Quivi l'aspetto stesso de luoghi mi mosse a scrivere de' versi buccolici, materia silvestre, e due libri della vita solitaria a Filippo, uomo sempre grande, pur allora piccolo vescovo di Cavaglione, or grande vescovo di Sabinia e cardinale, il quale solo di tutti gli antichi miei Signori ancora vive: esso con fratellevoli modi mi amò e mi ama. Movendo io poi per queʼmonti un venerdì della gran settimana, caddemi, e fortemente, nell'animo di scrivere in versi eroici un poema deʼgesti di Scipione Africano, quel primo, il cui nome nella mia prima età mi fu caro, di poi maraviglioso. Presi a scrivere con grand'impeto; ma, da varie cure distratto, mi convenne intermettere. Il nome d'Africa posi al libro; libro da molti avuto in pregio, non so per qual sua o mia ventura, prima che conosciuto.

Mentre io dimorava in que' luoghi, mi pervennero in un medesimo giorno (mirabile cosa a dire) lettere e da Roma del Senato, e da Parigi del Cancelliere dello Studio, le quali mi chiamavano quasi a gara, quelle a Roma, queste a Parigi, a ricevere la poetica laurea. Delle quali lettere glorificandomi io giovenilmente, e giudicandomi degno di quell'onore, del quale mi giudicavano degno uomini sì grandi, e riguardando non il merito mio, ma il giudizio altrui, dubitai pure alcun poco a cui piuttosto io dovessi dare orecchio. Sopra il qual dubbio io chiesi per lettere il consiglio del sopraddetto cardinale Giovanni Colonna; il quale era si di presso a me, che avendogli io scritto la sera, n'ebbi la risposta il dì seguente avanti terza; ed appigliandomi io al consiglio di lui, deliberai dover essere preferita Roma, per l'autorità sua, ad ogni altra città; e della mia approvazione del consiglio di Giovanni sonovi due lettere da me a lui scritte.

Andai dunque; e benchè fossi, come sogliono essere i giovani, giudice benignissimo delle cose mie, nondimeno mi vergognai di seguitare il giudizio di me medesimo, ovveramente di quelli, dai quali io era chiamato, perchè senza dubbio non lo avrebbon fatto, se non mi avessero giudicato degno dell'offertomi onore. Quindi io presi primieramente la via di Napoli, e venni a quel grandissimo Re e filosofo Roberto, chiaro non più per lo regno che per le lettere, unico Re ch'ebbe l'età nostra amico della scienza ed insieme della virtù;

e venni a lui, acciocch'egli di me giudicasse secondochè fossegli sembrato; dal quale in che modo io sia stalo veduto, ed in che luogo della grazia sua ricevuto, ed io stesso ora me ne maraviglio, e tu, o lettore, se'l potessi conoscere, n'avresti bene, io credo, maraviglia. Udita poi la cagione del mio venire a lui, egli si rallegrò sommamente, seco pensando alla fiducia mia giovenile, e forse anche pensando che l'onore in che io saliva, non dovea essere senza la gloria sua, avendo io eletto competente giudice lui solo infra tutti gli uomini. Che più? Dopo le molte parole fatte sopra varie cose, io gli mostrai la mia Africa, la quale piacquegli tanto, che mi chiese in luogo di gran dono ch'io a lui la dedicassi. Il che nè potei, nè certamente volli negare. Finalmente del trattar sopra quello, per cui io era venuto, m'assegnò il giorno; ed in questo mi tenne presso di sè dal mezzodi sino al vespro; e perchè, crescendo la materia, il tempo parve breve, egli fece il medesimo ne' di seguenti: così per tre giorni fatta pruova di mia ignoranza, nel terzo dì mi giudicò degno della laurea. Egli me la offeriva in Napoli; ed acciocchè io gli consentissi, me ne strigneva ancora con molti prieghi. L'amor di Roma vinse in me l'istanza pur venerabile di Re così grande. Perciò egli vedendo essere la volontà mia inflessibile, diedemi lettere, e mandò meco nunzii al Senato romano, facendogli con pubblico atto assai favorevolmente sapere il giudizio da lui fatto di me; il quale giudizio del Re fu al

lora conforme e a quello di molti, e principalmente al mio. Ora e il giudizio di lui, e il mio, e di tutti quelli che medesimamente sentirono, io non approvo. Imperciocchè potè in lui l'affezione sua verso di me e 'l favor dell'età, più che l'amore del vero. Nientedimeno io venni a Roma; e benchè indegno, pure affidatomi in così grande giudizio, rozzo io ancora ed acerbo nelle scolastiche discipline, ebbi, con somma letizia di que' Romani che alla solenne festa poterono intervenire, la poetica laurea; sopra le quali cose sonovi delle lettere da me scritte ed in versi ed in prosa. Per questa laurea poi io non acquistai punto di scienza, ma ben molto d'invidia: il che a dire sarebbe più lunga storia, che questo luogo non richiede.

Indi partitomi, venni a Parma; e con quegli ottimi e verso di me liberalissimi Signori di Correggio io stetti alcun tempo, mai non iscordandomi il ricevuto onor della laurea, ed essendomi sempre a cuore, che altrui non paresse data ad uomo indegno di quella. Un dì, mentr'io me n'andava su per que' monti, entrai, di là dal fiume Enza, nel contado di Reggio, in una selva che Piana è detta; e quivi, preso dalla vaghezza del luogo, volsi la mente e la penna all'intermessa mia Africa; e riacceso in me l'ardore dell'animo, che pareva sopito, alquanto scrissi in quel giorno; di poi ne'di seguenti, ogni giorno alcuni versi, finchè ritornato a Parma, e trovata una casa in luogo appartato e queto, che avendola poi comperata, anche al presente è

mia, con tanto calore in brevissimo tempo condussi a termine quell'opera, che io medesimo ora ne ho maraviglia.

Tornai quindi al fonte Sorga, ed alla mia solitudine di là dall'Alpi; da poi che dimorai lungamente e in Parma e in Verona e in Milano, e fui in ogni luogo avuto caro, mercè di Dio, più ch'io non meritava. Dopo molto tempo acquistai, così la fama risonando il mio nome, la benevolenza di Jacopo da Carrara il giovane, uomo ottimo, ed a cui io non so se nell'età sua alcuno del numero de Signori sia stato a lui somigliante, anzi ben so che non ne fu nessuno: egli e per nunzii per lettere, e di là dall'Alpi, quando io v'era, e nell'Italia, dovunque io mi trovai, per molti anni tanto mi pregò e ripregò, e tanto mi stimolò d'avere in grado l'amicizia sua, che finalmente, quantunque niuna buona ventura sperassi, deliberai d'andare a lui, e vedere a che così forte instanza d'uom così grande, e da me non conosciuto, dovesse riuscire.

Per tanto negli ultimi anni della mia vita io venni a Padova, dove fui ricevuto da quel nobile uomo di chiarissima memoria con maniere non solamente umane, ma quasi somiglianti a quelle, con le quali l'anime beate sono ricevute nel Cielo. Egli, infra le molte cose, sapendo ch'io sin dall'infanzia tenni vita chericale, fece si ch'io fui eletto canonico di Padova, a fine di strignermi con più forti nodi non solamente a sè medesimo, ma eziandio alla patria sua: di che in somma io ho a dire, che se

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