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esser dovesse il getto per darsi luogo al contributo; 2. Quali e per quali merci contribuir si dovesse ; 3. Come fare per costringersi a questo contributo e con quale azione; 4. Come ripartirsi nel caso che ricuperate si fossero le mercanzie gettate; 5. La risoluzione di pellegrine quistioni appartenenti alla navigazione (V. Pothier Pandectarum lib. XIV tit. II.)

2. Foenus nauticum. Era questo una usura lucratoria che pagavasi pel danaro che si trasportava, trajectitia vel nautica. Chiamavasi così questo danaro perchè a pericolo del creditore consegnavasi per trasportarsi trans mare, e continuavano queste usure sino a che la nave fosse ritornata nel porto. Potevano prima convenirsi quelle usure che si volessero per questo oggetto: trajectiva pecunia propter periculum creditoris, quamdiu navigat navis, infinitas usuras recipere poterat, disse Paolo 1. 26 ff. de fur. Ma Giustiniano colla sua Costituzione de nautico foenere tit. 33 lib. IV Cod. lo restrinse all'usura centesima, e proibì potersi eccedere, il che confermò colla Nov. 110, rivocando la Nov. 106 la quale permetteva il lucro dell' ottava parte e lo permise per semplice patto, anche senza stipulazione: volle però che espresso si fosse il pericolo del creditore.

3. L'azione institoria era data contro il committente, per l'esecuzione degl' impegni contratti dal commesso o fattore, e relativi agli oggetti del commercio del quale quest' ultimo era incaricato. Institor dicevasi infatti l'incaricato a dirigere un com-mercio, una impresa, una manifattura qualunque, ed era giusto il supporre che a costui si fossero dati tutti i poteri necessarii per farla riuscire ; tanto più che ritraendone tutti i vantaggi doveva egli essere tenuto a tutti gli obblighi. Bastava per l'esercizio di quest' azione il solo fatto dell' amministrazione commerciale col consenso del padrone, quando non si fosse ecceduto i confini, intra fines praepositionis. Per i fätti ed obbligazioni nascenti da questa azione, veggasi questo titolo nel Digesto.

4. L azione exercitoria, così detta dalla voce latina exer

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sitor Armatore, vale a dire proprietario di bastimento quella data contro costui per motivo degl'impegni contratti dal Capitano ovvero da colui che aveva il comando attuale del bastimento, sia nominato direttamente dal proprietario, sia scelto da colui che il proprietario stesso avea designato. Particolare di questa azione era, che quand' anche il Capitano avesse trattato col suo nome personale, e fosse in conseguenza risponsabile personalmente dell' esecuzione del contratto impegno, il proprietario non era meno tenuto purchè tuttavia l'obbligo fosse relativo alla spedizione: non autem (dice la l. 1 D. de exercit. act.) ex omni causa praetor dat in exercitorem actionem, sed ejus rei nomine, cujus ibi praepositus fuerit.

Sono ben savie le disposizioni conservate in questa Collezione su tali affari, e sono state tutte adottate dalle nostre leggi commerciali.

VI. Di molte cose era vietato il commercio. Generalmente. coi Barbari non si poteva commerciare nè di vettovaglie, nè di ferro nè di armi, sotto pena capitale tit. 41 Lib. IV Cod., nè recare ad essi la porpora o la seta (tit. 40 eod.) Ma agli stessi privati era vietato il commercio della porpora, non meno che qualunque uso di essa, e sotto gravi pene (a).

VII. Nundinae quasi Novendinae dette dal nono giorno. del mese nel quale i campagnuoli accorrevano al mercato nella Città; nome che oggi si accorda alle grandi fiere. La celebrazione di queste si dovea ottenere dal Principe, ed ivi. era privilegio de' mercadanti che vi si portavano di non poter convenire nè essere convenuti in giudizio per anteriore deEito privato, mentre il pubblico debito e'l pubblico delitto non meritava questa indulgenza. Si perdeva questo privilegio

(a) Cesare lo permise a pochi nobilissimi ed in alcune età ed in diversi tempi, atteso l'estremo valore della cocciniglia; Plinio dice che una libra di porpora violacea valeva cento danari; ma secondo Budeo ( lib. de asse ) non poteva aversi neppure per mille la libra della por-. pora Tiria dinapham, ‹ sidue volte tinta.

trascurandosi le Ferie per un decennio ( V. tit. 60 de Nundinis et Mercatoribus lib. IV cod. )

Premesse queste nozioni, diremo qualche cosa particolarmente, sulle misure e su i pesi, sulle monete i metalli, ed i metallarii, su i pubblici banchi, e sulle poste.

S. II.

Pesi misure.

