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I. Ognuno conviene che i tributi siano il patrimonio de ogni impero ed, ornamenta pacis, ac belli subsidia chiamolli pur Cicerone. Al pari degli altri popoli conobbero i Romani che la pubblica quiete non poteva conservarsi senza la forzaarmata, nè questa senza gli stipendii, nè gli stipendii senza i tributi, al dir di Tacito. A conoscere la romana legislazione su questa parte del ramo amministrativo, fa d' uopo quindi accennar qualche cosa su quel principale, ed interessante oggetto, che forma il dritto del fisco (b). Esso era di due specie: Census capitis, che indicava la numerazione delle teste o persone, ed il Census soli relativo alle proprietà. Il primo che chiamavasi ancora Capitazione era di già in uso 2 sotto i primi Re di Roma, ed era annunziato pubblicamente secondo le circostanza imperiose che lo comandavano. Fu principalmente nell'anno. 349 di Roma che il Senato, avendo stabilita una paga per i. soldati, stabili questa imposizione pubblica annuale per sovvenire a questo bisogno, ma non sussistette che sino all'anno 586. Rimase però questa imposizione personale su i popoli vinti detta capitis tributum da soddisfarsi in ogni anno secondo il censimento rispettivo, mentre dice Ulpiano doversi notare l'

(a) Noi non mettiamo in questo numero i beni vacanti, nè quelli dei quali se n'era incorsa la privazione come pena di un misfatto, o di una frode fatta alla legge. Di essi parlano le leggi scritte nel tit. 1-4 del lib. 49 del Digesto.

(b) Fisco, Fiscus, fiscella, canestro di vinchi, e quindi cassa da riporre danaro. Plinio nel suo panegirico a Trajano distingue fisco da erario quello del danaro privato del principe, questo del pubblico: ma tal significazione era promiscua anche prima (Caly, Lexic, a questa voce ).

età, poichè in alcuni luoghi come nella Siria i maschi dall'età di 14 anni, e le femmine dall'età di 12 anni sino a quella di anni 65 erano sottoposti a questo tributo (l. 3 lib. 2 de censibus ).

In quanto al censo del suolo o imposizione fondiaria, essa era dovuta nelle provincie ed era ripartita fra i possessori di terreno per rata di ciò che ciascuno possedeva nel territorio della città soggetto a tale imposizione, e giusta il libro censuale detto Extimo ( V. il tit. 57 del lib. XI del Cod. de censibus, censitoribus et peraequatoribus et inspectoribus ).

Il censitore riceveva dal proprietario l'indicazione de' fondi colla loro rendita: se ne dubitava, v'inviava l'apprezzatore peraequator che ne facesse la descrizione e la stima presente il proprietario o il suo procuratore. L'Ispettore rivedeva le operazioni suddette.

Relativamente al carico di tal tributo esisteva una distinzione principale tra i fondi Italiani e quelli provinciali, donde il Jus Italicum, differenza che non cessò di esistere anche dopo che l'imperator Caracalla ammise tutte le nazioni soggette all'impero a partecipare de' dritti annessi alla qualità di cittadino Romano. Fu accordato pure a talune città il dritto di Colonia che importava pure qualche immunità dalle imposizioni, carichi, servigii, e tributi. Ma queste esenzioni furono rivocate da Diocleziano, nè si ammettevano nè anche per rescritto del Principe che doveva presumersi con frode otlenuto perchè contro la pubblica utilità (a).

Per la formazione de' registri del censo o numerazione ciascun proprietario era tenuto a dichiarare i fondi che possedeva col loro Nome, Contrada, Confine, Estensione superficiale di Vigne, Praterie, Pascoli, Selve ecc. e col prodotto di un decennio.

Fatto così il censo sulle dichiarazioni dei possessori, la

(a) La sola chiesa di Tessalonica fu esentata da qualunque specie di tributo da Teodosio. Veggansi le leggi sotto il titolo del Codice de Annona et Tributis.

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imposizione veniva ripartita tra essi secondo il modo determinato da lettere sottoscritte dal Principe chiamate delegationes, le quali erano trasmesse ciascun anno alle provincie, e pubblicate.

I censori municipali facevano la ripartizione distributiva, ed era del loro dovere sgravare il proprietario che non avesse potuto godere per qualche accidente di una certa parte delle sue rendite dichiarate. Però quando i contribuenti si lagnavano di essere stati soverchiamente gravati, tutti i terreni dovevano essere sottoposti ad una nuova verifica dagli agrimensori inviati all' oggetto, i quali, se vi era luogo, annullavano, o rettifica vano il censo.

Era egualmente permesso di attaccare di parzialità le loro operazioni e farli condannare all' ammenda del quadruplo del loro salario per la negligenza, parzialità, cupidigia, o corruzione riconosciuta e provata che fosse.

