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E chi poria pensare oltre a natura? 9

Oltra natura umana

Vostra fina piacenza

10

Fece Dio per essenza,
Chè voi foste sovrana. 11
Perché vostra parvenza 12
Ver me non sia lontana,
Or non mi sia villana
La dolce provvedenza :
E se vi pare oltraggio,
Ch' ad amarvi sia dato,

13

Non sia da voi biasmato;

Che solo Amor mi sforza,

Contro cui non val forza né misura.

lo dubito molto, che questa Ballata, la quale fu attribuita a Dante dall' edizione Giuntina, c. 13, possa essere del nostro Poeta ; perciocchè, sebbene non manchi d' una certa leggiadria, pure riscontrasi priva di quella concisione e di quella energia, che sono distintivi particolari della musa dantesca. Infatti il Dionisi, il quale (Anedd. II, pag. 97) notò, che dalla ignoranza dello Zatta fu posta nella sua edizione per vanguardia delle Canzoni, reputolla illegittima. E quantunque vedasi citata da alcuno come di Enzo re di Sardegna (ed Enzo poetò leggiadramente, anche a giudizio del Perticari, il quale nell'Amor patrio di Dante, lib. II, cap. 6, riportò alcuni brani d' una Canzone di lui), da Giammaria Barbieri si opina (Origine della Poesia rimata, Modena 1790, pag. 77) che, piuttostochè di Dante Alighieri, possa essere di Guido Cavalcanti. Ebbe Guido un' amorosa, la quale si fu Madonna Giovanna, che in riguardo alla sua leggiadria veniva soprannominata Madonna Primavera. E siccome la donna, di cui in questa Ballata si celebrano le doti ed i pregii, vedesi chiamata appunto col vocabolo Primavera (v. 2), così puossi ragionevolmente sospettare ch' essa sia la donna del Cavalcanti, e che del Cavalcanti sia per conseguenza la Ballata, tanto più che sente molto della maniera e dello stile di lui. Per queste considerazioni, e per essermi riuscite infruttuose le relative ricerche sui Codici, io credo dover riporre questo componimento fra quelli, che sulla loro autenticità lasciano molta dubbiezza.

Coi nomi di Rosa e di Primavera chiama il Poeta la donna sua. 2 Fin pregio, pregio fino, eccellente. Fino e fine con questo significato. è frequente negli antichi: un fine cavaliere, un fine orafo ec.

3 Gio', apocope di gioia, come me', prima', sezza', e l'ho già notato.

Per ciascuno cammino, figurat. in ogni luogo.

5 In suo latino, cioè, in suo linguaggio, ed è frase usata anco da altri. E canta ogni augelletto in suo latino, disse il Poliziano.

6 Costruisci : Poichè viene lo tempo, tutto lo mondo canti siccome si conviene vostra pregiata altezza, canti

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SONETTO XLVI.

Molti, volendo dir che fosse Amore,
Disser parole assai; ma non potero
Dir di lui in parte ch' assembrasse1 il vero,
Né diffinir qual fosse il suo valore:
Ed alcun fu, che disse ch'era ardore
Di mente, immaginato per pensiero ;
Ed altri disser ch'era desidero

Di voler, nato per piacer del core.
Ma io dico ch' Amor non ha sustanza,
Né è cosa corporal ch'abbia figura,
Anzi è una passione in disianza ;
Piacer 2 di forma, dato per natura,

Sicchè 'l voler del core ogni altro avanza ;
E questo basta fin che 'l piacer dura.

3

Amore, secondo l' Alighieri, è un sentimento di cortèsia e gentilezza, il quale ratto s' apprende a gentil core (Inf., V, 100), e lo ritrae da tutte le cose vili (Vita Nuova). Or io non so persuadermi, che Dante, il quale erasi formato d' Amore un'idea sì chiara e precisa, ed il quale avea già cantato che Amor e cor gentil sono una

cosa (Son. X), potesse scrivere un Sonetto, in cui desse d'Amore una definizione cotanto diversa da quella che avea dato altrove. Fu questo attribuito a Dante dall' edizione Giuntina, c. 18 retro; ma il Corbinelli, che con molte varianti lo riprodusse nelle giunte alla Bella Mano, lo disse d' Incerto. Anche il Witte nell' opuscoletto più volte citato significò, che della dubbia originalità del Sonetto presente avea fatto parole nella sua tedesca edizione delle Rime di Dante. Lo ripongo dunque fra i componimenti che della loro autenticità non hanno prove bastanti.

