>> avete con retto criterio osservate, io torno a dirvi che quest' Ave Maria non l'ho tenuta nè potrò mai tenerla per parto legittimo » del nostro sovrano Poeta. 1 Avverti, che le prime parole d'ogni ternario, poste in corsivo, compongono ordinatamente l' Ave Maria. Le parole nunc et in hora mortis nostra, che mancano nell' acro stico, non furono, com'è noto, definitivamente approvate e introdotte nella Salutazione angelica che da S. Pio V, onde per l'avanti il dirle o l'intralasciarle restava in arbitrio de' fedeli. DI ALCUNI FRAMMENTI, CHE SI VEGGONO A STAMPA, E DI VARII ALTRI COMPONIMENTI LIRICI, CHE S'INCONTRAN NE' CODICI, A DANTE ALIGHIERI FAL SAMENTE ATTRIBUITI. Il Redi (Annotazioni al Bacco in Toscana, Firenze 1691, pag. 111) riporta il seguente brano di un Sonetto di 16 versi, o vogliam dire Sonetto colla coda, che in un antico suo MS. stava col nome del divino Poeta: Iacopo, io fui nelle nevicate alpi, Con quei gentili dond'è nata quella, Il Witte pure, allorquando nell' Antologia pubblicò la nota Canzone Poscia ch' io ho perduta ec., riportò a modo di citazione e d'appoggio, i frammenti seguenti, ch'egli avea tratto da un Codice, di cui non diede al pubblico verun ragguaglio. E se 'l mio dire in la tua mente pegni, Da poi che venne Carlo con affanno, Sempre ha cresciuto, e crescerà 'l tuo danno. Nuova figura, speculando in vetro, Divenne si ch' io caddi per lo miro. Si ch' io piango per te, o bella donna, Ora ti veggio nuda, magra e scalza, E nessun ti rincalza, Ma ciascheduno segue il tuo dannaggio, Similemente come a sofferire L'Aquila ardisce, mirando la spera, Abi cara donna, pensa alli tuoi danni, Onde che la sentenza è già prescritta Or ti sfoga, ruina, empia tempesta, Inghiotti e l'alma lagrimosa e mesta. In questi affanni, anzi dispetti e rabbia, Senza speranza sol di requie o posa. Rispetto al primo frammento datone dal Redi, dirò che non abbiamo un solo esempio a comprovare che Dante, il quale nel Volgare Eloquio avea dettato le regole per ogni poetico componimento, e prescrittone la forma, scrivesse Sonetti prolungati al di là della regolar misura di quattordici versi; e rispetto ai frammenti tutti presi insieme, dirò che non sentono punto della maniera del divino. poeta, al quale io ritengo essere stati falsamente attribuiti, tanto più che non mi è stato possibile incontrarne traccia ne' Codici. Il Sonetto << Maraviglia non è talor s' io movo »> che non solo in alcuni Codici, ma pure in qualche stampa vedesi col nome dell' Alighieri, dee reputarsi di Cino non tanto per lo stile, quanto per esservi, nel v. 2, apertamente nominata Selvaggia. La Canzone << Nel tempo che s' infiora e copre d'erba, »> la quale, a giudicio dell' Arrivabene, Amori ec., pag. CCLXVIII, è di Dante, col nome di cui trovasi nel testo del Vitale e nel Codice Palatino 199, sta impressa nell' edizione Giuntina fra le poesie d'autori incerti; ed io non saprei risolvermi ad ascriverla ad esso poeta, quantunque la riconosca non priva d'una certa facilità e leggiadria. Nello stesso Codice Palatino, che ora ho citato, leggesi pure una Ballata, che incomincia: « Donna ed Amore han fatto compagnia; >> ma io non ho saputo ravvisarvi lo stile ed il fare di Dante (Alighieri. In quel Codice Ambrosiano, donde il Muratori ed il Witte trassero i varii Sonetti di cui già tenemmo discorso, si trovano col nome di Dante anco i tre seguenti: «Lode di Dio, e della Madre pura.... » << Se 'l primo uomo si fosse difeso.... >> Ma falsamente sono ad esso attribuiti. La chiusa del primo che dice: « Così distanza togliendomi 'l sole rende affatto improbabile che a Dante appartenga; perciocchè poteva egli mai il divino poeta dirsi privo d'ogni lume scientifico, e seguace della molle setta d' Epicuro? L'autore di esso è probabilmente quel Giovanni Quirino, di cui vedi l'illustrazione al Sonetto XLV. Lo scrittore del secondo, dicendosi innamorato di Bechina, si manifesta patentemente essere quel Cecco Angiolieri di cui abbiamo parlato più sopra al Sonetto l'ho tutte le cose ch'io non voglio. Del terzo, ch'è responsivo ad un Sonetto anonimo, nel quale si fa la domanda se Cristo sarebbe stato crocifisso ove Adamo non avesse mangiato del pomo, dice il Witte che, considerandolo sì pe' concetti che per lo stile, crede per certo doversi a Dante denegare. Ed infatti è sì laido e sì turpe, e sì barbaramente scritto, che palesasi indegno di qualunque verseggiatore anco men che mediocre. Il Sonetto << Fior di virtù si è gentil coraggio, » che nel Codice 1100 della Riccardiana si trova sotto il nome di Dante Alighieri, è di Folgore da San Gemignano secondo l' Allacci, pag. 315, e secondo l' Andreola, Parnaso Ital., vol. II, pag. 191. Esso è poi del pistoiese Cino, secondo il Codice 47, Plut. XC, della Laurenziana e secondo l' edizione del Ciampi; ed è del sanese Simone Forestani, secondo il Codice Laurenziano Leopoldino num. 118. Nel medesimo Codice della Riccardiana 1100 si rinvengono impropriamente a Dante attribuite, due Canzoni, l' una delle quali incomincia : « Lo doloroso amor che mi conduce, >> componimento affatto indegno di Dante; l'altra: « La vera esperienza vuol ch'io parli, >> la quale è attribuita a Dante Alighieri anco dal Codice 43, Plut. XL, della Laurenziana, mentre in altri Codici della Biblioteca stessa sta col nome di Cino da Borgo San Sepolcro. In un altro Codice Riccardiano, segnato 998 aliter 1156, si rinvengono sotto il nome del nostro Poeta altre due Canzoni, le quali, sebbene non possano distintamente ravvisarsi per esser nella lezione tutte lacere e guaste, pure io reputo senza fallo illegittime. La prima incomincia: «<lo fui ferma chiesa e ferma fede, >> (e questa trovasi pure nel Codice 44, Plut. XL, della Laurenziana); la seconda : « lo sono 'l capo mozzo dallo 'mbusto. >> Rispetto a questa seconda Canzone noterò, che col nome di Dante ritrovasi non solo nel nominato Codice Riccardiano, ma ancora nel Laurenziano 44, Plut. XL. Nulladimeno è evidente che non può ammettersi fra le poesie di Dante Alighieri per ragione del suo stile disordinato e della sua meschinità. Eccone la prima stanza, ch'è la meno peggiore delle altre cinque: << Io sono il capo mozzo dallo 'mbusto Del mondo, dalla fortunale spada, Pensando qual di me col tempo antico, Di racconciarvi me' come mie soma; Ed io che parlo son la vostra Roma. » Nel Codice 63 della Biblioteca Marciana di Venezia questa Canzone non è più attribuita a Dante Alighieri, ma a Guido Cavalcanti.1 E che neppure al Cavalcanti, morto, come sappiamo, nel 1301, appartenga, è dimostrato dall' argomento d'essa Canzone, nella quale il poeța personificando la Cattolica Chiesa, e facendole far lamenti, riprende i vizii de' Cherici, e deplora le gare e le dissensioni tra il papa Giovanni XXII e Lodovico il Bavaro, cose tutt'affatto posteriori alla morte di Guido. Questa n'è poi la chiusa : << Canzon, come corrier che non soggiorna La Canzone Passa oltre monte, e vattene a Vignone, E mezzo il tuo sermone Al Santo Padre conta: Poi torna in Lombardia fa 'l simigliante << Io non posso celar lo mio dolore, >> |