E fo come colui che non riposa, Da lei mi vien d'ogni cosa il martire : Tanto più di ragion mi dee dolere ; Cotal m' è or, quale mi fu a vedere, Dietro al desio che a Madonna mi tira E'l grande lacrimar che mi distrugge, E non saprei io dir qual io divegno: E la figura sua, ch' io dentro porto, Lasso! ch' io non vorria Giammai trovar chi mi desse conforto, Finch' io sarò dal suo bel viso scorto. Tu non sei bella, ma tu sei pietosa, Canzon mia nova, e cotal te n'andrai Là dove tu sarai Per avventura da Madonna udita : Di più vederla anzi la mia finita, Perch' io non credo aver si lunga vita. Nè anche questa Canzone è di Dante Alighieri. Per darla ad esso non avremmo che la fallace autorità della veneta edizione delle Rime antiche del 1518, sulla cui fede la riprodussero il Pasquali, lo Zatta e i successivi editori. Infatti io non l'ho rinvenuta in alcuno de' tanti Codici, da me esaminati, contenenti rime liriche di Dante, nè col nome di Dante la produssero i Giunti nella raccolta loro, ma sivvero con quello d'autore incerto a c. 118 retro. Niccolò Pilli fino dal 1559 l'aveva collocata fra le poesie del pistoiese Cino, del quale egli mise in ordine e pubblicò il Canzoniere; e il professor Sebastiano Ciampi la riprodusse nella sua più completa raccolta del 1813, l' uno e l'altro editore essendosi appoggiati all' autorità di più Codici. Se queste ragioni non bastassero a far conoscere che manchiamo di dati sicuri od almeno probabili per attribuire questa Canzone al nostro Poeta, aggiungerò che nella Raccolta de' poeti del primo secolo, Firenze 1816, vol. I, pag. 96, ov'è riportata, si dà la notizia, che l'antico Codice Vaticano 4823, il quale s'intitola ricopiato dall'antichissimo 3793, l'assegna a Guido Guinicelli. Inoltre collo stesso nome del Guinicelli si legge nella Raccolta di Rime antiche toscane, stampata a Palermo nel 1817, vol. I, pag. 410, e nel Parnaso italiano, Venezia, Andreola, 1819, vol. I, pag. 64. La Canzone non appartenendo a Dante, resterebbe a vedersi, a chi degli altri due, od a Guido od a Cino, appartenga. Sebbene il suo merito non agguagli quello delle Canzoni Dantesche, pure non gli cede d'assai. È dettata in uno stile elegante e polito; gli affetti vi sono ben maneggiati; cosicchè Guido Guinicelli, bolognese, il quale per consentimento dell'istesso Dante fu il principe de' poeti dell'età sua (cioè della metà del sec. XIII), ed il quale colle sue dolci e leggiadre rime d'amore procurò l'avanzamento dell' italica poesia, potrebb' esser pur troppo l'autore di essa. Ma queste medesime ragioni militano pur anco per l'amico dell'Alighieri, cioè per Cino da Pistoia. Chè anzi paragonato lo stile a quel dell' uno e a quello dell'altro, io veggo maggior conformità, specialmente nella lingua meno antica e men rozza, colla maniera del Pistoiese, che con quella del Bolognese; ed a tale opinione più decisamente m' atterrei, inquantochè i versi della Stanza II, « S'io fossi là dond' io mi son partito Dolente sbigottito, » e gli altri del Commiato << Com' io non spero mai Di più vederla anzi la mia finita, >> sembrano accennare le dolorose circostanze dell'esilio (volontario o coatto che fosse) del Cantor di Madonna Selvaggia; se non che, Guido Guinicelli, per la cacciata della parte de' Lambertazzi, ch' era da lui seguita, dovè pur egli esular dalla patria. Comunque sia, non appartenendo a me il diffinire se la Canzone a Cino od a Guido appartenga, bastami il poter dire, che non avendo dato nessuno per esser tenuta di Dante, debbesi escludere dal Canzoniere di lui. CANZONE. L'uom che conosce è degno ch'aggia ardire E che s'arrischi, quando s' assicura Ver quello, onde paura Può per natura, o per altro, avvenire : Cosi ritorno i' ora, e voglio dire, Che non fu per ardir, s' io posi cura A questa criatura, Ch'io vidi in quel che mi venne a ferire : Cui non conosce il core, se nol sente, Che pare propriamente Per la vertute, -- una salute, - della qual si cria; Poscia a ferir va via com' un dardo, Ratto che si congiunge al dolce sguardo. E miran dentro la proprietate, Stando a veder senz' altra volontate. Se lo sguardo si aggiunge, immantenente Amor, che pare uscir di chiaritate. Cosi fu' io ferito risguardando; Poi mi volsi tremando - ne' sospiri ; Ancorché omai io non possa campare: Che se il vo' pur pensare, io tremo tutto; Negli occhi miei drittamente pietanza ; Perchè 'l soccorso suo non ha possanza. Poi dimostra in figura lo cor tristo, Per fare acquisto La qual si chiede solo di mercede; come si conviene, Là 've forza non viene di Signore, E gentil alma, dove Amor si pone ; Non sbigottir nella tua openione; Dunque ti metti in via — chiara e palese, Di ciaschedun cortese Liberamente umil servente, come vuoi t'appella, - d'un che vide Quello Signor, che chi lo sguarda occide. Non a Dante Alighieri, ma a Cino da Pistoia appartiene questa Canzone. Al primo fu erroneamente attribuita dalla veneta edizione del 1518, mentre dalla Giuntina fu posta a c. 124 fra i componimenti d'autore incerto. Al secondo vien data da tutti gli editori delle rime di quel poeta, conforme portano molti e molti Codici. Oltre le ragioni DANTE. 1. 17 medesime che ho prodotte per la Canzone Perchè nel tempo rio, e che possono riferirsi anche a questa, aggiungerò un'osservazione. Dante, siccome poetą di sommo accorgimento, a non togliere alla Canzone quell'andamento grave e sostenuto che dev' esserle proprio, fu parchissimo nell'uso della rimalmezzo; e dov' ei l'adoperò, lo fece con molta grazia, come può vedersi nella Canzone Morte, poich'io non trovo, e nell' altra Poscia ch'Amor. Ma Cino, prendendo in questa parte ad imitare Guido dalle Colonne e Guido Cavalcanti, scrisse più Canzoni, nelle quali fece sfoggio di rime intermedie. Ora la presente, avendo le sue Stanze così architettate, << Perchè mai non avea veduto Amore, Che pare propriamente una salute, della qual si cria; sente pure per questo della maniera di Cino, assai più che della maniera di Dante. CANZONE. Io non pensava che lo cor giammai Alla battaglia, ove Madonna è stata, Ruppe tutti i miei spiriti a fuggire. |