1 Assembrasse. Il verbo assembrare vale sembrare, simigliare, ed altresi riunire, raccogliere, e qui sembra avere questo secondo signifi

cato.

2 Piacer, qui e nell' ultimo verso, vale, secondo il solito, bellezza. 3 Al. Colla virtù del cor ch'ogni altra avanza.

Basta, dura.

SONETTO XLVII.

Ora che 'l mondo s' adorna e si veste
Di foglie e fiori, ed ogni prato ride,
E freddo e nebbia il ciel da se divide,
E gli animali comincian lor feste;
Ed in amor ciascun par che s' appreste,
E gli augelletti cantando, lor gride,
Che lascian guai e ́di lamenti stride,
Fanno per monti, per prati, e foreste; 1
Però che 'l dolce tempo allegro e chiaro
Di Primavera col suo verde viene;
Rinfresco in gioia e rinnuovo mia spene:
Come colui, che vita ed onor tiene

Da quel Signor, 2 che sopra gli altri è caro,

Lo quale a me suo servo non fia avaro.

Questo Sonetto, che parmi assai debole, fu prodotto in luce dal Witte, il quale lo trasse dal più volte citato Codice Ambrosiano. Ma poichè l'autorità d'un sol Codice, quando il componimento non abbia pregi tali che lo facciano riconoscere per Dantesco, non è argomento sufficiente per la sua autenticità; io credo dover collocarlo fra i componimenti dubbii, tanto più che il Witte stesso non pretese che dovesse infallibilmente appartenere al divino poeta.

Costruisci: Cantando per monti,

per prati e foreste fanno lor gride,

che lascian guai e stride di lamenti. Da quel Signor, cioè, da Amore.

SONETTO XLVIII.

Per villania di villana persona,
O per parole di cattiva gente,
Non si conviene a donna conoscente,1 1
La qual di pregio e d'onor s' incorona,
Turbarsi, e creder che sua fama buona,
Che in ogni parte va chiara e lucente,
Si possa dinegar; poich' ella sente,
Che verità di ciò non la cagiona. 2
Come la rosa in mezzo delle spine,
E come l'oro puro dentro il fuoco,
Cosi voi vi mostrate in ciascun loco.
Dunque lasciate dir chi ha senno poco;
Ché par, che vostra lode più s'affine,

Che se'l contrario usasser tai meschine. 3

Anche questo Sonetto fu tratto dal citato Codice Ambrosiano, e messo in luce dal Witte. Se si ponga attenzione all' ultimo ternario, si riconoscerà che il suo subietto è un pettegolezzo per ciarle di femmine plebee insorto contro la donna del poeta; subietto non punto dicevole all' alta e dignitosa musa Dantesca.

Ed infatti dallo stesso Witte fu detto, che per componimento di Dante gli appariva alquanto leggiero. Io dunque non esito un momento a riporlo fra i dubbii componimenti.

1 Conoscente, figurat. saggia. Non la cagiona, non la incolpa, non l'accusa.

3 Par, che vostra lode più s'affine, più s'affini, Che se'l contrario usasser

tai meschine, di quello che s' affinerebbe, se tali meschine femmine usassero il contrario, vale a dire, se invece di dirne male, ne dicessero bene.

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RIME APOCRIFE.

CANZONE.

Oimé lasso quelle treccie bionde,

Dalle quai rilucieno

D'aureo color gli poggi d'ogn' intorno ;
Oime! la bella cera, e le dolci onde,
Che nel cor mi sedieno,

Di que' begli occhi al ben segnato giorno :
Oimė! 'l fresco ed adorno

E rilucente viso;

Oime! lo dolce riso,

Per lo qual si vedea la bianca neve
Fra le rose vermiglie d' ogni tempo;

Oimé ! senza meve,

Morte, perché 'l togliesti sì per tempo?
Oimé! caro diporto, e bel contegno;
Oimé! dolce accoglienza,

Ed accorto intelletto e ben pensato;
Oimė 'l bello, umile, alto disdegno,
Che mi crescea l'intenza

D' odiar lo vile e d'amar l'alto stato ;
Oime! 'l disio nato

Di si bella creanza;

Oimè quella speranza,

Ch'ogni altra mi facea veder addietro,
E lieve mi rendea d' Amor lo peso;

Oime! rotto hai qual vetro,

Morte, che vivo m' hai morto ed impeso !

Oimė! Donna, d'ogni virtù donna,

Dea, per cui d'ogni dea,

Siccome volse Amor, feci rifiuto;

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