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CAPITOLO II.

Osservazioni su la parte penale della Collezione Giustinianea.

La corruzione dell' uomo apri la porta al delitto, ossia a quella violazione de' doveri che la legge sociale impressi già avea nel cuore di ciascuno, e si sentì subito il bisogno di reprimerlo per la comune utilità. Ma questa repressione non fu regolata da quello spirito sano che potesse classificare le diverse violazioni, e proporzionarvi le pene corrispondenti. Per lo più dettate queste dalle stesse persone offese o da quelle che temevano di esserlo nella rinnovazione di atti consimili, non respiravano che vendetta e paura; e niuna scienza ritardò tanto nel suo avanzamento, quanto quella de' delitti e delle pene.

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Ne' primi tempi di Roma, dopo espulsi i Re, i consoli giudicavano e punivano arbitrariamente (a). Se ne sentirono gl' inconvenienti e si chiesero leggi certe e precise. Le leggi delle dodici tavole furono acceltate; ma esse erano scritte a note di sangue. Approvavano la disumana e disugual massima del taglione, a meno che l'offensore non potesse riscattare il suo perdono con pagare una multa di trecento libre di rame. I Decemviri distribuirono con molta profusione i castighi men gravi della flagellazione e della servitù, ma giudicarono de

to Giuseppe Aurelio di Gennaro ; del che poteva egli stesso occuparsi più utilmente, che mettere in eleganti distici tutto il titolo suddetto. Riunite che fossero, sarebbe necessario ordinarsi per materie, e queste situarsi in ordine alfabetico. Utilissimo sarebbe poi renderle italiane, se potesse darsi loro quella stessa precisione e chiarezza, onde sono tanto ammirabili.

(a) Jure majorum gentium ossia col dritto della violenza privata, unico dritto che regna fra' capi delle famiglie nella primitiva società, che poi cambiossi in jure minorum gentium, nel dritto della violenza pubblica, vale a dire nell'uguaglianza delle utilità appoggiate dalla forza pubblica. Ne altro principio seguirono i Consoli. V. Vico e Filangicri in molti luoghi.

gui di morte nove specie soltanto di misfatti di un'assai differente natura. Erano questi.

1. Ogni atto di tradimento contro lo stato, o di corrispondenza col nemico pubblico. Doloroso, ed ignominioso erane il supplizio. Si ravvolgeva in un velo il capo del Romano degenere, gli si legavano dietro il dorso le mani, e dopo che era stato battuto colle verghe dal littore, veniva appeso nel mezzo del Foro ad una croce, o ad un albero inauspicato.

2. I notturni conciliaboli nella Capitale, qualunque fosse il pretesto o di piacere, o di religione, o di bene pubblico.

3. L'uccisione di un cittadino, la quale secondo i comuni sentimenti degli uomini, richiede il sangue dell' uccisore. Il veleno è più odióso ancora della spada, o del coltello; e ci reca stupore lo scorgere in due sciagurati esempi come una sì fatta sottile perversità abbia di buon'ora infettato i costumi della Repubblica, e le caste virtù delle matrone Romane. Il parricida, che violava i doveri della natura e della gratitudine, veniva gettato nel fiume o nel mare chiuso in un sacco nel quale insieme si rinserravano un gallo, una vipeun Cane ed una scimia come i suoi più degni compagni. L'Italia non produceva scimie; ma non fu sentita una tal mancanza sino alla metà del sesto secolo, epoca in cui per la prima volta si scoprì un delitto di parricidio (a).

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4. La malvagità di un incendiario. Questi era battuto colle verghe dapprima, poi consegnato egli stesso alle ›fiamme; solo esempio, in cui la nostra ragione sia tentata di approvar la giustizia della pena del taglione.

5. Lo spergiuro giudiziario. Il testimonio corrotto era lanciato capovolto giù dalla rocca

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Tarpea per espiare la sua falsità, che più fatale era fatta dalla severità delle leggi penali, e dalle mancanze di prove scritte.

(a) Lucio Ostilio dopo la seconda guerra punica fu il primo parrieida, e Publio Malleolo durante la guerra de' Cimbri si rese colpevole del primo matricidio in Roma.

LIBER. Parte II.

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6. La corruzione di un Giudice il quale accettava regali per dare una sentenza iniqua.

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I libelli, e le satire, i cui rozzi versi alle volte conturbarono la pace di una città senza lettere. Se ne puniva a colpi di bastone l'autore meritato castigo; ma non è ben certo se lo lasciassero spirare sotto i colpi del manigoldo.

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8. La notturna tristizia di danneggiare, o distruggere la messe del vicino. S' impendeva il delinquente come gradita vittima a Cerere. Ma le Deità boscherecce erano implacabili mono, e l'estirpazione dell' albero più prezioso non traeva dietro di se, che l' ammenda di venticinque libbre di rame.

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9. Le incantagioni magiche che avean forza a quanto credevano i pastori del Lazio di estenuare un nemico, di spegnerne la vita e di dalle terre le piantagioni che sierpar aveano posto radici più salde, eran punite come sacrilegii. Come i costumi di Roma vennero a poco a poco ingentilendo, il Codice criminale de' Decemviri fu ributtato dall'umanità degli accusatori, de' testimoni e de' giudici; e la impunità divenne la conseguenza di un rigore fuor di misura. La legge Porzia, e la Valeria proibirono a' Magistrati di applicare ad un cittadino libero qualsivoglia pena capitale, ed anche corporale castigo; ma sulla pruova, ed anche sul sospetto del delitto, lo schiavo, o lo straniero veniva attaccato ad una croce, e questa rigida, e sommaria giustizia si poteva esercitare senza impedimento sopra la massima parte del popolo minuto di Roma.