Fu idea necessaria degli antichi legislatori interessare la divinità a tutte le loro disposizioni, come ben dimostra il nostro Vico; nè può dubitarsi che ciò siasi omesso nei pesi e nelle misure. Per queste ultime è noto che l'Anfora onde non fosse violata venne a Giove nel monte tarpejo consecrata (a). Quindi quest' incarico appartenne pure al Collegio de' Pontefici. Ma poi colle conquiste che il popolo fece sul Patriziato, l'importante obbietto della determinazione de' pesi e delle misure legali venne commesso agli Edili; ed al Prefetto della Città sotto il principato. Ma i campioni si conservavano in Roma nel Campidoglio, e gl' Imperadori Valentiniano, Teodosio ed Arcadio ordinarono che il campione legale pe' bisogni del commercio e per la legittimità della riscossione delle pubbliche imposte, sia in rame sia in pietra, si stabilisse per mansiones singulasque civitates sotto gli occhi di ognuno, onde i raccoglitori temessero di eccedere la misura per non subire la pena (1. 9 C. de suscept. praepos. et arcar. )

Il sistema numerico dei Romani era fondato sull' Asse. Questa parola sia che derivasse secondo la comune opinione

(a) Quam ne violare liceret, sacravere Jovi Tarpejo in monte quirites. Palemone presso i Romani de pond. et mens.: ed il palmo napolitano si conservava nell'antico tempio che ora forma il nostro Duomo, dove attualmente si trova.

dal dialetto dorico (a) de' Siculi e Tarentini, sia dagli antichi nostri Tirreni (b), importava una unità qualunque divisibile in dodici parti chiamate Unciae, e specialmente un certo peso di rame che si disse assipondium. Queste dodici once ebbero poi ciascuna la sua particolar denominazione.

Le undici once si disse DEUNX quasi uncia una dempta, per la proprietà della preposizione de la quale in composizione di parole importa diminuzione.

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Le dieci once si dissero DEXTANS quasi desextans cioè tolta la sesta parte. Si dissero altresì DECUNX quasi decem

unciae.

Le nove once si dissero DODRANS quasi dequadrans, cioè tolto un quadrante, vale a dire la quarta parte dell' asse.

Otto once ebbero il nome di BES sia dall' antico des, come conghiettura Varrone, sia quasi bis triens secondo Festo; ma probabile è l'opinione di quegli eruditi i quali preferiscono la lezione di Bessis a quella di Bes.

Sette once si dissero SEPTUNX del che chiarissima è l'etimologia.

Sei once si dissero SEMIS quasi Semiassis.

Cinque oncie QUINCUNX.

Quattro once TRIENS cioè la terza parte dell' asse.

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Tre once QUADRANS, cioè la quarta parte dell' asse.
Due once SEXTANS cioè la sesta parte dell' asse.

Ecco poi le ulteriori suddivisioni dell'oncia, SEMUNCIA, la metà; DUELLA Ovvero binae sextualae, la terza parte; SICILICUM

(a) Dal dorico aes i Tarentini ed i Siculi fecero asse, ed i Romani ritennero e l'una e l'altra voce per indicare l'unità monetaria che fu di rame, ed il peso di essa. Poi siccome i Siculi dicevano indifferentemente as e libbra, i romani chiamarono l'asse altresì libbra; e librali infatti furono gli assi sino alla prima guerra punica. La suddivisione dell'asse in dodici once fu pure in uso presso i Siciliani.

(b) Nel nostro Vocab. univ. si hanno le spiegazioni dell' Asse come peso roinano come significativo del Tutto vale a dire credità, come piede, misura lineare, e come moneta.

ed anche SICILICUS la quarta parte; SEXTULA la sesta parte, e sarebbe l'ultima frazione secondo Varrone. Ma vi era anche l'ottava parte dell' oncia chiamata Drachma: la duodecima detta Hemisesclea ovvero Dimidiasextula, la sedicesima col nome Tremissis; la vigesimaquarta detta Scrupulus.

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Abbiam veduto di sopra che l'asse si denominò ancora Assipondium. E perciò Depondies importava due assi ec. V. Cujacio Observ. 19 e 31, Gotofredo ad L. XII tab., Salmasio de modo usur. Gravina ad L. XII tab. e specialmente Balbo de Asse.

Vi era in ogni Città un pubblico Pesatore dell'oro e dell' argento che si riscuoteva pe' tributi, ed al quale si ricorreva dai particolari nelle quistioni sulla quantità, e sul valore delle monete (tit. 71 lib. X cod. ).

S. III.

Delle monete.

Prima, che si pensasse o si ritrovasse il danaro prezzo eminente delle cose, non si conosceva l'uso della moneta, ed ogni commercio facevasi con la permutazione; fino a che la esperienza mostrò quanto questo mezzo fosse insufficiente; spesso accadendo che un individuo il quale avea bisogno del genere posseduto da un altro non avea in contraccambio ciò che quest'ultimo desiderava ; e che due persone trattando insieme non sapessero nè come combinare i loro interessi, nè come saldare i conti rispettivi: quali difficoltà crescendo nella comunicazione de' diversi popoli pel trasporto degli oggetti, opponevano sempre infiniti ostacoli a tutte le imprese.

La stessa necessità dunque rinvenne l'uso della moneta ́, scegliendosi per essa i metalli più nobili e meno comuni per la loro duttilità e facilità al trasporto, ed a ricevere una impronta dalla pubblica autorità, che segno essendo di tutti i valori, toglieva gl'incomodi della permutazione; la quale se

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