Ch'è da virtù smarrito, Se morte non gli fosse sta' noiosa; Ma suso in ciel lo abbraccia la sua sposa. Ciò che si vede pinto di valore, Ciò che si legge di virtute scritto, Tutto si ritrovava in quel Signore E' fu forma del ben che si ragiona, Rigor, che renda il timor alla legge Contro alla fiamma delle ardenti invegge. Veggiam che morte uccide ogni vivente, Che tenga di quell' organo la vita, Che porta ogni animale; Ma pregio, che virtù dà solamente, A chi 'l permette, amica vola, e sale Che piove Amor d'ordinato diletto, Che sempre piove Amore, Sol ivi intender de' l' animo grande, Quant'è in stato maggiore; Né è uom gentil, né Re, nẻ Imperadore, La cui virtute vince Nel cor gentil, si ch'è vista di sopra, Con tutto che per parte non si scuopra. Che'l vostro idolo amor, idol beato, E però mando a voi ciò c'ho trovato Di Cesare, che al cielo è incoronato. Questa Canzone, in cui si piange la morte dell' Imperatore Arrigo VII, attribuita a Dante dalla veneta edizione del 1518, fu rifiutata da tutti i successivi editori, perchè riconosciuta appartenere a Cino da Pistoia. Non si rinviene nè nell' edizion Giuntina, nè in alcuno de' molti Codici delle liriche di Dante da me consultati; ed il Quadrio nel vol. II, parte II della sua Storia citandola, mostra tenerla di Cino piuttosto che di Dante. Ed infatti per poesia di Cino la tenne Faustino Tassò dandole luogo nella sua edizione delle rime di quel poeta, e per poesia di Cino la tenne pure il Ciampi, riproducendola nella raccolta delle rime del pistoiese giureconsulto. Al giudizio di questi editori noi dobbiamo pienamente assentire, perciocchè i modi retorici e lo stile verboso in cui è dettata, escludono la possibilità che al nostro Poeta appartenga. SONETTO. Qual che voi siate, amico, vostro manto Che di saver ver voi ho men d'un moco; Poi piacevi saver lo meo coraggio, Ed io 'l vi mostro di menzogna fore, Siccom'a quei c'ha saggio il suo parlare. Che in cor porti dolor senza paraggio. Nella raccolta di Rime antiche, Firenze 1527, ove a c. 138 fu riportato il presente Sonetto, si dà la notizia, che fu scritto da Dante Alighieri in risposta a quello di Dante da Maiano, che incomincia Per prova di saver, com' vale o quanto. Ma essendochè per la frase del primo verso s'apprende, che lo scrittore di esso non conosceva il poeta maianese, può dedursi agevolmente, che non fu quegli l'Alighieri e la ragione di ciò si è questa. Dante sul principio della Vita Nuova racconta d'aver composto un Sonetto intorno una sua visione, e di averlo diretto ai più famosi Trovatori che in quel tempo fiorivano. Uno di quelli che a Dante Alighieri risposero, si fu Dante da Maiano con altro Sonetto, ch'è noto per le stampe, nel quale si rinvengono le frasi seguenti: ti rispondo brevemente, Amico meo di poco conoscente ec. >> Di qui pertanto si fa certissimo, che questi due poeti, il maianese e il fiorentino, si conobbero assai di buon' ora, perciocchè quest' ultimo era allora nel suo diciottesimo anno, siccome dice egli stesso nella Vita Nuova al secondo paragrafo. E come mai Dante Alighieri, che fino dalla sua adolescenza conosceva Dante da Maiano, avrebbe nel presente Sonetto, che pur si pretende responsivo ad altro del maianese, usato l'espressione Qual che voi siate, significando per essa di non conoscerlo? Non credo già, che nissuno vorrà oppormi, che Dante potesse averlo dettato innanzi l'età degli anni 18; perciocchè dal passo della Vita Nuova è facile il rilevare, che il fiorentino fu quegli che ricercò in prima l'amicizia del maianese, e non questi di quello, siccome con manifesta contradizione verrebbesi a dire sostenendo una tale opinione, dappoichè il Sonetto non è missivo, ma, come ben si deduce, responsivo. Torneranno forse inutili queste poche parole, quando si getti l'occhio sopra il componimento, perciocchè di per se stesso si palesa illegittimo: tanto è la sua scipita meschinità; e quando si sappia che nel vol. II, pag. 252 de' Poeti del primo secolo, Firenze 1816, sta col nome di Tommaso Buzzuola da Faenza, di cui per certo debb' essere, ed a cui pur volentieri ne facciamo restituzione. 1 Non conoscendo, amico, vostro nomo, Per amor aggio; sacci ben, chi ama, Tutt' altri, e capo di ciascun si chiama : Da ciò vien quanta pena Amore porta. Questo laido Sonetto, che nell'edizione Giuntina fu stampato a c. 138 col nome di Dante Alighieri, e che dicesi responsivo ad altro del Maianese, debbesi assolutamente rigettare per tutte quelle medesime ragioni che abbiamo or ora portate per provare l'illegittimità dell' antecedente. Infatti dalla Raccolta de' Poeti del primo secolo, vol. II, pag. 386, apprendiamo che appartiene a Mino del Pavėsaio d'Arezzo. 1 1 << II Sonetto Non conoscendo, ami» co vostro nomo, che le Rime anti>> che comprendono fra quei di Dan » te Alighieri, è di Mino del Pave»saio d'Arezzo. » (Arrivabene, Amori ec., pag. CCLXI.) SONETTO. Ahi lasso, ch' io credea trovar pietate, Della gran pena che lo mio cor porta, Sicch' io m' accuso già persona morta : Ma più la bella donna ch' io guardai. Nell' edizione delle Poesie di Cino, procurata da Faustino Tasso, ed in quella fattane dal Ciampi, questo Sonetto si vede attribuito a quel poeta. Col nome di Cino si vede pure in qualche Codice, siccome nel Laurenziano 37 del Plut. XC; ma col nome di Dante non sta che nell' edizione Giuntina a c. 22 retro. Quantunque il Sonetto sia ben condotto, e buona siane la forma, pure per essere attribuito al nostro Poeta manca dell' autorità de' Codici; mentre i versi : « Onde morir pur mi conviene omai; E posso dir che mal vidi Bologna, Ma più la bella donna ch'io guardai, »> significando lo stato angoscioso del Poeta, per essersi questi innamorato in Bologna di vaga femmina, lo danno a conoscere per componimento del pistoiese giureconsulto. Sappiamo infatti dalla storia, che Cino fece lunga dimora in Bologna, ove, siccome quegli che lasciavasi pigliare ad ogni oncino (Vedi più sopra il Sonetto XL), provò novella passione amorosa; mentre un fatto consimile non lo troviamo nella biografia di Dante Alighieri. Non di Dante è dunque il Sonetto, ma di Cino. 1 1 << D'altra men nota fiamma del>> I Alighieri (dice l' Arrivabene, » Amori e Rime di Dante ec., pa>> gina CLI) sembra porgere indizio >> il Sonetto Ahi lasso, ch' io cre» dea ec., che così chiude Onde mo>> rire ec. >> Ma questo è un argomentare a ritroso. |