Vennero alcune leggi a dar qualche riparo pe' delitti contro la proprietà. Un Romano richiamava, e ricuperava le cose rubategli mediante un'azione civile di furto esse potevano passare per una serie di mani innocenti, e pure, ma soltanto una prescrizione di trent' anni era valevole ad estinguere l'originale suo dritto. Gli si restituivano quegli effetti per sentenza del Pretore, e si compensava l'ingiuria col pagamento del doppio, del triplo, ed anche del quadruplo del loro valore, secondo che era succeduta una frode secreta, od una rapina

aperta, e secondo che il rubatore era stato sorpreso sul fatto, ovvero scoperto per una susseguente ricerca. La legge Aquilia difendeva la vivente proprietà di un cittadino, i suoi schiavi, ed il suo bestiame, da'colpi della malizia, o da'danni della negligenza essa condannava il colpevole a pagare il più alto prezzo, a cui si potesse stimare l'animale domestico in un qualunque momento dell'anno che ne avea preceduta la morte. Per la distruzione di ogni altro valutabile oggetto si lasciava una latitudine di trenta giorni all' estimazione.

Un' ingiuria personale venne alleggerita, od aggravata da' costumi del tempo e dalla qualità dell' individuo : l' equivalente del dolore, e dell' offesa di una parola, o di una percossa non si può facilmente valutare in danaro. La rozza giurisprudenza de' Decemviri avea confuso tutti gl' insulti fatti nel bollore dell' ira, che non giungevano alla rottura di un membro, ed essa condannava l'aggressore alla comune multa di venticinque assi. Ma la stessa denominazione di moneta fu ridotta, in tre secoli, da una libbra alla metà di un'oncia, e l'insolenza di un ricco Romano si prendeva a buon mercato lo sciaurato spasso di trasgredire, e di soddisfare la legge delle dodici Tavole. Verazio correva per le strade percuotendo in faccia gl' innocenti passaggieri, ed un suo seguace, che portava una borsa, immediatamente rintuzzava le loro grida colla esibizione di venticinque monete di rame a norma di quanto, esigeva la legge. L' equità de' Pretori esaminava, e valutava il merito distinto di ogni querela particolare. Nell' aggiudicare i danni civili il Magistra to si assumeva il dritto di aver riguardo alle varie circostanze di tempo e di luogo, di età dignità, che inacerbar potevano l' onta, e il dolore sona offesa. Ma se ammetteva l'idea di un' ammenda punizione, di un esempio egli iuvadeva le attribuzioni della legge criminale, benchè forse ne riparasse il difetto.

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di una

Si era fatta rimanere la pena, dell' infamia; ma niun prò ne trassero i Romani, sebbene non ignorassero come l'ignoran tuttora molti governi Europei, che questa non è nelle mani

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del governo, ma nella opinione de' popoli, la quale si deve consultare per comminarla con profitto (a). Essi l' estesero a tutti i misfatti publici, a moltissimi di quelli ch' eran detti estraordinarii, ed ai delitti che n' eran la conseguenza tutto che fosse il reo condannato in giudizio civile; alle volte senza condanna, anzi senza accusa era lo stesso fatto notato d' infamia dalla legge e la semplice correzione del censore era una pena infamante almeno di fatto se non di dritto. Allorquando le fazioni domestiche e la dominazione al di fuori, ebbero infiammato ogni vizio, più vivamente si seutì la mancanza delle leggi penali. Verre tiranno della Sicilia poichè si fu per tre anni saziato di libidine, di rapina, di crudeltà, non potè esser citato in giudizio, che per la restituzione pecuniaria di un milione, che si ridusse a molto meno e ad una piccola somma di cui contentossi l'accusatore medesimo (b); in modo che col rifondere una tredicesima parte del suo bottino, fu concesso a Verre di ritirarsi in un esilio placido,e voluttuoso.

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Il primo imperfetto tentativo di ristabilire la proporzione tra i delitti, e le pene fu l'opera del Dittatore Silla; ma il carattere sanguinario di quest' uomo rispettò i pregiudizii de' tempi; ed in luogo di profferire una sentenza di morte cɔntro il ladro o l'assassino, contra il generale, che dava un esercito in mano al nemico, o il magistrato, che dilapidava una provincia, Silla contentossi di aggravare le condanne pecuniarie colla pena dell' esilio, e parlando secondo lo statuto,

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(a) Non poterit, dicea Marcello nella legge 69 de furtis, Praeses provinciae efficere, ut furti damnatum non sequatur infamia.

(b) Cicerone avea in origine calcolato i danni della Sicilia a millies ( ottocento mila lire sterline secondo GIBBON ), in seguito poi li ridusse a quadraginties (trecento mila lire sterline ); e finalmente si accontentò di tricies ( ventiquattro mila lire sterline ). Plutarco non ha dissimulati i sospetti ed i rumori che allora si sparsero; ma Tullio comprese le difficoltà che nascevano dall' incertezza della legge e dalla corruttela dei gindici.

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