I soli fondi e non le persone erano soggetti a questa imposizione, dal che seguiva che i possessori erano obbligati di pagare anche quelle dovute prima che possedessero i fondi, salva l'azione di rimborso contro i venditori. Così pure chi aveva cessato di possedere era liberato dalle imposizioni future, dal che si conchiudeva che il carico delle imposizioni fondiarie passava piuttosto ai successori e detentori de' fondi che all'erede del defunto, il quale però era tenuto verso il fisco di quelle dovute pel tempo trascorso dopo la restituzione che egli avesse fatto della successione a' fedecommessarii o ai legatarii. Ne seguiva pure da ciò che nella divisione del fondo se un possessore di una parte pagato avesse la totale imposizione, il Fisco doveva cedergli le sue azioni contro i possessori delle altre porzioni acciocchè fosse rimborsato delle loro rate. Venne prescritto finalmente che qualunque fosse la dignità dei possessori ed a qualunque ordine appartenessero, fossero soggetti a questa contribuzione fondiaria, non potendo alcuno sottrarsene per qualunque privilegio.

Si riscuoteva quest' imposizione entro l'anno in tre qua

drimestri dagli esattori o percettori nominati con un decreto de' decurioni. All' esazione di essa presedevano i duxenarii, i centenarii, ed i sessagenarii, specie di preposti o agenti dell'Imperadore, così chiamati secondo le somme loro affidate. Era espressamente proibito ai soldati che s'inviavano per l'esazione delle imposizioni destinate agli approvigionamenti militari di mischiarsi nel ricupero di esse, essendo egualmente proibito di mettere in prigione, tormentare o vessare corporalmente i contribuenti per forzarli al pagamento delle imposizioni, tributi, sussidi, servigii, potendosi solo costringere col sequestro de' loro mobili, o colla vendita de' fondi all' imposizione soggetti.

Venne finalmente prescritto che il pagamento delle tre ultime annate fosse sufficiente a far presumere lo integral pagamento delle annate precedenti (Veggasi il tit. 15 del lib. cinquantesimo del Digesto de Censibus ).

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II. L'altra imposizione ordinaria era quella dell' Annona, sotto il quale nome veniva tutto ciò che il Fisco esigeva dalle rendite de' particolari in certe date specie, come frumento, vino, oglio, pane, carne, sale e mele; e serviva per sostentamento de' militari: dovevasi la quinquagesima parte del grala quadragesima dell' orzo, la quinta del vino, lardo, sugna e carne; e queste quantità doveansi trasportare dagli stessi provinciali all' esercito, ma non più in là del proprio distretto, avendosi riguardo al viaggio ed alla residenza, non che alle spese necessarie pel trasporto: anzi acciò la spesa del medesimo non superasse il valore del genere, si faceva sapere a ciascuna città il peso del rispettivo trasporto, onde procurasse di farlo seguire per mezzo de' possessori più vicini. (V. le leggi 5, 7 ed 8 del Cod. de Annona et trib. ).

Anche sotto questo nome di Annona veniva la vendita che i Romani eran obbligati di fare al Fisco di una porzione del raccolto frumento per depositarsi ne' pubblici granai, per lo più stabiliti ne' luoghi vicini agli accampamenti militari, ed erano incaricati i Presidi a destinarvi i custodi ed i misuratori,

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a loro danno era, se per negligenza si fossero guaste le spe

cie rinchiusevi.

Questo frumento serviva pure nelle occasioni di carestia, e tutti i possessori di grano ed orzo eran tenuti a venderne una quantità proporzionata al rispettivo censo e patrimonio al Fisco a giusto prezzo che stabilivasi dal Principe o dal Senato (a) e Sinotico appellavasi il curatore di questa Annona nelle greche costituzioni ( V. le leggi 1 e 2 del Cod. al tit. de cond. in pub. horreis ).

Questo pubblico frumento vendevasi agl' indigenti in tempo di bisogno a prezzo mitissimo, e solo ai mendicanti invalidi dispensavasi gratuitamente (V. i tit. 24 e 27 del lib. XI del Codice ).

I fornai aveano il loro Collegio, e 'l tit. 15 del lib. XI del Codice è appunto de Pistoribus.

Vi erano gl' incaricati per la vendita della carne porcina, e per quella del vino, tit. 16 Cod. de suariis et susceptoribus vini, et caeteris corporatis.

Canone frumentario dicevasi la prestazione delle Provincie per provvedere di frumento le Città capitali di Roma, Costantinopoli ed Alessandria, ed era delle specie annonarie, nelle quali comprendevasi ancora l' olio, la sugna, la carne bovina, e qualche volta anche il vino. Esse si dovevano dall' Egitto, dalla Sicilia, dalla Gallia e dall' Africa. Tutte queste specie servivano pe' militari, ma il grano davasi ancora ai plebei secondo i rispettivi assegnamenti (V. i titoli 22 e 23 del lib. XI del Codice ).

Vi era finalmente una specie di Annona civile detta pure popolare e civica, la quale consisteva nella dispensazione dei pani che si faceva ne' gradini situati vicino ai forni pubblici: e secondo le qualità delle persone vi erano i pani posti ne' ri

(a) Tacito ci racconta che Tiberio dopo di avere stabilito un prezzo confacente ai bisogni de' compratori, accrebbe del suo il prezzo di ogni moggio a beneficio de' possessori.

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