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Poichè l' Imperatore non volle che far compilazioni, bisognava almeno che avesse mostrato buon metodo, scelta 2 e fedeltà; umili, ma indispensabili doveri di un compilatore. Or qual metodo ha egli tenuto nelle sue tre opere, se in tutte e tre è diverso? Può essere che in tutte e tre sia cattivo; ma sicuramente due di esse non possono esser buone per questo requisito. Inoltre, l' avere riunito in ognuna di esse e dritto pubblico e dritto privato, leggi penali e leggi civili, leggi religiose e leggi amministrative, Istituzioni giudiziarie e regole di procedura; e tutte queste materie sparse quà e là in libri e titoli distantissimi e senza alcun ordine nè analitico nè cronologico, non solo toglie tutto il merito, per quanto sia miserabile quello di una compilazione, ma rende necessario il bisogno delle glosse, de' comenti, delle osservazioni, donde venne sopraccaricato il corpo del Roman dritto.

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Nè va senza rimprovero per gli altri due requisiti. In fatti nello scegliere le leggi antiche perchè circoscrivere la giurisprudenza delle Pandette in un periodo di cento anni dall'editto perpetuo sino alla morte di Alessandro Severo? Perchè a' giureconsulti che vissero sotto i primi Cesari di rado si concede di parlare, nè si rinvengono più di tre nomi appartenenti a' tempi della Repubblica? Sarà forse vero che il suo favorito avea timore d'incontrare la schietta e naturale sapienza di Catone, di Scevola, e di Sulpizio? Pure può egli rispondere, che gli scritti di costoro non si accordavano col nuovo sistema di costumi, di religione, di amministrazione. Ma tutto il potere del suo principe non poteva assolvere Triboniano dalle sacre obbligazioni della verità e della fedeltà. Come legislatore dell' Impero, poteva Giustiniano rifiutare le leggi degli Antonini, condannare come sediziose le libere massime che difese venivano dai primi giureconsulti Romani; ma l'esistenza de' fatti passati è posta fuori la giurisdizione del dispotismo, e 'l compilatore si macchiò di frode e di falsità, quando corruppe l'integrità del loro testo, e scrisse, co'venerabili loro nomi in fronte, le parole e

le idee della servilità orientale, e soppresse prepotentemente le pure ed autentiche copie de' lor sentimenti, come egli stesso lo confessa nella legge 3 num. 1o del tit. 17 del Codice. Altri maggiori vizii s'imputano all' augusto Riformatore. Lo spirito di controversia sulle materie teologiche, il quale alimentato dalla sofisteria greca aprì poi il varco alle orde dell'Imperatore Maometto, e distrusse il greco Impero : il partecipare alle gare del circo, ed invece di dominare le due fazioni, l' una detta de' verdi, l'altra degli azzurri, parteggiar per quest'ultima (a): l' invadere tutti i poteri, compresovi il giudiziario, per farli servire alle occasioni e a soddisfare le passioni di Teodora e de' suoi liberti, quindi mentre erano deserti i tribunali, il Palazzo imperiale ( dice Procopio) risuonava de* clamori delle parti che vi sollecitavano gli affari; e quel ch'è peggio delegare ai Governatori delle Provincie poteri ad un tempo stesso legislativi e giudiziarii, militari ed amministrativi: ecco i difetti di cui non sappiamo scusarlo. Ma quel che più nocque fu la sua versatilità nel cambiare le leggi, le forme de' giudizii e la giurisdizione de' Magistrati. Ogni anzi ogni giorno, al dir di Procopio, del lungo suo regno fu contrassegnato da qualche innovazione legale. Molti suoi atti furono da lui stesso cassati; i suoi successori ne rigettarono molti altri; il tempo ne cancellò un buon numero; ciò non ostante sedici EDITTI e cento sessanta novelle vennero ammesse nel corpo autentico della Giurisprudenza civile (b).

anno

(a) Con ciò, dice Montesquieu, le innaspri tutte e due, e per conseguenza le fortificò. Gli azzurri non temevan le leggi, perchè sapevano che l' Imperatore li proteggeva contro di esse: i verdi non le rispettavano, perchè le leggi erano impotenti a difenderli. Quindi ogni scellerato che meditava un delitto si associava agli azzurri, ed ogni oppresso assassinato era del partito de' verdi.

(b) Il Sig. di Montesquieu nelle sue Considerazioni sur la Grand. et la Décad. des Romains, dice, che queste continue e per la maggior parte futili alterazioni non si possono spiegare, se non riguardando allo spirito venale di un principe, il quale vendeva senza vergogna i suoi giudizii e le sue leggi. Ma l'unico esempio ch'egli adduce a favore

Non bisogna però imputare a Giustiniano i vizii de' tempi e delle cose se non in quanto non ha saputo dominar il suo secolo, nè valersi della sua onnipotenza pel bene dell' umanità e dell' Impero. La divisione degli uomini in liberi e servi non si era potuto ancora abolire dal Cristianesimo come che fosse asceso sul trono, e nol potendo neppure Giustiniano, almeno la mitigò col facilitare le manumissioni, ed ammettere al beneficio della ingenuità gli affrancati: ma quella profusione di leggi antiche ed in maggior parte abolite, e tutte le sue disposizioni (a) non erano dirette che a conservar quell' ordine di cose ad onta della umanità e della ragione. La dignità del matrimonio era stata restituita nel suo splendore dai Cristiani, la cui coscienza era era tenuta in freno dai decreti e dalle censure de' loro direttori ecclesiastici. Non pertanto i magistrati di Giustiniano non si assoggettarono all'autorità della Chiesa; l' Imperatore consultò i giuristi miscredenti, e la scelta delle leggi matrimoniali nel Codice e nelle Pandette è determinata dai terrestri motivi di giustizia e di politica, e dalla naturale libertà de' due sessi. Gli ostacoli d'una impotenza incurabile, di una lunga assenza e della professione monastica furono atti a rescindere l'obbligazione matrimoniale. Se il colpevole di adulterio per tutta la sua vita o per un numero di anni non poteva passare a seconde nozla parte offesa veniva tosto affrancata dai vincoli del matrimonio.

