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1

Per cui Amor sovente si spergiura ; 1
Sicché ciascun di lui e di me ride,

Che credo tor la ruota alla Ventura. 2

Questo Sonetto vedesi nelle stampe or col nome di Dante, or con quello di Cino. Con quello di Cino sta nelle edizioni di Faustino Tasso e del Ciampi, non peraltro nella più antica del Pilli; con quello di Dante sta nella raccolta Giuntina a c. 19 retro, in tutte le successive ristampe, e nel Cod. 49 Plut. XL della Laurenziana. Dal Quadrio, dal Dionisi e dal Ginguené fu ritenuto siccome di Dante: anzi quest' ultimo scrittore sì l' esaltò, che disselo uno de' più notevoli del Canzoniere Dantesco pel tuono caldo e passionato. I modi infatti che in questo Sonetto s'osservano sono sì conformi a quelli usati altrove da Dante, che accrescono la probabilità, che ad esso, piuttosto che a Cino, appartenga. Qui dice:

«El punto che veniste in sulla cima
Del core .*.

ed altrove (Sonetto XLII):

« Due donne in cima della mente mia
Venute sono

Qui dice pure:

"

l'amorosa lima,.

C'ha pulito i miei detti, e i bei colori •
Ch' io ho per voi trovati e messi in rima; >>

ed altrove (Professione di fede);

«Io scrissi già d' Amor più volte rime,
Quanto più seppi dolci e belle e vaghe
E in pulirle adoprai tutte mie lime. »>

Qui dice altresì:

la mia mente dura,

Che ferma è di tener quel che m'uccide; »

ed altrove (Canz. XI, st. 1):

<< La mente mia, ch'è più dura che pietra
In tener forte immagine di pietra. »

Qui dice finalmente;

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ed altrove (Canz. VIII, st. 2):

« Com' ella è bella e ria
Così dipinge

Si spergiura, si fa spergiuro: tale almeno è il significato che gli assegna il Vocabolario. Ma io credo che il verbo spergiurare o spergiurarsi sia qui usato metaforicamente, e valga bestemmiare, come vale nel seguente esempio del Boccaccio, Fiam come non discendono le folgori sopra il pessimo giovane, acciocchè gli altri per innanzi di spergiurarti abbiano temenza? Io dunque intenderei: per cagion della quale vostra bella e rea figura anco Amore bestemmia e vi maledice, cosicchè ciascheduno ride d'Amore e di me, che ci vede imbestialiti. Così i concetti de' due versi si legano molto meglio, che

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BALLATA V.

Donne, io non so di che mi preghi Amore,
Ch' egli m' ancide, e la morte m' è dura,
E di sentirlo meno ho più paura. 1

1

Nel mezzo della mia mente risplende

Un lume da' begli occhi, ond' io son vago,
Che l'anima contenta :

Vero è che ad or ad or d'ivi discende
Una saetta che m'asciuga un lago
Dal cor, pria che sia spenta. 2

Ciò face Amor qual volta mi rammenta
La dolce mano e quella fede pura,

Che dovria la mia vita far sicura.

Questa Ballata fu col nome di Dante impressa nell' edizione Giuntina a c. 19 retro, ed in tutte le successive ristampe. Francesco Trucchi, che pubblicò una raccolta di antiche Poesie inedite di dugento Autori Italiani (4 vol. in 8o, Prato 1846), traendola dal

Codice Riccardiano 2317, la produsse, credendola inedita, sotto nome d'Andrea Lancia, cui il detto Codice l'attribuisce. Essa ha quivi due Stanze d'avvantaggio: ma oltrechè queste non ben corrispondono alle due antecedenti, che formano di per se stesse un componimento compiuto, sono a quelle molto inferiori nella dizione e nello stile: ond' io sospettando a buon dritto d' alterazione, credo dovermi attenere ai Giunti, riproducendola col nome di Dante Alighieri, e nella forma in che da essi fu data.

Intendi: Donne, io non so di che cosa mi debba pregare Amore, perciocchè egli mi uccide, e la morte mi è incresciosa, eppure, più della morte, ho paura di sentirlo in me venir me

no, ovvero, di provarne in me minore la forza.

2 Costruisci: Discende una saetta infuocata, che prima che sia spenta, m'asciuga dal core un lago di lacrime.

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BALLATA VI.

Madonna, quel Signor che voi portate
Negli occhi tal, che vince ogni possanza,
Mi dona sicuranza, 1

Che voi sarete amica di pietate.

Però che là dov' ei fa dimoranza,

Ed ha in compagnia molta beltate, 2
Tragge tutta bontate

A se, come a principio c'ha possanza :
Ond' io conforto sempre mia speranza,
La quale è stata tanto combattuta,
Che sarebbe perduta ;

4

Se non fosse ch' Amore

Contr' ogni avversità le dà valore

Con la sua vista, e con la rimembranza

Del dolce loco, e del soave fiore,

Che di nuovo colore

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3

Da un Codice cartaceo in fol. del secolo XVI, appartenuto già al P. Abate Alessandri della Badia fiorentina, l'Ab. Luigi Fiacchi

trasse con altri poetici componimenti la Ballata presente, e pubblicolla col nome di Dante Alighieri nel fasc. XIV degli Opuscoli scientifici e letterarj, Firenze 1812. Per ogni parte che si riguardi, riconosceremo agevolmente che sente molto della maniera Dantesca ; ed infatti il solo principio Madonna, quel Signor che voi portate Negli occhi, si trova conforme all' altro Negli occhi porta la mią donna Amore; quindi è che non avendo ragione alcuna per rifiutarla, ritengo pur io, siccome ritenne altresì il Witte, che sia od almeno esser possa del Cantor di Beatrice.

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Di fior le parolette mie novelle

Han fatto una Ballata :

Da lor per leggiadria s' hanno tolt' elle
Una veste ch' altrui non fu mai data:
Però siete pregata,

Quand' uom la canterà,

Che le facciate onore.

Dal Codice Alessandri, citato poc' anzi, trasse il Fiacchi anco la Ballata presente, e col nome di Dante Alighieri pubblicolla nello stesso fascicolo XIV degli Opuscoli scientifici e letterarj. In altri Codici fu pur rinvenuta dal professor Witte; per lo che sempre più probabile si rende, che veramente a Dante appartenga. In essa infatti non mancano pregi, particolarmente quelli della leggiadria e, dell' eleganza. La lezione per altro ch'io produco, non è quella del Fiacchi, perchè assai difettosa ed errata, ma è quella del Witte.

Mi farà Sospirar ogni fiore, perchè ogni fiore mi ricorderà la ghirlanda, e la ghirlanda la mia don

na.

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PARTE SECONDA.

SONETTO XXXIV.

Parole mie, che per lo mondo siete ;
Voi che nasceste poich' io cominciai
A dir per quella donna in cui errai :1
Voi, che, intendendo, il terzo ciel movete;
Andatevene a lei, che la sapete,

2

Piangendo si ch'ella oda i nostri guai: 3
Ditele noi sem vostre; dunque omai
Più che noi semo, non ci vederete."
Con lei non state; ché non v'è Amore;

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