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Poichè il linguaggio de' fedecommessi e de' codicilli fu

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della Chiesa di Emessa, estendendo la prescrizione pe' dritti della medesima a quella centenaria con un' editto retroattivo, parmi che possa ascriversi più alla divozione, che all' avarizia di Giustiniano tanto più che questo editto così pregno d'ingiustizia e di disordine venne da lui stesso posteriormente abolito.

(a) Quindici titoli delle Istituzioni, trentaquattro del Digesto, qua rantanove del Codice, e due novelle, non si occupano che de' dritti de' padroni e de' doveri degli schiavi, de' liberti, de' libertini e de' servi della gleba.

Tiberato dalla minuta e tecnica accuratezza de giureconsulti, a che occupare di tante immense particolarità dodici buoni libri del digesto, dal 29 al 39 ?

Il clero dell' Oriente e dell' Occidente avrebbe desiderato qualche cosa dippiù dal divoto Giustiniano nelle leggi sull'usura; ma non fu poco l' avere stabilita l'ordinaria e legale misura dell' interesse al sei per cento, l'averlo vietato alle persone d'illustre grado al dippiù del quattro, e non averlo permesso che all' otto per i mercatanti ed al 12 per le rischiose marittime assicurazioni. Fu un gran passo prescrivere i confini a questa inveterata peste presso i Romani.

Non è da imputarsi a Giustiniano la mancanza di una buona filosofia; ma poteva risparmiar tante distinzioni e sottigliezze desunte dagli Stoici. Abbiam parlato delle sue eccedenti premure per le dispute religiose, ma quante cose vi ha poi frammischiate, che risentono la pagana superstizione? Non è sua colpa finalmente la mancanza dello stile, e di quella precisione che forma l'eloquenza delle leggi. La letteratura segue la fortuna politica delle nazioni, e quando mancano i liberi giudizii ed i generosi pensieri, forza è che prendano il loro luogo le espressioni della più servile adulazione. Ma qual bisogno di prender le ragioni indistintamente or da Omero, or dalla Bibbia, fare interminabili Omelie, adottare i barbarismi di Ermogene ?

Non ostante questi difetti noi dobbiam essere grati a questo Imperatore che ci ha conservato il deposito della romana sapienza riguardante il dritto privato; mentre senza di questa Compilazione si sarebbero perduti que' frammenti raccolti, come si sono perduti gli scritti donde furono estratti. Chi ci ridona le opere di Scevola e di Sulpizio trascurate da Triboniano, se quelle di Papiniano e di Ulpiano inserite e prescritte dal Riformatore non furono più giudicate degne di attenzione, se i più bei monumenti dell' antica Roma furono trascurati, e distrutti dall' invidia e dall' ignoranza de' greci ?

Che che si dica, o dir si possa contro questa parte della

Romana giurisprudenza, nella quale si è voluto, ma poco giustamente, imputare varie cose ad errore de' Giureconsulti e di Giustiniano (a), certo è che sia un tesoro inapprezzabile, sia perchè riconduce gli uomini alla conoscenza de' principii di giustizia naturale, su' quali deve essere sempre basata la legislazione, e la cui utilità è massima quando si trova nella bocca del Legislatore, e si può impunemente ricordare ai Magistrati; sia perchè vi si risolvono casi ed ipotesi contenenti gli stessi dubbii, che l' imperfezione delle leggi e delle lingue tutto di rinnova tra noi, le quali risoluzioni fecero appunto dare a questa giurisprudenza il nome di ragione scritta; sia finalmente perchè vi sono riunite le regole di dritto positivo, che sono le pietre angolari di qualunque codice, e che formano una parte pregevole di questa compilazione. Son queste regole, dice il lodato Cav. de Thomasis, altrettante canoniche sentenze derivate dalla natura delle cose o dalla volontà dominante del legislatore, sì che possono tenersi quali stelle polari in tutti i casi dubbii. Non è gia ch' esse comandino 0 vietino perciocchè son teoremi e non precetti; Regula enim legem indicat, non statuit, disse Bacone; ma possono ricondurre gli aberranti sulla diritta via; se non che tal è di esse qual è de' proverbii comuni, i quali ordinariamente veri, sono di difficile applicazione (b).

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(a) Tra le altre belle cosc contenute nell' opera postuma del nostro Cav. de Thomasis che ha lo stesso titolo di questo nostro lavoro, bellissima è l'analisi dell'antica ed attuale legislazione, dove nel Tit. 1. discorre de' pregi, e de' difetti del dritto Romano compreso nella collezione Giustinianea, e dove discolpa gli antichi giureconsulti ed Imperatori dalle tacce apposte da' più schivi censori a talune loro dottrine.

(b) Di siffatte regole se ne trovan raccolte moltissime nel Digesto al titolo de diversis regulis juris antiqui, le quali, a riserba di quelle con. tenute nelle leggi 107, 146 e 211, che non ci appartengono perchè riguardano i servi, meritano di essere studiate. Ma ben molte altre ve ne esistono nello stesso Digesto, e parecchie sparse quà e là nel corpo del dritto, che mal fece Triboniano di non riunire nello stesso titolo, me giustamente lo rimprovera il nostro dotto giureconsulto, e magistra

Co

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